Come è stato il Salone del Libro 2023

Daniela Barisone
10 min readMay 22, 2023

Spoiler: non un granché.

Arrivo

Quest’anno sono stata al SalTo23 per due giorni, il venerdì e la domenica. Avevo progettato di fare quattro giorni, ma economicamente mi era insostenibile, ma soprattutto lo era per la mia schiena: ero morta a metà del primo giorno, non voglio immaginare in che stato sarei oggi qui a scrivere se avessi seguito il mio programma alla lettera.

In ogni caso iniziamo dagli ingressi. Il venerdì pioveva come se fosse in atto una crisi climatica disastrosa e alla sicurezza non importava molto chi fossimo, se dentro le nostre borse ci fossero delle molotov o meno. Ci hanno semplicemente fatti passare dall’ingresso espositore sebbene io avessi quello professionale. Il secondo giorno invece non pioveva, per cui mi hanno obbligata a fare il serpentone, tuttavia alle guardie non è importato che io potessi introdurre una molotov per far saltare lo stand di Messaggerie, né che avessi liquidi tossici nella borraccia (si potevano portare borracce solo vuote, da riempire poi alle comode fontanelle interne).

Io e il mio fidanzato, immortalati dal Santucci mentre siamo obbligati a percorrere il serpentone dopo che l’anno scorso abbiamo perculato lui.

Il visitatore medio

Cosa vi posso dire di questo Salone? Io non sono come un noto autore di Marsilio, che dice di essere un dissidente politico inviso alla direzione del Salone solo perché il suo editore non ha pagato 250 euro più iva per affittare una sala e fargli presentare il libro, l’ultima volta che ho partecipato al SalTo come ospite e panelist è stato quando ancora si parlava di ebook a BookToTheFuture… e indovinate che fine hanno fatto al Salone gli ebook? Esatto. Spariti.

In compenso vi parlerò delle cose che mi sono rimaste più impresse, ovvero un paio di eventi e la self area (detta area pro), che del fatto che dentro al Lingotto fa caldo, si suda e fanno male i piedi quello lo sapete tutti.

Ma voglio iniziare con una specie umana che si può trovare solo in questo periodo dell’anno al Salone, ovvero il visitatore che paga euro 12 di ingresso per comprare libri dei grossi editori (Mondadori, Feltrinelli, Einaudi, Adelphi, etc) senza autografi o sconti di qualche tipo. Quando potrebbero comprarli tipo alla Feltrinelli della stazione di Porta Nuova o al Libraccio con uno sconto o su quella cosa satanica che è Amazon.
Loro vanno dritti lì, a sfogliare libri che trovano tutti i giorni in libreria (e pagando pure per farlo), ignorando sistematicamente tutte le novità di editori piccoli o medi di cui non hanno mai sentito parlare perché ew, come faccio a sembrare intelligente se non mi compro l’ennesimo Adelphi dalla copertina identica a tutte le altre? O peggio: incontrare autori viventi. Disgustoso.
Una vera fortuna che i grossi editori siano stati tutti reclusi all’Oval, la parte più distante del Salone, quindi l’ultima visitabile, in modo da obbligare le persone a passare davanti a quei poveri editori che la libreria non la vedono manco con il binocolo, soprattutto perché la molotov non ce l’avevo davvero in borsa e non ho potuto tirarla sullo stand di Messaggerie.
Questi visitatori si distinguono perché puoi trovarli sempre al Padiglione 1, davanti al gigatotem dei libri, a farsi selfie davanti a un pilone di cemento ricoperto da un foglio di plastica su cui sono stampate le coste di libri che non esistono. Insieme agli autori che espongono al Salone per la prima volta, che si fanno la foto insieme al loro libro e a quelli di plastica, convinti di essere arrivati.
Sweet summer child…

Eventi

Il venerdì abbiamo assistito a un evento organizzato da Gainsworth: “Un altro genere di Letteratura — Il valore del fantasy e dei romanzi di genere nel XXI secolo”. Un’ora in cui ci siamo lamentati che i lettori schifano la narrativa di genere tutta in favore della “narrativa bianca” per sentirsi più intelligenti. Un argomento che avrebbe necessitato di almeno due ore, perché a parte lamentarci, che è del tutto legittimo, sarebbe stato bello avere anche lo spazio per chiederci “ok, quindi cosa possiamo fare per cambiare questa situazione?” (e comunque io sono una donna e scrivo romance, ne dovete mangiare di cereali sottomarca voi scrittori di fantasy prima di parlare di ghettizzazione di genere lmao).
Grazie allo staff del Salone, che ci ha buttati fuori tutti alla fine prima del tempo.

