Growth Hacking, Growth Marketing, Digital Marketing: cosa cambia? proviamo a fare chiarezza (e scrivere migliori Job posting)

Matteo Aliotta
10 min readFeb 28, 2023

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Difficile uscire dal dibattito quando si parla del ruolo del Growth (Ormai sempre più orfano del suffisso: il termine Growth Hacking non piace più nemmeno a chi l’ha inventato).

Sean ormai è Growth… senza Hacker

Considerato da alcuni solo un modo diverso di chiamare il marketing, da altri una buzzword con cui figuri dalle dubbie competenze provano a reinventarsi un lavoro.

Poco importa se in parallelo esce un libro come The Cold Start Problem di tale Andrew Chen (Ex Growth @ Uber e Partner in A16z - uno dei VC più importanti del pianeta) che ci racconta il caso studio suo assieme a quelli di mezza Silicon Valley, dove il processo ibrido Growth — tra dati, prodotto e sperimentazione - è realtà quotidiana. O ancora: poco importa sapere che la newsletter business più seguita di Substack (mezzo milione di fatturato alla mano, di iscritti paganti) sia scritta da un ex AirBnb che parla di Growth e prodotto digitale.
Gli scettici ti direbbero che quella è la Valley, qui siamo in Italia, siamo pieni di business tradizionali, pochi scherzi.

Ecco allora altra gatta da pelare per lo scettico inguaribile: Raffale Gaito, noto divulgatore della disciplina, già nel 2018 portava decine di casi studio 100% italiani nel suo Growth Hacking Mindset. Il libro, edito da Franco Angeli, racconta storie di aziende che spaziano tra corporate, pharma, PMI e startup (ci sono anche io tra i casi studio, racconto il mio lavoro svolto in Fitprime ed LVenture Group).

Anche qui, non è bastato. Non è raro vedere flame e polemiche anche nel 2023. Addetti ai lavori in testa.

Il perché di tanti fraintendimenti

Ho provato ad analizzare la questione, sia per un trasporto personale che per pura curiosità. Da dove può venire una tale diffidenza dal mestiere del Growth? sono riuscito a focalizzare alcuni fattori chiave:

  • La mancanza di chiari perimetri
    chi lavora su aziende medio-piccole, esegue testing (Growth), performance, marketing e via dicendo, con lo stesso team o addirittura in un’unica figura, pensando così, che dare nomi diversi alle discipline sia solo un’etichetta (o peggio, una buzzword).
  • La poca cultura in ambito tech
    Il Growth nasce per definizione in modelli di business moderni (vedasi SAAS, Marketplace, PAAS e atri ibridi), dove l’idea di abbattere i silos tra marketing e ingegneria di prodotto, lavorando nell’intersezione tra dati e sperimentazione, viene praticamente in automatico (a meno che qualcuno pensi che Amazon e Facebook siano esplose da zero grazie a branding e campagne media). Motivo per il quale, tutti impegnati nel cercare similitudini con le quattro p non colgano la vera derivazione: quella con la metodologia Lean.
  • L’Italia è una repubblica basata sull’e-commerce
    Non è un mistero che l’Italia sia molto indietro in ambito digital e innovazione. Lì dove è presente invece, vediamo un’egemonia del commercio elettronico e dei professionisti specializzati nella sola vendita online. Il modello (se non per la parte di sperimentazione nuovi canali) offre davvero poco la spalla alla potenza del Growth.
  • L’idea che sia un trend in contrapposizione
    Sarà il tono di eccessivo hype dei suoi primi divulgatori? eppure il Growth gode di diffusa antipatia. Il motivo principale è la percezione che arrivi con la pretesa di mandare in pensione il marketing tradizionale e affini. Niente di più sbagliato. Ogni dipartimento rimane vitale e continua a fare il suo lavoro (e ci mancherebbe altro).

L’evoluzione del ruolo

Era il lontano 2010, Sean Ellis coniò il termine sul suo storico blog tramite l’iconico articolo Find a Growth Hacker for Your Startup.

