Vini e Vinile: Leonard Cohen

Massimo Bellei
3 min readMar 27, 2019

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Rocco Rosignoli è cantautore e scrittore, è di Parma. Mi piace il suo modo di entrare nella musica: nota per nota.

Rocco Rosignoli, polistrumentista

Gli sono grato di averci raccontato SONGS of LEONARD COHEN, perchè così ci sono entrato meglio anche io, e magari anche voi…
E a seguire i vini geniali di Daniela Biavati, dalla sua Cantina Garibaldi.

il mio bel giradischi suona Cohen

“È un’alchimia mai sentita di voce, parole e strumenti quella che incatena l’ascoltatore al fascino di Songs of Leonard Cohen, disco d’esordio di una delle voci più influenti del ‘900, datato 1968. Se la carriera letteraria di Leonard Cohen occupa un posto da “minore” nella letteratura del secolo, il suo tirocinio da poeta e romanziere fa sì che quello che approda alla canzone all’età di 34 anni sia già un artista estremamente maturo. Suzanne è il brano d’apertura di questo disco, e resterà per sempre una delle canzoni più note del nostro cantautore. Non esiste ingenuità in quest’album d’esordio: da Suzanne a One of us cannot be wrong, ogni canzone è un meccanismo a orologeria progettato per stimolare corde emotive ben precise nel progredire della musica, delle parole, delle immagini. Dal misterioso triangolo di Master song, passando per la delicatezza di Winter lady e per la rassegnata disperazione di Stranger song, ogni canzone tratta un ambito dell’intimità umana in maniera assolutamente indipendente da ogni morale. Cohen non canta di amori borghesi, ma non scade mai nel clichet antiborghese cui cedono molti suoi ottimi contemporanei. Dal tradimento all’amore fugace, dall’amore di gruppo (Sisters of mercy) alla fine di una relazione (So long Marianne), ogni cosa è immersa in un’atmosfera onirica e messianica, un’attesa infinita entro la quale è lecita ogni azione che non arrechi dolore agli esseri umani. Nella prospettiva dell’autore non c’è morale di sorta né giudizio di alcun tipo. Neppure c’è la volontà di descrivere un mondo sottoproletario: se quel mondo s’affaccia alla narrazione (come in Sories of the street), lo fa mostrando il suo aspetto trascendente, di un continuo anelito d’amore che pervade ogni luogo e ogni persona, di immagini sacre che prendono il posto dei protagonisti delle storie narrate: Suzanne che diventa Nostra Signora del Porto (Our Lady of The Harbour), oppure il giocatore d’azzardo di Stranger Song che si mostra come un Giuseppe in cerca di una mangiatoia. Leonard Cohen, di famiglia e di fede ebraica, fa un uso massiccio di immagini prese dalla mitologia cristiana, in quest’album ma anche nei successivi. La sua letteratura è pervasa di citazioni neo e veterotestamentarie. Ma anche per queste ultime la fonte di solito non è il Tanach ebraico, bensì la cristianissima Bibbia di Re Giacomo (1611), la traduzione inglese più utilizzata dei testi sacri giudaico-cristiani. Ci si può interrogare a lungo sul perché: innanzitutto il contesto sociale in cui Cohen opera è fortemente cristianizzato, e in secondo luogo Cohen ha confessato a volte una sua simpatia infantile per la figura di Gesù. Contiamo inoltre che il fondamento del cristianesimo, ossia il dio che si fa uomo, aderisce fortemente a uno degli aspetti centrali nella poetica di Cohen, quello della trascendenza che si rivela attraverso la fisicità.

Songs of Leonard Cohen è ancora oggi uno dei dischi che ascolto più volentieri. La canzone è una forma d’arte, e l’arte è un’esperienza che cambia la vita. Songs of Leonard Cohen è una fonte inesauribile di stimoli, riflessioni ed emozioni. E sento che cambia la mia vita ogni volta che lo ascolto.

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