Io, un uomo

Un’autoaccusa senza scuse

Matteo Laconca
4 min readNov 20, 2023

“Il senso, che noi stiamo perdendo, di una chiara distinzione tra il bene e il male. Noi non sappiamo più cosa vuol dire sentirsi colpevoli. L’assassino si scusa dicendo che la madre non gli voleva bene e che è frustrato. E all’improvviso tu hai detto: non esiste nessuna giustificazione. Nessuno, nel profondo della sua coscienza, è più innocente di Edipo. Eppure egli si punì da solo quando vide ciò che aveva commesso.”

L’insostenibile leggerezza dell’essere, Milan Kundera.

È da giorni che penso al senso di colpa.
Il senso di colpa d’esser uomo, maschio, Yang, fallo, XY.
È giusto? È giusto sentire questa colpa? Ed è giusto parlarne, anche se non ho fatto niente, solo perché sono un uomo e mi sento tirato in causa?

In questo momento, per una parte della narrazione (spesso quella maschile), l’uomo è attaccato, ridotto a minoranza, colpevolizzato senza motivo e senza processo — condannato unicamente per il fatto di essere un soggetto di sesso maschile. La sua difesa? “Non siamo tutti così.
Per l’altra (spesso quella femminile) l’uomo è ancora al centro di tutto, il peso e la misura di tutte le cose, il cuore di questo mondo — un mondo patriarcale. La proposta? “Distruggere tutto per ripartire da capo.
Così, molti uomini parlano per difendersi. Ma non c’è un noi uomini contro voi donne. Bisogna parlare per prendere una posizione. Bisogna parlare per esserci. Per non lasciare fare agli altri, visto che gli altri spesso dicono cose che non condividiamo o fanno ben peggio.

Bolaño in Notturno Cileno diceva che abbiamo l’obbligo morale di essere responsabili perfino dei nostri silenzi. Ma quanti si sono presi questa responsabilità? Finora il silenzio è stato un immobilismo fine a sé stesso, un non prendere posizione. Lo capisco. È così facile sbagliare, dire una cosa non precisa ed essere fraintesi. Ogni volta che comunichiamo corriamo questo rischio, l’incomprensione fa parte del gioco: prendere la parola è un azzardo, è fare una scommessa sperando che l’altro interpreti correttamente le mie intenzioni. Ma è l’unico modo che abbiamo per comunicare, per dire qualcosa, per farci capire. È la prima mossa che possiamo fare contro l’indifferenza. È una mossa forse debole; incompleta, diranno — certo, però è una prima mossa.

Ora come ora, ho capito da uomo, nessuno se ne può tirare fuori.

Nessuno può più ignorare la questione della violenza sulle donne, nessuno può e deve nascondersi. Perché nella realtà attuale, siamo ancora noi quelli forti. Siamo ancora noi quelli in vantaggio. Siamo ancora noi quelli che annullano le parità. Che possono dominare. Siamo ancora noi quelli che detengono un potere. È un potere che sta sfumando, e penso sia questo percepito indebolimento che spaventa così tanto alcuni uomini. Mina le loro convinzioni più radicali e li porta ad agire con ulteriore forza per opporsi al cambiamento. Lo fanno perché hanno la sensazione che dopotutto — a prescindere da manifestazioni, leggi e nuovi valori — la ragione sia ancora dalla loro parte.
Perché lo so?
Perché sono un uomo. Sono un uomo bianco, sano, incensurato, che viene da una famiglia agiata, che ha studiato, viaggiato e fatto esperienze nel mondo. Sono un uomo che la società è disposta a perdonare.
Sono un uomo che può farla franca.
E tanti sono come me.

Per questo penso al prossimo.
Al prossimo che aggredirà, che userà la forza, che stuprerà, che proverà a uccidere. Che ci riuscirà. Il prossimo è già in giro. È fra di noi. Ma è possibile capire già chi sia? Posso essere io il prossimo?
Non penso.
Ma uno pensa mai di essere il prossimo. Se chiedessimo a chi lo ha fatto se avesse mai pensato d’esser capace di una cosa del genere direbbe di sì? Lo direbbero in pochi. Troppo pochi. Quasi nessuno. Si pensa sempre di essere immuni a tutto. Alle malattie, alle tragedie, agli incidenti, agli imprevisti. All’amore. Alla fine di un amore. Poi quando queste cose accadono, siamo persi. Troviamo noi stessi cambiati e c’è il rischio di non essere in grado di accettare questo nuovo stato delle cose. Eppure dobbiamo ricordarci che, come esseri umani, siamo fatti per cambiare; siamo umani proprio perché siamo in grado di accettare il cambiamento, di andare oltre. L’evoluzione è la nostra natura. Questo vuol dire anche essere capaci di accettare che può esserci un mostro in me, in noi, in chiunque di noi, ed essere pronti ad affrontarlo, a respingerlo. Vuol dire saper affrontare il vuoto, la solitudine, la sconfitta senza ricorrere alla forza, senza prendere la strada più facile — perché la forza sembra sempre facile, è letteralmente a portata di mano.

Se siamo uomini forti, allora facciamo la strada più difficile: fermiamoci a pensare, ragioniamo, mettiamoci in discussione, dubitiamo di noi stessi, analizziamo le nostre paure, interroghiamoci per giorni e settimane. Infine, scegliamo di fare la cosa giusta. Che può voler dire fare un passo indietro, cedere, lasciar andare.

Ora penso ancora alla colpa, e penso che vorrei poter fare di più. Vorrei capire che cosa posso fare.
Ma non lo so.
L’unica cosa che so è che devo continuare a chiedermelo, finché lo saprò.

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