Srebrenica

Massimo Carnevali
3 min readJun 30, 2017

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(Prima prova di pubblicazione su Medium: revisione dell’articolo pubblicato l’11 Luglio 2015 su Fold)

Questa non è una storia di guerre, di religioni, di razze o di stati; è una storia di persone e di luoghi.

Oggi (Nda. data della prima pubblicazione 11 Luglio 2015) sono tutti a Srebrenica a commemorare i 20 anni dal massacro.

Io ero lì nel 2004, quando la guerra era finita da meno di dieci anni e nessuno aveva voglia di commemorare.

Allora non era saggio andarci da soli, si attraversavano enclavi cetniche in Bosnia e uno straniero curioso non era un ospite ben accetto da quelle parti.
Ci accompagnava un signore dall’aria molto tranquilla, con il baule dell’auto pieno di palloni destinati ai bambini che stavamo andando a trovare.

Un signore che era a Srebrenica quel giorno del 1995.

E che aveva spezzato l’assedio, assieme agli amici con cui giocava a pallacanestro, assaltando nidi di mitragliatrici Serbi usando solo bastoni e forconi.

Così lui era vivo.

E ci portò a vedere la casa dei suoi cugini, tutti morti per un razzo lanciato da una casa dall’altro lato della collina.

Dove viveva ancora chi quel razzo lo aveva lanciato nove anni prima.

E i suoi cugini erano una fila di tavole di legno, tutte con lo stesso cognome, nel cimitero di Srebrenica.

Cimitero di Srebrenica — 2004 — Photo by Massimo Carnevali — CC BY-SA

Perché il cimitero di Srebrenica, chiamarlo sacrario allora era una parola un po’ grossa, era una spianata di terra con le assi di legno al posto delle lapidi.

Cimitero di Srebrenica — 2004 — Photo by Massimo Carnevali — CC BY-SA

Tavole di legno dipinte di verde, il colore che per un musulmano rappresenta il paradiso.

Ma lì vicino allora c’erano anche le fosse comuni, ora mi dicono svuotate, dove qualcuno ogni tanto aggiornava un numero provvisorio sulla lapide.
Macabra contabilità di vivi, morti e dispersi.

Fossa comune dei pressi di Srebrenica — 2004 — Photo by Massimo Carnevali — CC BY-SA

Srebrenica era città di miniere d’argento e di terme.

Una volta.

Nel 2004 era una città fantasma.

Terme di Srebrenica — 2004 — Photo by Massimo Carnevali — CC BY-SA

Il nostro accompagnatore però scacciò i fantasmi e ci portò a prendere un caffè in un bar di vecchi amici che avevano deciso di rientrare.

A spostare macerie, per aprire un bar.

A ricreare la socialità.

E ci portò a conoscere i suoi genitori anzianissimi, che coltivavano l’orto di fianco a frettolose sepolture di parenti vari.

Tornando verso Tuzla ci fermammo a consegnare un po’ di scorte alimentari e di giocattoli ad alcune famiglie della zona.

L’ultima immagine di quel giorno è il sorriso del bambino a cui avevamo portato un orsacchiotto.

Non penso servano altre parole.

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Testo e immagini originali di Massimo Carnevali
Le immagini sono disponibili qui con licenza CC BY-SA 3.0 IT

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