“I figli non sono merce!” Ok, ma…

Di utero in affitto e ipocrisie cosmiche

Mondo in Frantumi
3 min readJun 25, 2023
Una donna incinta sorride mentre il mare le arriva alle anche.

Complici il mese del Pride, i progetti del Governo Meloni e alcune vicende giudiziarie in ambito italiano ed europeo, si è tornati a parlare di famiglie omogenitoriali e di una pratica che sebbene non ristretta solo a loro è ad esse associata dai media e dal sentire comune, ovvero la gestazione per altri, più volgarmente conosciuta come “utero in affitto”.

Tra gli oppositori della gestazione per altri, gli argomenti più noti usati da sempre sono due.

Prima di tutto, si dice, il ricorso all’utero in affitto può degenerare in forme di sfruttamento attraverso le quali coppie in cerca di un figlio sfruttano di fatto la disperazione di donne italiane o straniere in situazioni economiche difficili, con il proprio corpo come unica risorsa per sostentarsi; una tesi che avrebbe anche un suo merito, se non fosse per il fatto che tutta questa preoccupazione per la salute dei lavoratori non sembra emergere con altrettanto vigore quando ad essere sfruttati sono i corpi di chi si arrampica su impalcature, pulisce scale, accudisce anziani, eccetera.

In secondo luogo, e con una carica emotiva maggiore, ci raduna attorno al grido “i bambini non sono una merce!”, accusando gli aspiranti genitori di voler usare il denaro per sfidare le leggi della Natura (di Dio?), di ridurre il “miracolo della vita” a un’asettica transazione economica con una gestante prezzolata.

I bambini non sono merce, o almeno non dovrebbero esserlo, è vero: ma in quanti la pensano davvero così, anche tra i contrari all’utero in affitto?

Pensiamoci: quando in Italia e nel Mondo ci si batte il petto per la natalità sempre più bassa, si parla di miracoli e di perpetuare la gioia della vita?

Non proprio; a tener banco sono perlopiù i discorsi sul mercato del lavoro o sulla tenuta del sistema previdenziale, quando non ci si avventura nelle torbide acque della presunta “sostituzione etnica” in atto.

E per tanti genitori, a prescindere da come lo siano diventati, le cose non sono tanto diverse: c’è chi ha figli per venire incontro all’orologio biologico di una fidanzata o alla virilità in cerca di conferma di un compagno, per far contenta la mamma che desidera dei nipotini, per rinsaldare una relazione in crisi, per non sentirsi soli, per avere qualcuno a cui affidarsi in vecchiaia, per perpetuare usi, costumi, religioni, per dare alla famiglia quel dottore/ingegnere/atleta/attore che non si è potuto o voluto diventare in gioventù; ormai ci sono pure gli influencer, per cui ogni bambino è un’opportunità di business.

Ingranaggi della macchina economica, nuovi numeri per il futuro della razza, pegni d’amore, status symbol, denaro contante… così come ieri si cercavano braccia per i campi e gli eserciti, ancora oggi la prole è sfruttata.

E davanti a una così grande verità si dovrebbe davvero credere che gli unici bambini ad essere merce siano quelli nati con la gestazione per altri?

Da sempre i bambini sono poco più che oggetti: privi degli strumenti cognitivi, culturali e legali per opporsi, sono chiamati alla vita e costretti a seguire percorsi in buona parte già tracciati per loro, senza contare i rischi, i pericoli e le tante amarezze che potrebbero incontrare lungo il cammino.

Sì, i bambini sono merce, su questo Pianeta in crisi.

Forse è anche questo a far riflettere tanti giovani di oggi; magari i sostenitori dell’Antinatalismo non sono così matti come potrebbero sembrare a prima vista.

I bambini sono merce, a prescindere dal modo in cui vengono generati.

Ma questo, nella loro battaglia così parziale, tanti dei crociati anti-utero in affitto non lo vedono, o forse non lo vogliono vedere.

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