Nicolò Rovere
Tangramag
Published in
7 min readFeb 11, 2019

--

I Negazionismi storico-propagandistici del 1900

“ Per quei civili che hanno avuto la fortuna di sopravvivere alle privazioni, alla deportazione, al massacro tali ferite sono rimaste fervide nell’animo. La più grande questione ancora aperta della seconda guerra mondiale è l’umana sofferenza”

Martin Gilbert “ La grande storia della seconda guerra mondiale”

Lo spartiacque della storia umana contemporanea, l’abisso culturale verso il quale fu tesa l’Europa, la china di atroci sofferenze mai lambita: la guerra distrusse il mondo preesistente ma non preparò la pace e la concordanza dei popoli, sconfitta la follia nazionalsocialista, bensì legittimò, non si curò e abnegò disastri umani non quantificabili, che ancora oggi non trovano giustizia.

Comprendere, attraverso la frase del grande storico M. Gilbert, le dinamiche dell’eredità del secondo conflitto mondiale significa determinare e comprendere gli effetti disastrosi ma altrettanto futuribili di un fenomeno in grado di cambiare la fisionomia del mondo in divenire oltre che causare più di 46 milioni di vittime. Lo storico Eric Hobsbawm definì il 900 come ”il secolo breve”, un immenso sistema coordinato da fatti inalienabili e indissolubili, il frutto di un epoca di guerra totale. Sarebbe inconcepibile definire la spaccatura geopolitica all’indomani del secondo conflitto mondiale senza prendere atto delle trasformazioni politico-sociali, della situazione tutt’altro che stabile all’interno della coalizione alleata e dei differenti interessi delle forze in campo. L’8 maggio 1945 la guerra in Europa era ufficialmente terminata ( la guerra del Pacifico finì il 15 agosto dello stesso anno) ma la crepa nel fronte alleato creò presupposti tanto gravi quanto lo furono le minacce nazionalsocialiste appena sgominate. “ Un’ombra è calata in scena di recente così vivamente illuminata dalla vittoria degli alleati. Nessuno sa cosa che cosa intendano fare nell’immediato futuro la Russia e la sua organizzazione comunista internazionale, né quali siano i limiti, ammesso che esistano, delle loro tendenze espansionistiche e del loro proselitismo. Un sipario di ferro è calato sull’Europa”

Così Winston Churchill inaugurò profeticamente e in modo assai lungimirante l’inizio inesorabile di un altro conflitto indissolubile, definendo la “cortina di ferro” fra occidente e URSS come un presupposto per un nuovo, possibile conflitto.

Una prospettiva oscura e minacciosa, una separazione ideale e decisamente geopolitica spaccava il mondo in blocchi inconciliabili, rendendo spesso utopico un orizzonte di pace e speranza. Le testimonianze di progetti inediti nel loro odio e nella loro rivoluzione bellica sono vaste: le violenze a Nanchino nel 1937, le fosse di Katyn e i massacri sovietici in Polonia nel 1940, l’Holodomor ucraino. Ebbene, non solamente, le conseguenze della soluzione finale piano Heydrich della Germania. Esse non possono che minare definitivamente le fondamenta di un nuovo ideale di mondo

Si prenda sotto esame la filosofia del maestro del dubbio Friedrich Wilhelm Nietzsche e si metta a confronto l’opera “La Volontà di Potenza” e il mondo dilaniato del 900; che cosa si scorge se non un immane senso di abbandono, di fallimento di grandiose prospettive filosofiche e nazionalistiche?

Come affermava Bertrand Russell, è certamente assurdo definire la storia coi canoni della filosofia, perché essa è solo una guida astratta incapace di portare il peso degli errori adoperati nel mondo comune del popolo. La filosofia del pensatore di Rocken ci pone di fronte ad una delle più maestose ed euristiche premonizioni che la storia abbia mai prodotto, espressione concreta della dissoluzione morale e politica verso cui siamo giunti.

Proprio il repentino fallimento della tanto ricercata Potenza di ispirazione Nietzschiana ad opera di Hitler e Mussolini definì la caducità e gli effetti devastanti legati ad un adempimento pragmatico di certi ideali.

Il fallimento dei nazionalismi fu, per ogni paese, il fallimento di un qualunque progetto politico di vasto respiro e ciò influenzò il futuro dell’Occidente nella sua interezza. La risposta alla pace era forse proprio in quelle democrazie tanto vessate e ammutolite nate dopo il primo conflitto mondiale.

Conseguentemente, il fallimento dei nazionalismi non fu solamente la fine di un pensiero politico in Occidente ma, a causa della perdita dell’egemonia da parte dell’Europa, la sconfitta morale di un continente uscito indebolito e diviso fu un disastro per ogni nazione vincitrice o sconfitta.

Il destino dell’Europa, finito in una lapidazione di massa causata da vane espressioni di Potenza e antichi odi segnò il termine ultimo dell’ideale di una volontà di massa sotto la guida di un obiettivo unico e supremo

L’eredità della “Grande Guerra” all’alba del termine del secondo conflitto mondiale appare determinante per comprendere la pregnanza politica degli ideali nazionalisti in tutta Europa, capaci di determinare il crollo della “Società delle Nazioni” e la nascita di fenomeni prima impensabili. Una massa inestricabile di violenza, di conseguenze politiche e di sentimenti di nazioni pervase dal senso di conquista e della ricerca di un’ideale sfera di influenza, di una auto-prosperità, portarono nazioni diverse nelle mani dell’ambizione folle ma incredibilmente affascinante rappresentata da uomini come Hitler, Lenin o Mussolini.

