“Fuck committees (I believe in lunatics)”, doppia pagina da Tibor Kalman: Perverse Optimist, a cura di Peter Hall e Michael Bierut, Princeton Architectural Press, New York, 1998. Foto Stefano Vittori

Clienti e committenti

Le ragioni di questo numero

redazione progettografico
Progetto grafico
Published in
9 min readMay 3, 2016

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In un momento di generale difficoltà economica e di cambiamenti continui nell’area della comunicazione visiva, «Progetto grafico» rimette al centro della discussione il tema della committenza e della sua relazione con i progettisti.

Di Carlo Vinti e Davide Fornari

Questo articolo (here in English) è stato pubblicato su Progetto grafico, rivista internazionale di grafica edita dall’Aiap, Associazione Italiana design della comunicazione visiva. Il numero 29, “Committenza”, è a cura di Carlo Vinti e Davide Fornari con Ricardo Falcinelli. Sul sito dell’Aiap è possibile abbonarsi o acquistare il numero.

Storicamente, i clienti industriali, commerciali o istituzionali non hanno soltanto fornito ai grafici opportunità di lavoro e sostegno economico. Hanno anche influito sulle loro scelte progettuali e giocato un ruolo importante nel costruire l’immagine che i designer hanno di sé come professionisti. Eppure, il committente è un protagonista quasi sempre dimenticato nel discorso sulla grafica. Nei resoconti storici è una voce spesso muta, persino più che nella storia dell’arte, da tempo attenta alla relazione complessa fra artisti e committenti e a quegli aspetti dell’opera chiaramente riferibili alla committenza. È significativo, per altro, che oggi nelle arti visive si riproponga con forza la questione, con un approccio inclusivo, che coinvolge i committenti nella creazione, come postula il programma dei Nouveaux commanditaires.¹ Nel dibattito critico recente sul design grafico il tema della committenza è rimasto per lo più nell’ombra, sebbene i clienti continuino a essere attori fondamentali del processo di progettazione e produzione di artefatti comunicativi, così come lo sono le diverse figure di mediazione fra designer e imprese o istituzioni.

La posizione dei grafici nei confronti della figura del cliente si è colorata nel tempo di molteplici sfumature: dall’apologia e il rimpianto di committenti «ideali» come Adriano Olivetti alle recriminazioni speculari sulla schiera, assai più numerosa, dei cattivi clienti. Ci sono designer che hanno scelto come propri interlocutori privilegiati esponenti di mondi in cui già si riconoscevano: la musica alternativa, ad esempio, o un’area di militanza politica. C’è chi ha sempre sostenuto che il designer debba fare un passo indietro, sacrificando la propria voce per «servire» gli obiettivi dei propri clienti, e chi, invece, come Tibor Kalman o Gianni Sassi, ha sposato come filosofia l’idea che «il cliente non lo sa ma lui paga per farmi fare le cose che mi piacciono».² Infine, c’è chi — come Rudy VanderLans con la rivista «Emigre» — ha provato a mettere in discussione la definizione del graphic design come professione «che organizza e dà forma alle idee dei clienti» proponendo un’idea dei grafici «non solo come facilitatori, ma anche come produttori di messaggi, idee e prodotti».³

Copertina di «Emigre, The End» (Final Issue), n. 69, 2005. Foto Stefano Vittori

A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, una serie di cambiamenti hanno investito la relazione fra designer e cliente. Da un lato, il desiderio di indipendenza avvertito dalle ultime generazioni di progettisti ha portato sempre più spesso a inseguire strade lontane da un’idea della grafica intesa come servizio professionale prestato a un cliente. Dall’altro, interi settori imprenditoriali e istituzionali hanno cominciato a rivolgersi di preferenza a professionisti distanti dal tradizionale mondo del design grafico, con competenze nettamente più spostate verso il marketing e i saperi strategici della comunicazione. Nel frattempo, il grafico ha tentato più volte di ripensare la propria posizione, appropriandosi di volta in volta dei ruoli di autore, curatore, produttore e, non da ultimo, di imprenditore. Le diverse pratiche di autoproduzione e il diffondersi dei progetti self-initiated hanno portato molti a credere di poter fare a meno dei clienti o quantomeno di poterli sostituire con definizioni meno ingombranti come partner o collaboratori.

Ma è davvero concepibile un futuro del graphic design senza clienti? Che tipo di clienti cercano i grafici oggi? E che genere di designer hanno in mente i diversi committenti? In che contesti avviene la collaborazione fra designer e clienti? Sono solo alcune delle domande da cui siamo partiti per dare forma a questo numero di «Progetto grafico».

