Interactive News Stories, what’s next?
Oggi a #NISMIL abbiamo discusso di qualcosa che non ha ancora un nome in italiano.
In inglese ce n’è uno — interactive — ma è così generico, che forse ormai non vuol dire più molto. In Francia e in altri paesi europei è molto diffuso il termine webdoc.
Entrambi fanno riferimento a contenuti nativi digitali, pensati per essere prodotti e fruiti direttamente online e che, solitamente, presentano un mix di questi elementi:
- multimedialità
- non-linearità
- approccio visual-first
- contenuti data-driven
Tre macro-format
L’Advanced Media Institute dell’Università di Berkeley ha provato a costruire una tassonomia di quelle che chiama “digital stories packages”. Si tratta di un lavoro in fieri iniziato molti anni fa. Con l’evoluzione del genere sono cresciute anche le diverse categorie. E il tutto risulta davvero un po’ troppo confuso…
Mi sembra più utile, invece, la distinzione che ha fatto il Nytimes nei suoi “Best of interactive” pubblicati nel 2014 e del 2015, dove distingue tra 5–6 diverse categorie, che però possono essere ridotte a 3 grandi famiglie di format:
- Longform e Multimedia Stories
Sono storie in cui la matrice principale è quella narrativa. Non si tratta solo di longform (come Snow Fall, che hanno fatto scuola e creato un nuovo genere), ma anche di feature multimediali più brevi costruite con tecniche avanzate di storytelling.
2. Data visualizations e Data-driven stories
La visualizzazione e l’esplorazione di grandi set di dati sono centrali in questi “interactive” che usano i dati come nuova forma di oggettività e ci fanno vedere con occhi diversi problemi complessi. Come nel caso della bellissima “The Flow towards Europe” di Lucify
3. Visual Features e Video Stories
Qui rientra il vasto campo delle infografiche interattive o dei video in motion-graphics che, soprattutto nel campo dell’explanatory journalism, possono essere molto più efficaci rispetto a un testo.
3 sfide per il futuro
Storie, dati, approccio visual-first.
Sono proprio questi i tre elementi che stanno lentamente emergendo come fondamentali per realizzare un buon “interactive”.
E proprio dal loro mix mi sembra che possa emergere un modello più virtuoso per tutti, a patto però che sappiamo alcuni aggiustamenti rispetto al passato.
- Kitchen Sink vs. Storytelling
Lentamente ci stiamo lasciando alle spalle quei modelli che vedono negli “interactive” un “kitchen sink”, un contenitore dentro cui mettere di tutto di più (video, mappe, timeline, foto, etc), spesso alla rinfusa, con l’alibi del fornire al lettore accesso a tutti i materiali.
Ad un primo livello di fruizione, è meglio avere una buona storia e saperla raccontare in poco tempo.
E’ quello che fa uno dei migliori interactive realizzati negli ultimi anni Out of Sight, Out of Mind:
livello 1) racconta una storia in meno di 1 minuto attraverso un approccio data-driven;
livello 2) mi permette di accedere ed esplorare tutto il database.
2. Data-base vs. Data-Curation
I dati sono sacri, sono la nuova oggettività etc etc… Tutto vero, tutto bello. Ma non è detto che chiunque sappia consultare un database, né che sappia leggere un grafico cartesiano.
Va bene costruire sempre più storie data-driven, ma non è detto che l’output finale debba per forza essere il database con accesso integrale ai dati.
Il database può essere uno degli elementi di un interactive, a cui si accede solo dopo averlo attraversato con l’aiuto degli autori. E’ quello che ha fatto in maniera eccellente Inc. quando ha pubblicato questo interactive sulle 500 startup che sono cresciute di più: il database è solo l’ultimo livello di consultazione, il primo, invece, è un micro-racconto interattivo che dura meno di 1 minuto!
3. DIY vs. Visual shortcuts— Per lungo tempo si è pensato che ai lettori piacesse costruirsi i propri percorsi di esplorazione, che fosse meglio lasciarli liberi di muoversi, piuttosto che dargli un percorso obbligato. E che tutti fossimo alla ricerca di storie-puzzle da assemblare secondo una logica Do-It-Yourself.
Risultato? Decine di bellissimi interactive dall’effetto wow, dove anche gli utenti più avanzati si sentono spaesati dopo pochi secondi.
Una tendenza che vedo affermarsi con sempre più piacere sono gli strumenti di “scorciatoia visiva” o “tour guidato”: dal momento che immergiamo l’utente in un micro-ambiente in cui non sappiamo come muoverci, è bene che ci sia una segnaletica o un percorso chiaro che ci indichi la strada.
Non solo per i comandi interattivi, ma anche per la dimensione narrativa, come fa Bloomberg in questa fantastica data-visualization sul surriscaldamento . Anche chi non ha mai visto un grafico cartesiano, sarebbe in grado di capirlo!