Dal quel giorno tante cose sono cambiate, l’evoluzione del mestiere è andata di pari passo con le aziende che l’hanno ospitata. Cosa vuol dire? che Dropbox, Google, Facebook (oggi Meta) e tutte le altre sono diventate delle aziende Enterprise: miliardi di fatturato, migliaia di dipendenti, processi, organigrammi.
Il Growth Hacker, libero battitore che si fa carico della sperimentazione della startup ha lasciato il posto ad un mega processo che coinvolge reparti, dati, professionisti di più livelli, manager.

Proviamo a sintetizzare così l’evoluzione del ruolo:

Il lavoro del singolo diventa un processo, guidato da un dipartimento che ha dato luce a diversi nuovi ruoli professionali

Oggi (lì dove un minimo di struttura lo consente) abbiamo un responsabile del dipartimento growth e persino dei nuovi mestieri, che riguardano le sottocategorie legate e marketing e prodotto. Per trovare una grande mole di esempi concreti basta frugare nei job title delle aziende tech, o in molti annunci di lavoro.

Una slide di Accenture: persino loro oggi parlano di strutturazione di team Growth come arma indispensabile per la crescita esplosiva delle piattaforme digitali

Lo sdoganamento e la consacrazione

Il termine è sdoganato, il processo è uscito da i garage e validato nelle grandi aziende (con prodotti online e offline).

Nel 2016 lo storico articolo dell’Harvard Business Review dice in maniera perentoria: Every Company Needs a Growth Manager. Suona come una consacrazione nei piani alti del business che conta.

Nel più recente 2021, persino Accenture ci spiega come si struttura un Growth Team e quanto sia indispensabile per la crescita esponenziale di prodotti digitali.

Nel frattempo, Coca-Cola si lancerà nello storico esperimento dell’assunzione di un Chief Growth Officer e Shake Shack (fast food culto americano) farà il primo growth hacking dei panini, creando importanti precedenti e sdoganando l’approccio Growth fuori dai confini dei prodotti digitali. Chi pensava che fosse solo roba da software della Silicon Valley ha dovuto ricredersi.

L’Hacker è in calo, il Growth è in crescita

Cos’è successo dal 2010? quel nome - Growth Hacker - che richiama così tanto l’uomo solo al comando della crescita è davvero passato di moda, o sono solo io a trovarla una figura (e un nome) che ha fatto il suo tempo?

Google Trends non sarà la bibbia, ma restituisce una suggestione che non lascia spazio a dubbi:

Growth Hacker vs Head of Growth (Google Trends — ultimi 5 anni)

L’Head of Growth è il nuovo responsabile del growth in azienda (con buona pace del termine Hacking (che non riesce ad arrestare il suo declino)

Growth Hacking vs Product Growth (Google Trends — ultimi 5 anni)

Ed i nuovi ruoli di Product Growth e Growth Marketing sono sempre più popolari, con grandi picchi negli ultimi anni.

Growth Hacking vs Growth Marketing (Google Trends ultimi 5 anni)

Non vi basta Google Trends? cercate voi stessi su Linkedin: ad oggi il termine Growth Hacker conta 22.000 profili, contro i 270.000 risultati nella ricerca su Growth Marketing Manager.

La confusione in azienda… e le differenze

Ora veniamo alla parte complessa: le differenze. Ho creato per voi uno schema molto denso di informazioni, per dare una definizione chiara di tutte le caratteristiche del caso. Condividilo pure, per fare consapevolezza in azienda o fra colleghi.

Premessa: da questo schema potrebbe apparire mortificato il ruolo di Digital Marketer. Non è voluto. Trovo che sia un ruolo fondamentale e una specializzazione chiave in molte aziende. Semplicemente, le caratteristiche valutate in tabella (su prodotto e sperimentazione) sono per necessità di esempio più sbilanciate sul mondo Growth.

