2. Pad. ai Giardini — Biennale d’Arte 2019 Venezia

Dal nostro inviato Claudio Barna

Mnamon
3 min readJan 14, 2020

2. Il Padiglione ai Giardini e il mito del Labirinto

Per dare un’idea della proposta della Biennale 2019 forse conviene iniziare dal padiglione centrale dei Giardini (foto Corriere della Sera).

Entrando, si costeggiano gli altri padiglioni nazionali precedenti, Spagna, Belgio, Olanda, e si arriva al padiglione centrale, dove attualmente espongono artisti fuori, appunto, dai canoni di una nazione. Tuttavia, una densa nebbia avvolge il padiglione, tanto che per i vapori è difficile leggere le scritte, e si entra a stento nell’ingresso. Confusione, o tentativo di crearla, non solo suggestione. Di ciò che vedemmo all’interno darò qualche cenno in pagine successive. Vorrei ora insistere su questo “concetto” di confusione. Perché all’interno fu facile perdersi, e naturalmente venne il momento di voler uscire.

Si cercò del personale, difficile, non a caso, a trovarsi. Alla fine, trovata una ragazza con la camicia del personale, chiesi dov’era l’uscita. Mi diede una direzione, in cui si trovava, per dover uscire, l’opera di Ryoji Ikeda, Spectra III, composta da un corridoio di tubi luminosi fluorescenti, che però abbagliavano. Dissi alla ragazza che avevo già provato a passare di lì, ma non era stato possibile, perché mi dolevano gli occhi, perché abbagliati. Lei mi rispose che l’intento era appunto quello. Mi caddero le braccia. Chiesi un’altra uscita, e, dopo essermi perduto di nuovo, dopo aver chiesto ancora, finalmente la trovai.

Riassumendo: se si entra nella confusione, fino a perdere la strada, se per uscirne si deve sottostare a una provocazione violenta, mi sembra che si sia perduto l’algoritmo fondamentale per l’uscita da un labirinto. Ricordo il mito, per provare a chiarire: Teseo doveva entrare nel labirinto costruito da Minosse per uccidere il terribile mostro cannibale, il Minotauro. Venne aiutato da Arianna, che gli consigliò di attaccare il capo di un filo all’entrata e di svolgere il gomitolo avanzando nel labirinto: dunque, per ritrovare l’uscita, sarebbe bastato riavvolgere il filo. Il filo di Arianna. Proprio ciò che è mancato. Inoltre, l’uccisione del mostro, che può essere interno o esterno, viene rovesciata, perché se non proviamo la liberazione dell’uscire, ma soffriamo, il mostro non lo troviamo all’interno del labirinto, ma, paradossalmente, all’uscita.

A questo punto, essendo il mito stravolto, e i suoi innumerevoli significati pervertiti, viene spontanea una domanda: come possiamo allora uscire dai labirinti? Quale Arianna ci darà il suo filo? Nell’arte si cerca un interprete: il critico, figura praticamente onnipotente, se determina cosa è arte e cosa no. Ma la domanda, inquietante, è: se il mito del filo di Arianna è pervertito, come possiamo fidarci del critico? Per tentare di rassicurare, se possibile, l’eventuale lettore, direi di aspettare l’ultimo articolo, su un totale complessivo di una decina, quando concluderemo il percorso, che è, come abbiamo visto, una riflessione sul difficile cammino di comprensione dell’idea del moderno e cercheremo di vedere una luce.

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Claudio Barna

Nato nel 1958 a Domodossola (VB), si è laureato in lettere classiche.
Ha insegnato all’Università di Kaunas (Lituania).
Collabora con l’Università degli Studi di Milano.
Parla Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo e Lituano.
È single e non ha figli.
Ha una forte passione per la musica.
Ha pubblicato 11 volumi di poesie e un romanzo.

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