Il fallimento della Repubblica di Weimar, già a partire dal Pusch di Monaco del 1923, fu solo la cima di un iceberg ben più profondo e variegato: la realtà ineluttabile della spasmodica ricerca di un ideale superiore. Nelle parole di Hitler: “ la volontà comune del Volk tedesco in vista di un’Europa unita superiore alle minoranze spurie dominate dal bolscevismo giudaico”.

Sembrerà forse fuori luogo definire il complesso dei problemi legati al Dopoguerra coi canoni dell’efferatezza antisemita e nazionalista del terzo Reich ma, sono proprio questi resti a fornire soffice terreno all’odio e alla vendetta del secondo dopoguerra, ai crimini comunisti e infine alla spietata realtà della guerra fredda. Infine, il superamento di ciò, permise ad un’Italia ed un’Europa distrutta e frammentata, una resurrezione politica e sociale al fine di un moderno ordine mondiale.

In effetti il “fallimento storico dei nazionalismi” , della volontà di potenza e della guerra mondiale sono malfermo ma unico cemento sul quale costruire fondamenta per un’Europa unita. La dissoluzione di certi ideali politici, capaci di essere creatori di reali abomini quali la pretesa di una superiorità della razza, lo spazio vitale o l’ideale di un impero immortale e immutabile di fronte alla modernità e allo scorrere dei tempi, cementarono un futuro unito, progressista e migliore.

Ma così fu soltanto in apparenza.

Chi conosce davvero il costo di vite del comunismo totalitaristico? Forse solo la scura coltre di abnegazione adoperata dai politici maestri annegatori del Novecento è superiore alla dissoluzione morale, al marcio nelle fondamenta di un pensiero comunista violentemente inteso e alle oltre 100 milioni di vittime causate da : Cina Maoista con la sua rieducazione e massacro ( 70 milioni di morti certificati dal recente saggio “Mao” di Jung Chang ), la sconcertante violenza della Cambogia durante il periodo Khmer rosso, il Vietnam, la Corea del Nord, Il Laos, la Russia comunista della “Tragedia di un popolo” come la nomina Orlando Figes, con i suoi 20–30 milioni morti, per non parlare dei casi di massacro semisepolti dell’Africa ( Mozambico, Etiopia e Angola) e del Sendero Luminoso peruviano, i quali meritano studi approfonditi.

Ma parlarne è un atto fondamentale, lo dobbiamo alle vittime spesso dimenticate o peggio considerate come mai esistite, lo dobbiamo a noi affinché tutto ciò non si ripeta ma soprattutto perché è fondamentale per capire che condannare senza mezzi termini alcuni per idolatrarne altri, permetterà solo la riproposizione degli stessi problemi, abnegando una grande fetta di crimini scomodi.

La storia ha fatto il suo corso e giudicare a posteriori comporta sempre il rischio di aborrire l’Ordo ovvero la capacità di discrezione fondante per non incorrere in superficialità e arbitrarietà terrificanti nell’atto di comprensione storico-politica. Eppure quale ricordo, oggi, sulle nostre trasmissioni televisive, riporta alle 7 milioni di vittime fieramente massacrate e lasciate morire di fame dal governo di Stalin durante la repressione che addirittura risale agli anni 1933–34. Ebbene, gli ucraini, i polacchi massacrati da Stalin non sono ricordati, pone un problema la loro rimembranza, è un atto politico dannoso per chi vuole presentare una storia che è solo bianca o nera, dove le sfumature e la realtà truce scompaiono in una nebbia troppo coltre per essere penetrata.

Quale intellettuale oggi condanna il terrorismo rosso durante gli anni di piombo. Perché mercenari come Fidel e “Il Chè” oggi sono miti ed esempi in Centro e Sud America e forniscono casus belli per evitare estradizioni a pericolosi criminali? Perché questo è. Piaccia o meno.

Cosa lo dimostra?

Stuoli di intellettuali, giornalista, cantanti e altri miopi membri dello star system, tutti all’unisono tesi a difendere un criminale terrorista autore di omicidi e furti ma mascherato da combattente del fronte socialista. Questo, che tutti lo condannino e tutti lo confermino, Battisti, difeso da verminosi negazionisti folli e invasati di una sinistra che vive nel mondo della falsità, dell’assurdo e dell’incapacità di condannare un qualcuno macchiatosi di atrocità poichè battente bandiera comunista, fu chiamato “intellettuale vero” da loro.

E ancora: giornalisti italiani che non impiegano che un secondo per bandire come nazionalisti antisemiti individui polacchi giunti a protestare presso il campo di Auschwitz per come le vittime polacche, morte nello stesso campo non vengano ricordate a sufficienza e della moltitudine assassinata dalla Russia comunista, assolutamente non ricordata.

Questi potevano essere nazionalisti, populisti e qualunquisti ma non hanno un filo di ragione? Non siamo ipocriti: la loro rabbia è giustificata perché, tanto dalla Santa Madre Russia quanto da noi occidentali, essi sono sempre stati trattati come vittime di secondo piano. Non era legata all’antisemitismo la loro presenza bensì all’abnegazione di un massacro dimenticato, sconosciuto e più profondamente politicamente scomodo.

La storia sia aperta alla verità, a tutta la verità, non solo ad una parte. E si ricordi tutto ciò che va ricordato. Mentre, a dire il vero, rispetto al mio elenco sopracitato, mettiamoci una mano sul cuore, chiunque, di un partito piuttosto che di un altro: sappiamo egualmente di tutte tali vicende oppure qualcuna prevarica e giganteggia sulle altre e molte di esse non sono addirittura mai state udite dal nostro “delicatissimo e politicizzato” orecchio?

Nicolò Rovere

--

--

Nicolò Rovere
Tangramag

Dottore in Storia, specializzando in Storia del Medioevo e Storia delle Crociate. Obiettivi nella scrittura: sinergia e approfondimenti fra storia e politica.