Abbiamo scelto il termine committenza perché in italiano è ancora molto usato e perché ci interessava la sua etimologia: il sostantivo deriva infatti dal verbo latino committere, che oltre al senso di affidare, ordinare e richiedere, designa originariamente anche le azioni di mettere insieme, congiungere due o più cose. L’inglese distingue in modo più netto fra l’attività di patronage (chi sostiene il lavoro di qualcuno) e il ruolo del cliente (chi compra o paga beni e prestazioni), ma sul piano etimologico i due termini hanno in comune l’idea di dare fiducia, di mettersi nelle mani di qualcun altro. Tale relazione di fiducia è il fondamento della nascita delle professioni moderne. Tuttavia, la rivoluzione digitale, rendendo sempre più accessibili le conoscenze e gli strumenti di cui i professionisti si sono sentiti storicamente depositari, ha messo in crisi le certezze di molte categorie professionali, non ultima quella dei designer grafici.

In questo quadro ampio e complesso crediamo che sia utile, se non addirittura urgente, tornare a domandarsi cosa voglia dire committenza nella pratica del graphic design contemporaneo e che tipo di rapporto esista oggi fra grafici e clienti, tenendo conto delle diverse forme che oggi può acquisire tale relazione.

Adriano Olivetti al tavolo di un bar, Venezia 1957. Courtesy of Material Scientist / Wikimedia Commons; fotografia Mondadori Portfolio.
Pieter Brattinga di fronte a due poster disegnati da lui. Courtesy of GFDL / Wikimedia Netherlands; fotografia di Ferry Andrê de la Porte.
Thomas Watson Jr. con il computer IBM 360, 1964. Courtesy of IBM Corporation Archives; fotografia di Mel Koner.

Abbiamo quindi selezionato una serie di contributi che hanno preso in considerazione il tema della committenza criticamente, a partire dalle questioni e dagli argomenti menzionati sopra. Abbiamo chiesto a Giovanni Anceschi di ritornare sui temi di un suo saggio del 2005, Il committente competente (pubblicato in «diid disegno industriale — industrial design», 16, 2005) che raccontava un momento apparentemente felice della committenza pubblica nel campo dei beni culturali. Il saggio era un resoconto dell’esperienza dell’autore all’interno dell’unità di ricerca Graphic and Multimodal Systems costituita presso il Politecnico di Milano e finalizzata a formare una committenza, quella dedicata alla valorizzazione del patrimonio culturale italiano, che si affacciava sul mercato della grafica. L’intervento di Anceschi permette di trarre un bilancio di questi anni e di alcuni cambiamenti occorsi.

Gianluca Camillini e Jonathan Pierini hanno esplorato come la figura del cliente venga immaginata in vari contesti, e quali declinazioni assuma, per esempio quando viene simulato a fini didattici, quando il designer è cliente di se stesso nei progetti autocommissionati, e infine quando i progetti grafici sono finalizzati all’autopromozione, una condizione estrema eppure sempre più diffusa.

Antonio Iadarola ha analizzato le condizioni di lavoro dei grafici e le collaborazioni con i committenti in uno scenario nuovo, marcato da continue sollecitazioni al cambiamento, un mondo dove tutti progettano, dove l’innovazione è condivisa e aperta.

Infine, abbiamo chiesto ad alcuni autori di analizzare, alcuni progetti e casi studio particolarmente significativi dal punto di vista del rapporto fra grafici e committenti. Giorgio Ruggeri ha indagato il ruolo della Progress Film nella produzione di poster per il cinema nella Repubblica Democratica Tedesca, dove rivestiva un ruolo di sostanziale monopolio culturale. Emanuela Bonini Lessing ha affrontato il tema spinoso dei recenti concorsi pubblici per le immagini coordinate di città e grandi eventi in Italia, e conclude il numero con alcuni consigli «per non arrabbiarsi troppo».

