Music of the Spheres — onLife²

I Coldplay ci ricordano che siamo tutti alieni da qualche parte

Mattia Caggiano
8 min readOct 15, 2021
Music of the Spheres, artwork di Pilar Zeta
La copertina di Music of the Spheres, artwork di Pilar Zeta

Lo scorso album dei Coldplay, Everyday Life, venne annunciato in un periodo del 2019 durante il quale stavo vivendo tutto tranne che la mia vita di tutti i giorni. Ero appena arrivato in Giappone per la prima volta, e ascoltai Arabesque sul treno tra l’aeroporto di Narita e Tokyo.
Oggi, a distanza di una pandemia, non che allora fosse già ciò che è oggi, o che oggi sia ormai giunta a termine, i Coldplay sono tornati a farci viaggiare, letteralmente.
Yellow fu una dei loro primi brani che ascoltai e già allora era evidente la voglia che avevano di confrontarsi, e non solo riflettere, quella luce baluginante emanata dalle stelle.
Ma ciò che l’essere umano intrinsecamente conosce, è che per quanto le stelle possano abbaiarlo, sono i pianeti che vi orbitano intorno la sua meta.
Non a caso, anche se l’obbiettivo sarebbe quello di farci tornare sulla Luna entro la metà del prossimo decennio, i Coldplay riescono a farci approdare in un’altra galassia già oggi, nel 2021.

Ho sempre visto come un incommensurabile valore necessario, il fatto che un album lo sia per davvero, non come insieme scollegato di singoli brani, ma un percorso unico da ascoltare in continuità: un viaggio.
I Coldplay mi hanno iniziato a stregare anni fa anche per questa ragione.
Music of the Spheres, invece, è forse uno degli album in cui i brani sono meno legati fra di loro, almeno per le sonorità.
Naturalmente tornano, come al solito, quegli interludi onirici sui quali si potrebbe quasi desiderare che venga costruita una canzone intera, e che legano una parte del sistema solare all’altra.
Ma in questo caso, le differenze melodiche dei vari pezzi, rappresentano la loro provenienza da pianeti diversi. Un’incoerenza forse necessaria, chi penserebbe che sulla Terra si faccia musica alla stessa maniera di Marte?
La direzione creativa eccezionale di questo album infatti, ruota tutta intorno ai dodici corpi celesti, Neon Moon I, Kaotica, Echo, Kubik, Calypso, Supersolis, Ultra, Floris, Neon Moon II, Epiphane, Infinity Station e Coloratura, del sistema planetario The Spheres.
A ognuno di essi è stato dedicata un’attenzione maniacale, dal design planetare all’invenzione di dodici alfabeti, con i rispettivi fonemi.
Tutti questi sono valori aggiunti, di un lavoro creativo che va ben oltre la melodia.
Grazie a Pilar Zeta, un’artista argentina eccezionale.

Detto ciò, quello che vorrei provare a fare brevemente in questo articolo è riproporre un format rubato a piene mani da YouTube.
Una reaction, ma attraverso il medium letterario. È una prova, chissà che possa funzionare.

Indice

1. Intro

⦵ (1/12)

Già prima di ascoltare questa intro c’è qualcosa da dire, che nome sarebbe questo? Molto semplice, anche se il brano ha come nome ufficiale questo simbolo, ⦵, il titolo è Music of the Spheres.
È interessante che i Coldplay abbiano voluto tentare questa strada, anche se non è esattamente una novità, le emoji, in questo caso simboli probabilmente per un fatto di compatibilità, sono in procinto di essere accettati nel linguaggio scritto già da qualche tempo.

Tipica introduzione, mi ricorda un pò qualcosa di A Head Full of Dreams.
L’ho già accennato prima e lo ribadisco. Qualche volta vorrei che questi suoni estemporanei, che non fanno parte di nessuna canzone, diventassero brani a se stanti. Quando passai dal sentire i Coldplay solo in radio, senza avere ancora Shazam e quindi sapere effettivamente come riascoltarli, ad avere fra le mani iTunes, furono ciò che più mi colpì.
Insieme al fatto che i brani dello stesso album, spesso, fossero letteralmente legati da una melodia in evoluzione.