Una slide per capire tutte le fasi e le caratteristiche (click to zoom)

Cerchiamo di spiegare in pochi concetti le differenze sostanziali (spoiler: no, il digital marketing ed il growth non sono la stessa cosa):

  • Digital Marketer
    Figura chiave che investe il budget pubblicitario in ambito digitale. È importante ricordare che lo fa secondo i principi del piano marketing, dunque sulla base di un budget definito e dei canali specifici di riferimento. Il suo focus è tutto sul migliorare le metriche di acquisizione, conversione e awareness sui canali presidiati.
  • Growth Marketer
    Ha le competenze del digital marketer ma un approccio basato sulla sperimentazione. Il suo compito può essere presidiare i canali presenti, ma soprattutto testarne di nuovi (anche non convenzionali). Tiene un occhio sulle metriche di prodotto, specialmente in fase di onboarding e activation, valutando il valore degli utenti anche in termini economici (cruciale in business model SAAS e Marketplace).
  • Product Growth
    Come da titolo, più che di acquisizione si occupa della fase prodotto. Mette particolare focus sul comportamento degli utenti e li studia attraverso i dati, alla ricerca di spunti di engagement, retention, referral e contenimento del churn. Propone e sperimenta nuove features misurandone efficacia in modalità lean, a stretto contatto del product management.
  • Head of Growth
    Questo ruolo o quello di chiunque lavori genericamente al Growth (senza suffissi), si occupa di entrambe le fasi precedenti. Può essere (nel caso di aziende strutturate) un manager che gestisce le due sotto aree o nel caso di un’azienda piccola, una persona con competenze trasversali che le segue entrambe.

In sintesi: un Digital Marketer non controlla le coorti di un SAAS e non tocca il modello di business, così come chi lavora nel prodotto non tiene d’occhio quanto vengano pagati i lead. Una figura Growth deve tenere d’occhio la visione d’insieme. Per dirla alla Andy Johns (ex Facebook e Twitter):

“Un esperto growth deve misurare e gestire gli utenti che entrano ed escono da un business come un responsabile finance controlla entrate ed uscite economiche”

Parlando proprio di business, nel Growth moderno si è arrivati ad una grande sintesi che lo divide in 3 macro fasi: Acquisition, Retention e Monetization. In quest’ultima slide potete vedere come i focus cambiano in base al reparto, ed il Growth abbia appunto la visione complessiva:

Lo schema di Leah Tharin ci mostra come il Growth, rispetto al team marketing e prodotto, sia il reparto ad avere un focus orizzontale tra Acquisizione, Retention e Monetizzazione

Il ruolo (ed il titolo) crescono in popolarità

Ma non avevamo detto che in Italia questo ruolo fa fatica ad emergere?
Sì, ma nel frattempo… è uscito il nuovo report LinkedIn sui lavori più in trend del 2023.

Indovina chi c’è nella top 10?
Posizione 8 (su 25): Growth Marketing Manager.

Con un piccolo (ma doveroso) flex personale potrei dire che appena un mese fa, nell’ultima newsletter dell’anno, ho inserito il Growth tra i trend 2023 da tenere d’occhio. Poteva sembrare campanilismo, ma la mia intuizione veniva da una maggiore domanda che riscontravo a livello personale e di ecosistema. Ora ci sono i dati quantitativi a confermarlo.

