Incorporare lo scorrere del tempo

Nicoletta Daldanise
4 min readMar 2, 2019

Si parla di arte o di libri? Di femminile o di rifiuto della definizione?
La risposta di Anni è la prima rubrica indecisa, che non vuole porsi limiti d’indagine e che si perde in mille divagazioni.
Se vogliamo continuare ad essere imprecise, non si tratta neanche della risposta di Anni (Albers, per inciso), ma di alcune delle mie interpretazioni.

“Perché dipingi?” le fu chiesto dal grande maestro Oskar Kokoschka, intendendo capire cosa saltasse in mente ad una ragazza degli anni Venti. Quando poi s’iscrisse al Bauhaus, la più grande scuola europea di arte e design, le fu addirittura impedito di frequentare il corso di pittura.
Così Anni, per tutta risposta, diventò una delle artiste più influenti del ‘900 grazie alle sue opere tessili, inventando di fatto un genere ed inaugurando la sua prima personale al MOMA di New York, appena due mesi dopo quella di Kokoschka.

Perché alcune donne hanno deciso di parlare della propria identità attraverso l’arte?

Anni era una grande sperimentatrice, tesseva unendo tecniche di automazione a quelle manuali, componeva trame geometriche nodo per nodo, come se stesse registrando un’eco interna, interrotta da qualcosa che la toccava mentre lavorava o da un suono che le arrivava all’orecchio all’improvviso. Ogni sua opera tessile è diversa dall’altra, perché la regolarità delle linee s’interrompe in maniera cadenzata e poi prosegue lungo un percorso tutto irregolare. Ogni lavoro è una lotta di mediazione tra interno ed esterno, è la ricerca quotidiana del proprio unico linguaggio…

Ticchetta il dito di qualcuno sul tavolo, fruscia la penna sul foglio d’appunti, batte il mio piede spazientito dall’ascolto cieco della sala laterale della GAM, dove ci hanno fatto accomodare con Annalisa e Claudia per la troppa folla che si è accalcata ad ascoltare Nadia Fusini, traduttrice ufficiale di Virginia Woolf. Le parole arrivano d’un tratto forti e chiare: « Virginia Woolf intendeva il tempo come ritmo ». La scrittrice de Le Onde usava quell’intermittenza di suono come forma narrativa, perché voleva catturare la fluidità della vita dovuta alla crescita dei suoi personaggi, la loro eterna mutazione.

Allora comprendo finalmente cosa registrava Anni con il suo telaio: un ritmo, il tempo!

La partecipazione della Fusini a questo incontro è stata voluta da un’artista, Maria Morganti. Tutta la sua indagine pittorica è, per l’appunto, dedicata al tempo. Con la sua opera ha scelto di farsi testimone delle sue giornate, i suoi dipinti sono narrazione, diario. Tela su tela, colore dopo colore, acquistano letteralmente spessore grazie allo scorrere delle ore, cercando di rappresentare il concetto più astratto che la nostra mente riesca a concepire.

Cosa hanno in comune Anni, Virginia, Maria in epoche così diverse? Cosa le unisce a molte altre al di là dei secoli e delle geografie? C’è una relazione tra le limitazioni sociali e fisiche subite dalle donne nella storia e il fatto che nelle proprie tracce si siano spesso elette a custodi del tempo, interpreti del suo passaggio?

Mentre mi perdo nelle mie riflessioni, l’ospite della serata m’inchioda di nuovo: la traduzione è una forma di scrittura e io, tra me e me, bofonchio divertita che la scrittura e l’arte sono una forma di traduzione.

Ed ecco di nuovo la Woolf a darci man forte, a parlare di “embodiment” ovvero d’incarnazione, descrivendo l’atto con cui il pensiero trabocca dalla mente per essere ingabbiato a forza nella pagina. Così la immagino seduta scompostamente alla scrivania e mi confermo nell’idea che la scrittura sia tutto l’opposto di un’occupazione quieta… sudore, contorcimento, occhi che si strizzano e crampi nelle mani.

Allo stesso modo, tutte le volte che ho lavorato con artisti che usavano la pittura astratta come mezzo espressivo, sono rimasta affascinata dalla fisicità dei loro gesti. Quello che sembra essere un insieme confuso di linee e colori, non è altro che la traduzione più letterale di ciò che è successo in quel preciso istante, più o meno prolungato nel tempo: un movimento, uno spostamento fisico, una caduta, un rialzarsi in piedi.

Me lo ha insegnato una giovane artista portoghese, Ana Manso, quando mi ha spiegato che tutto ciò che le accadeva nel corso delle settimane precedenti alla mostra finiva necessariamente sulla tela. In ogni pennellata doveva esserci qualcosa di diverso, dato dal nervosismo, dalla gioia e così via. Un moto che potremmo definire “ondoso”? Cercando altri esempi di questa pratica, scopro le parole di Marta Soares, che descrive il processo con cui la materia fa il calco alla sua vita: « Non vi è dubbio se non inconsapevolezza dell’iscrizione, non vi è dubbio se non l’assenza d’intuizione. Solo al centro dell’iscrizione possiamo annullare la dualità, la dualità che esiste quando la forza di un contro-destino opera e questa opera sempre mentre il contro-destino non ha forma né nome ».

Inconsapevolezza, dualità, intuizione: altre parole cariche di suggestioni, altre chiavi narrative… la prossima volta.

mariamorganti.it

anamanso.net

martassoares.com

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Nicoletta Daldanise

Curatrice d’arte. Leggo le città, ascolto chi le abita e promuovo un approccio culturale al viaggio www.nicolettadaldanise.com