⦵, quanta aspettativa mi dai.

Higher Power (2/12)

Primo vera canzone dell’album, oltre che primo singolo rilasciato.
Per quanto ogni volta che esce qualcosa di nuovo sia naturalmente una festa, sicuramente questo è uno dei brani più commerciali in assoluto.
Non che sia un aspetto negativo, la melodia funziona, ti da una certa frenesia, tanta buona energia. Ma al tempo stesso non è sicuramente ciò che mi fa innamorare, per intenderci quel che cerco io è più vicino ad High Speed che ad Higher Power.

Probabilmente però è lo scossone giusto da dare insieme all’annuncio di un nuovo album.
“I Coldplay stanno tornando, wow, non vedo l’ora di ascoltare le canzoni che non passeranno mai in radio.” Più o meno suona così, per me.

Humankind (3/12)

Un’altra scarica elettrica, ma sta volta intrisa di quel rock che mi ricorda i vecchi album. Molto meglio per i miei gusti.

Il testo poi inizia a parlarmi, molto più che quello di Higher Power.
Sarà che in ogni momento della nostra vita tendiamo a notare di più quegli eventi negativi, scatenati direttamente da noi. Nella società dello spettacolo, diventiamo tutti i nostri più acerrimi paparazzi, pronti a scovare qualche passo falso.
Humankind ci regala la possibilità di ricordarci che siamo solo umani, fallibili, qualche volta dello stesso pianeta, e altre no.
La retorica dell’uguaglianza con il tempo verrà superata, non sarà più necessaria per ricordarci che

We’re only human
But from another planet
Still, they call us humankind¹

e finalmente ci renderemo conto di quanto è figo essere diversi.

¹Siamo solo umani - Ma da un altro pianeta - Eppure ci chiamano Umanità

2. Refrain (ritornello)

*✧ (4/12)

Il primo interludio dell’album, è qui che inizia la sezione centrale.
Un asterisco e una stellina, nome in codice Alien Choir.

C’è poco da dire, se non ripetere ciò che già ho scritto per ⦵.

Let Somebody Go (5/12)

Probabilmente è la prima volta che sento la voce di Selena Gomez, mi ha stupito.

Questo brano sembra un pò tratto da Ghost Stories, intriso di quella dolce malinconia, che sarebbe curioso scoprire da dove venga.
C’è un pò di Yellow, un pò di The Scientist.
Anche Chris Martin non manca di sottolineare che è “veramente solo un’amabile ballad”, con il tipico testo che fa scontrare il mio cinismo, alla mia voglia di sognare.
Perfetta per i cuori spezzati, che non potrebbero mai dargli torto sentendosi dire

When I called the mathematicians and
I asked them to explain
They said love is only equal to the pain¹

Dovendo scegliere in radio farei risuonare questa, piuttosto che Higher Power.

¹Quando ho chiamato i matematici e - Ho chiesto loro di spiegare - Hanno detto che l’amore è uguale solo al dolore

♡ (6/12)

I Coldplay avevano già provato il gospel in BrokEn, un paio di anni fa, con risultati favolosi. In ♡, per gli amici Human Heart, ritornano a questo genere, ma in una veste più moderna e intima.
Non mi stupirebbe se dalle chiese di Harlem, fra una cinquantina di anni, risuonasse qualcosa del genere, e non mi spiacerebbe assolutamente tornare a visitarlo per sentire come si è evoluto quel canto.

La mia prima sensazione sentendo questa canzone è che sia un inno alla fragilità, eseguito con quella delicatezza di chi vuole davvero raggiungere coloro di cui canta.

We Are King e Jacob Collier rendono tutto perfetto.