Ecco qualche altro motivo che mi ha portato ad anticipare il trend:

  1. Gli anni belli del performance marketing sono andati. Ne ho goduto appieno, ma quel periodo in cui era la silver bullet a basso costo, non tornerà più.
  2. La fine del periodo vacche grasse, in cui l’organicità ed il prodotto erano messi da parte a fronte di un’acquisizione paid che “brucia cassa ma porta metriche di crescita per gli investor”.
    Pessima scelta che ha lasciato nel limbo molte startup (specialmente nella valle della morte tra Seed e Series A) e che molti continuano a perpetrare…
  3. La crescente consapevolezza della necessità di un processo strutturato di sperimentazione continua e di lettura dei dati: i canali di acquisizione vanno e vengono, i processi ed i framework sono asset che restano (e ti garantiscono non solo crescita, ma sopravvivenza).
  4. La validazione del metodo sul mercato: da più di 10 anni la metodologia Growth porta a casa risultati su nomi troppo grandi per essere ignorati (anche qui in Italia dove le “novità” le guardiamo con diffidenza… e un po’ di snobismo). Ciliegina sulla torta del 2022, l’exit monstre di Figma (se hai vissuto sulla luna: acquistata a 22 miliardi da Adobe) un vero caso da manuale di Product Led Growth.
  5. La crescente mole di annunci di lavoro Growth. Anche se talvolta un po’ fuori focus… ( il 90% cercano Digital Marketer con un nome diverso) ma è comunque un bell’inizio per il nostro ecosistema.

Cosa c’è da aspettarsi? sicuro vedremo un gran fiorire di titoli improvvisati di “growth-qualcosanei prossimi tempi. Poco male, l’importante è arrivare alla giusta awareness del metodo e della consapevolezza. Prepariamoci.

NB. Lo studio e la relativa classifica di LinkedIn si basano sui dati degli ultimi 5 anni della piattaforma sul mercato US. Come sempre: studiare cosa succede oltreoceano per prevedere l’esatto trend che arriverà tra 2–5 anni da noi.

Consigli hiring: come non cannare il tuo prossimo Job Posting

In chiusura: per evitare di finire tra i tanti che si lasciano trasportare dall’hype, vediamo qualche piccolo consiglio basato sui punti precedenti: è importante non postare annunci nati male, creando incomprensioni per chi lo legge e attirando professionisti fuori focus rispetto alle necessità dell’azienda.

  • 👎 Quando NON cercare una figura Growth
    Se ti serve qualcuno che debba gestire le campagne online, il CRM, le mail automation, la SEO, etc. non serve che tu metta Growth davanti. Troppo spesso vedo questo tentativo sia per questioni di trend che nella speranza che questo tipo di figura abbassi la CPL o il CAC con qualche trucco di magia. Spoiler: non sarà così. Mettere un annuncio in ambito Digital Marketing forse sarà meno trendy, ma andrà benissimo.
  • 👍 Quando cercare una figura Growth
    In primis: se devi fare un go-to market di un prodotto innovativo, se hai un business model moderno con alta integrazione prodotto (i soliti SAAS, Marketplace e ibridi) oppure se vuoi testare (a regime!) nuovi canali valutando anche la parte non convenzionale. Qui ho visto errori terribili al contrario: lanci di SAAS B2B early stage tramite gente che fa performance marketing… che ovviamente non sa cosa sia una coorte o il time to value, spendendo tutto in CPC o Meta Ads (errore frequentissimo in Italia, visto anche in ambito VC, giuro). Ragazzi, qui parlate con qualcuno che fa Growth!

Infine, un piccolo spunto: meno CPA e più coraggio

Importantissimo e troppo sottovalutato: una delle caratteristiche chiave del Growth è la sperimentazione sul business model.
Testare modelli di acquisizione (freemium, trial, reverse etc) modelli logistici o revenue (ad esempio: rendere un e-commerce a subscription) è ciò che può fare davvero la differenza.
Questo tipo di interventi sono non di rado il punto di svolta di un business, mentre vedo troppo spesso aziende avvitate su sé stesse, attorno alla sola idea di abbassare la CPA, accanendosi sul marketing.
Il problema poi si incancrenisce quando la crescita del business è del tutto demandata al CMO ( che magari è di stampo prettamente marketing).

Potrei portare molti casi studio personali su questo tipo di sperimentazione e le sue implicazioni (e forse lo farò)… ma questa è un’altra storia.

Sperando di aver chiarito molti punti,
per questa volta è tutto!

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