Copertina e doppie pagine da Fortunato Depero, “Depero Futurista”, Dinamo Azari, Milano, 1927, ristampa anastatica: spes, Firenze, 1988. Foto Stefano Vittori

Fra questi saggi di carattere teorico, critico e storico, al centro del numero abbiamo voluto mettere un’inchiesta che dà voce a professionisti, clienti, educatori e responsabili di fondazioni che finanziano il lavoro dei grafici. Abbiamo selezionato una serie di persone e istituzioni particolarmente rappresentative per raccontare come si sviluppano i rapporti di committenza. Ai responsabili di alcuni dei migliori corsi superiori di grafica al mondo — École nationale supérieure des Arts Décoratifs di Parigi, isia di Urbino, Royal College of Art di Londra, Werkplaats Typografie di Arnhem, Parsons The New School for Design e School of Visual Arts di New York — abbiamo chiesto come preparano i futuri grafici al rapporto con i loro clienti.

Cinque studi e progettisti fra i più noti e apprezzati nel panorama contemporaneo — NORM, Mark Porter, Project Projects, R2Design, Leonardo Sonnoli — hanno risposto alle nostre domande sulla natura del rapporto che instaurano con i committenti, dalla descrizione di un cliente ideale all’apporto della conflittualità nella collaborazione con i clienti.

Allo stesso modo, abbiamo scelto una serie di figure che rappresentano la committenza o svolgono un ruolo di intermediazione tra designer e committenti: Evelina Bazzo, managing director dello studio Umbrella e design manager di numerosi marchi di design; Massimo Benvegnù, brand manager di Arper; Giovanni De Mauro, direttore di «Internazionale»; Christina Reble, già responsabile delle pubblicazioni del Museum für Gestaltung di Zurigo; oltre a un consulente del marchio di moda Alberto Aspesi.

Il sostegno pubblico di università e fondazioni al graphic design — in forma di borse di studio, finanziamenti a fondo perduto e residenze — è un altro fenomeno recente che offre numerosi spunti di dibattito. Il lavoro dei grafici ha raggiunto una visibilità pubblica tanto significativa da entrare nei programmi di sostegno di fondazioni pubbliche e private. Per questo motivo, abbiamo voluto sondare il punto di vista di quelle istituzioni che per missione o per scelta finanziano il lavoro dei grafici, nelle sue diverse accezioni. La Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, nata nel 1899 per sostenere i giovani artisti veneziani, ha esteso il proprio mandato fino ad ammettere diversi grafici fra i propri borsisti. La Fondazione giapponese dnp per la promozione culturale è stata creata nel 2008, per contribuire al sostegno e allo sviluppo della cultura attraverso la promozione del progetto grafico e delle arti grafiche. La Jan van Eyck Akademie di Maastricht, fondata nel 1948, offre programmi di ricerca postaccademici nel campo del design, delle arti applicate e delle teorie dell’arte. Pro Helvetia è la fondazione svizzera per la cultura, creata nel 1939, che si occupa di sostenere gran parte delle attività artistiche e culturali della Confederazione e ha di recente lanciato un programma specifico di sostegno al design. In tutti questi casi abbiamo intervistato un rappresentante istituzionale e un portatore di progetto, un grafico che ha ricevuto un finanziamento dalle istituzioni, per capire qual è stato l’impatto del sostegno pubblico sulla sua pratica professionale.

Questo numero prova quindi a illuminare una scena piena di sfaccettature, che può forse rincuorare chi lamenta l’eterna impreparazione dei clienti e la necessità di educare e ri-educare la committenza al progetto grafico. Aiap ha proposto le sue regole nella Guida agli onorari, pubblicata nel 1962 e aggiornata nelle edizioni successive. L’Italia condivide con molti altri paesi le condizioni di libertà assoluta del mercato del progetto grafico, dove il tema del rapporto con i clienti è ugualmente problematico.

Copertina di “La commande de design graphique”, a cura di Yves Robert, Centre national des arts plastiques, Paris, 2014. Foto Stefano Vittori
Copertina della “Guida agli onorari”, Aiap edizioni, Milano, 2007. Foto Stefano Vittori

1. http://www.nouveauxcommanditaires.eu (ultimo accesso 20/11/2015).

2. La citazione è riportata da Massimo Dolcini in un suo breve testo su Sassi pubblicato in http://www.giannisassi.it (ultimo accesso 18/11/2015).

3. Rudy VanderLans, «Emigre. The End» (Final Issue), 2005.

4. Beppe Chia, Marco Tortoioli Ricci, Mario Piazza, Andrea Rudelli, Giangiorgio Fuga (a cura di), Guida agli onorari, Aiap edizioni, Milano, 2007.

5. Yves Robert (a cura di), La commande de design graphique, Centre national des arts plastiques, Paris, 2014, scaricabile liberamente da http://www.cnap.graphismeenfrance.fr/sites/default/files/commandedesigngraphique_web.pdf.

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