Le trivelle, le occasioni perdute e un po’ di nostalgia degli anni ‘70

pietro.antonioli
5 min readApr 18, 2016

Alla fine il quorum non è stato raggiunto. Ho trovato stucchevole la discussione, che parte e riparte ogni volta, se bisogna andare a votare sempre e comunque ai referendum abrogativi o se l’astensione è un’opzione legittima. Ho trovato stucchevole la discussione, che parte e riparte ogni volta, sul significato politico, al di là del merito del quesito.

Nel merito il quesito era piuttosto marginale. Lo hanno riconosciuto tutti: quelli del sì, quelli del no, quelli dell’astensione. E a seconda dei significati che si davano c’erano poi ottime ragioni per il sì, per il no e per l’astensione. Non ho voglia di discuterne.

Ma mi sono chiesto come si è potuti arrivare fino qui. Come abbiamo potuto fare secchi 300 milioni di euro per una questione marginale. Come abbiamo potuto, in un tempo di grave disaffezione alla politica e alla partecipazione, costruire un appuntamento di partecipazione in modo così bislacco. Come può succedere che una consultazione popolare quale è un referendum sia ormai da tempo, il giorno dopo, un’occasione perduta.

Le risposte che mi sono dato non mi piacciono molto, ma provo a elencarle.

  1. Il decreto Sblocca Italia 2014 del Governo Renzi, per usare un pacato eufemismo, non era granché. Lo stesso si può dire del decreto Sviluppo del Governo Monti del 2012. Provvedimenti nati con l’ansia di fare ripartire l’Italia e dalla frustrazione che tanti lavori, opere e infrastrutture sono drammaticamente fermi in una palude burocratica. Un provvedimento quello del 2014 che voleva appunto sbloccarli. Un provvedimento “con tanta roba dentro” (edilizia, infrastrutture, ferrovie, appalti, bonifiche, dissesto idrogeologico, cassa in deroga, concessioni petrolifere appunto), che da un punto di vista ambientale è stato giustamente molto criticato e che in materia di strategia energetica nazionale ha espresso ben poco. E di fronte alle proteste delle Regioni il Governo è corso ai ripari dando loro ragione praticamente su tutta la linea. A parte su una questione, appunto, marginale. Ma rimane un dato di fondo: lo Sblocca Italia del 2014 e il decreto Sviluppo del 2012 non erano granché. Bene che il Governo si è corretto (e ha corretto il Governo Monti) sotto la pressione delle Regioni. Ma per lavorare davvero sulla green economy come motore di sviluppo per il paese l’Italia può e deve fare di più. Pianificare una transizione energetica in un paese di 60 milioni di abitanti è una cosa complicata. Ridurre un dibattito così importante a 44 concessioni in scadenza di piattaforme che producono una piccola quota del fabbisogno nazionale di gas e petrolio è un’occasione perduta.
  2. Ma se le Regioni hanno aiutato il Governo a correggersi si può però allora anche dire che hanno fatto un buon lavoro. Ma questo è il bicchiere mezzo pieno. C’è anche quello mezzo vuoto. Il conflitto tra Stato e Regioni continua ad aumentare. Dopo centinaia di ricorsi alla Corte Costituzionale (dello Stato o delle Regioni) adesso viene anche brandita l’arma del referendum. E la diatriba in questo caso ha assunto anche un non troppo vago sapore di faida interna dentro al PD con danni collaterali relativi. Sono pessime notizie e pessimi precedenti. Non è chiaro se la riforma Costituzionale che voteremo a ottobre sanerà questo problema, ma almeno ci sono una serie di importanti correttivi in questa direzione (sia nelle competenze delle Regioni che nella disciplina dei referendum e delle leggi di iniziativa popolare). Peraltro rimarrà la possibilità di promuovere referendum su richiesta di almeno cinque consigli regionali cosa che ritengo discutibile e pericolosa. Sia come sia, per sbloccare l’Italia dobbiamo anche diminuire la conflittualità interna, quella dei ricorsi e delle carte bollate. Nei condomini e tra Stato e Regioni. Il fallimentare confronto tra Stato e Regioni che ha portato a questo referendum è un’altra occasione perduta.
  3. I referendum in Italia sono stati devastati da un loro insano uso iniziato a partire dagli anni ’80 e culminato negli anni ‘90. Di fatto ora la sfida è raggiungere il quorum. Dopo i referendum degli anni ’70 su alcune profonde questioni (divorzio e aborto, ma anche ergastolo e Legge Reale) e vari passaggi più o meno rilevanti negli anni ’80, una deriva inesorabile si è innescata paradossalmente proprio con il referendum di Segni sulle preferenze del 1991 che fu così importante. Perché abrogando solo poche parole si cambiava davvero una legge (nello specifico per il Senato si passava di fatto da un proporzionale a un uninominale secco di collegio). Ma da allora in poi tutti a immaginarci che con piccoli colpi di forbice si possano davvero cucire buone nuove leggi, anche su argomenti inesorabilmente complessi. O inesorabilmente marginali ma attribuendo loro più o meno improbabili significati politici. Abbiamo pensato di potere abolire il Ministero dell’Agricoltura per poi doverci inventare di lì a poco quello delle Politiche Agricole. O di chiamare tutti alle urne per abolire il Pubblico Registro Automobilistico. Una cosa che, se fossi deputato, peraltro cercherei di fare. Ma se ci provi con i referendum poi la gente si stufa. E non viene più a votare. E perdi un’occasione importante di partecipazione.

Insomma eccomi ad aprile 2016 ad avere quasi perfino un po’ di nostalgia di.. Fanfani. Vista con gli occhi di adesso la maggioranza della DC del 1974 che chiama alle urne tutti gli italiani per un referendum per abolire la legge che ha finalmente permesso loro di divorziare quattro anni prima fa quasi tenerezza. E ci pare una pazzia incomprensibile. Nel 1974 ero bambino ma ricordo bene il momento. Mi ricordo ancora mia madre, fervente cattolica e profondamente laica, che votò NO e tornò a casa dicendoci “Oggi ho dato un dispiacere al Papa ma non potevo proprio votare SÌ”. Fanfani, il Papa e tutti i proponenti furono incapaci di comprendere i mutamenti avvenuti nella società. E persero alla grande. Meno male. La loro sconfitta fu una bella tappa nel cammino dell’Italia verso una società più laica. Però almeno proposero un referendum su una questione chiara, dirimente, che scuoteva la coscienza popolare. E volevano abolire una intera legge, non modificarla con micro-cambiamenti di non sempre chiaro esito.

Forse, se vogliamo usare i referendum abrogativi per quello che sono e non trasformarli ogni volta in occasioni perdute, dovremmo tornare alle origini.

--

--

pietro.antonioli

Fisico di professione, appassionato di politica, scienza, diritti umani e lotta alla povertà.