People of the Pride (7/12)

Questo è il brano che mi ha fatto più esaltare.
Non te lo aspetti, arriva dopo una canzone quasi sussurrata, e urla a piena voce

We’ll all be free to fall in love
With who we want and say
Yeah, Yeah, Yeah
People of the pride¹

Rock.

Adrenalina e una certa voglia di vedere quel futuro in cui non esisterà discriminazione, ma saremo tutti People of the Pride.
Questa è una viva speranza ed è assolutamente necessario che venga cantata, urlata, invocata, finché non ci sarà andata via la voce.
A quel punto non ci resterà che far partire questa canzone, ora che finalmente la abbiamo.

¹Saremo tutti liberi di innamorarci - Con chi vogliamo e diciamo - Yeah, Yeah, Yeah - Gente del pride

Biutyful (8/12)

Mi viene veramente difficile non sorridere ascoltando questa canzone.
Non so per quale ragione, ma ogni tanto la giusta configurazione di voci e suoni annienta tutta la logica di cui vorrei farmi portatore.
Mi sfugge però quale essa sia, ragion per cui mi viene difficile dire per quale motivo è così orecchiabile e suadente. Quasi dubito che un motivo effettivamente ci sia.
Sicuramente la discrepanza con la canzone precedente fa la sua parte, Chris Martin si occupa del resto. Il tutto senza sapere di chi sia la voce aliena che duetta con lui.
Mistero.

3. Outro

❍ (9/12)

Qui si riassume tutto il messaggio dell’album.

Rebmemer, erehwrmos nelia na si enoyrevE

Tutti siamo alieni da qualche parte.

My Universe (10/12)

BTS.
Chris Martin narra che questa canzone sia nata proprio dai rumor che negli ultimi anni sono circolati su Twitter.

Questo brano però è l’espediente perfetto per raccontare come mai, anche laddove le sonorità e le intenzioni dei Coldplay sono più commerciali, è veramente difficile trovare una loro canzone che non mi piaccia.
My Universe racchiude la possibilità di fare un successo planetare, sfruttando l’occasione per dar vita a una commistione che forse ci serviva.

Oltre al brano però, per godere a pieno dell’unione di questi due gruppi, si dovrebbe guardare il video documentario che racconta dei due giorni in cui Chris Martin, nel pieno di una pandemia, è partito per andare in Corea a registrare con i BTS.
Forse il bello di tutto ciò è il viaggio, concettuale e non.
Grazie a loro viviamo un pò tutti quel piacere di sentire parole orecchiabili, ma incomprensibili senza sapere il coreano, come accade per chi non conosce l’inglese e ascolta i Coldplay.
Carina.

∞ (11/12)

Un minimo di disorientamento ascoltando l’inizio di questo, per così dire, inno da stadio.
D’altronde ci troviamo su un pianeta diverso di quello da cui provenivano le note dello scorso brano.

Lentamente però ti prende, ti culla e ti far venire voglia di proseguire la hola che ha iniziato.
È etereo, ma parallelamente ti fa sentire tutti coloro che intorno a te stanno vedendo quella visione che si è palesata di fronte a te.
È concreto, ma ti solleva in un turbine di sentimenti, che forse desideravi nascondere a te stesso, ma dopo ciò che segue non sarà più possibile.

Coloratura (12/12)

È assurdo come la fine di un viaggio corrisponda all’inizio di un altro.
Si giunge a Coloratura pensando di essere quasi a casa, invece si è semplicemente raggiunto il punto più lontano in assoluto da essa.

Controcorrente, anti-radio, sorprendente.
Qualcuno dice che ricorda i Pink Floyd, qualcuno se la prende sentendolo.
In realtà ci sono i Coldplay a ricordarci che si può fare una canzone di 10 minuti senza minimamente farteli sentire.
Rendendo la singolarità una pluralità perfettamente legata, inducendoci ad amalgamarci con essa. Siamo finalmente ovunque.

Il meglio che resterà di questo album.

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