Disgraziatamente, non essendoci stati di sabato, ci siamo persi l’intervento della Ministra Roccella, ma forse è stato un bene perché la Digos sarebbe venuta a prendere pure me, conoscendomi.
Tuttavia è stato gradevolissimo recuperare il casino su Twitter e bermi un Martini con le lacrime dei camerati che “eH mA nOn È dEmOcRaTiCo NoN lAsCiArLa PaRLaRe.” No amo, non ce ne frega un cazzo che questa parli. Che faccia come tutte della sua specie fascista: che stia zitta.
Anche perché lei non l’hanno fatta parlare e vabbé, ci sta che a una roda il culo, ma lei ha avuto anche il potere di far schedare dalla Polizia 20 donne che hanno osato dirle che le sue idee medievali sull’aborto se le può ficcare su per il culo. Questo non è rosicare, questo è essere un castoro.

Mi sono persa pure un altro evento, purtroppo. Si parlava di self-publishing e su come arrivare in libreria, ma mi hanno riferito che il Signor Messaggerie ha concluso l’evento con “non potete andare in libreria. Fate le persone serie e diventate un editore.”
Poi mi dicono che non dovevo dargli fuoco allo stand.

L’area Self — o Area Pro

L’Area Pro è stata la cosa più controversa di questa edizione del Salone. Se non siete addetti ai lavori, non potete sapere che fino all’anno scorso, chiunque poteva comprare uno stand al Salone fintanto che avesse pagato (Editori, Associazioni, venditori di tè, Scientology e privati). È sempre stato così perché non hanno mai avuto soluzioni per i self: ho ancora una mail di risposta dalla segreteria del Salone di due anni fa che mi diceva testualmente che no, non offrono spazi per i self, ma anche senza partita iva potevo comprarmi lo stand, bastava il codice fiscale.

Da quest’anno non è più così: sebbene non fossero in tanti quelli potessero permettersi di spendere 2000 euro per uno stand, era prassi comune acquistarne uno e dividerne il prezzo equamente per portare più autori allo stesso tavolo. Il Collettivo Scrittori Uniti ha sempre fornito questo servizio come Associazione Culturale e francamente non so che problemi facesse al Salone.
La direzione però ha deciso che era il caso di monetizzare questi maledetti stronzi che pretendono pure di definirsi autori quando osano non affrontare il processo editoriale per farsi selezionare da una casa editrice come tutti. Per cui hanno ben deciso di far pagare 350€ euro più iva ad autore, per un titolo in massimo 25 copie, per un’area aperta solo il sabato e la domenica (ma non per l’Autore Più Venduto su Amazon, che il giovedì e il venerdì si è piazzato di straforo fuori dalla self area — chiamata Area Pro perché altrimenti questo significherebbe riconoscere l’esistenza dei selfpublisher, cosa che il Salone non può certo permettere — a vendere i suoi libri come non si sa visto che non andavano le casse e a importunare i passanti come suo solito).
A tutto questo aggiungiamoci anche il fatto che da quest’anno il Salone impedisce ai privati di acquistare stand come prima, di fatto bisogna avere per forza la partita iva per poter accedere all’area espositori.

Perché è un problema? Alla fine sei al Salone, no?
No.
Davvero, io sono ammirata dalla positività di alcuni autori che hanno visto come positiva questa “opportunità” di non rientrare nelle spese di vendita (per rientrare esclusivamente in queste, senza mangiare o alloggio, bisognava vendere tutti i libri ad almeno 12 euro, un prezzo standard per un self. Tuttavia per avere almeno un rientro effettivo bisognava vendere a 17 euro, un prezzo che nessuno con la testa a posto pagherebbe per un self). O di pensare esclusivamente di pancia alla propria situazione personale senza interessarsi al fatto che questa “Area Pro” è un problema per tutti.

Me lo dico da sola, visto che tanto già lo pensate.
Me lo dico da sola, tanto lo so.

Poter dire “Eh ma il mio libro è stato selezionato alla Self Area del Salone” non è il flex che pensate che sia. Anzi, dovrebbe farvi incazzare, perché non avete subito una selezione di alcun tipo per pubblicare, perché mai dovreste subirne una per… far gettare il vostro libro su un tavolo, alla cazzo di cane, senza un minimo di senso? Per farlo vendere a commesse che non avevano la minima idea di cosa diamine stessero vendendo?
Certo, è successo che l’autore fosse presente, delle volte. Ma un conto è gente abituata a fare fiere, che sa “vendersi” anche, ma vogliamo parlare della fila di autori soldatini dietro al tavolo, con il loro libro in mano e gli occhi sbarrati per il terrore? Perché scrivere e vendere sono due mestieri diversi?
E quegli autori che hanno mandato i loro libri senza essere presenti e che non si sono certi visti spingere le vendite, a loro non ci pensa nessuno?

Avete venduto alla self area? Bravi. Sono contenta per voi, sul serio. Ma sapete quanto in più avreste venduto se aveste avuto uno spazio tutto vostro vero e non questa cafonata?

Ragazzi, parliamoci chiaro: la self area del Salone è un cazzo di ghetto. Potete indorarvi la pillola quanto volete, ma non li vogliono i self, vogliono solo monetizzare sopra a dei gonzi disposti a dare loro dei soldi per dire “oh mio dio sono al Salone”.

Noi di Lux Lab ci siamo rifiutate di aderire a questa politica succhiasoldi, perché una self area così è una presa per il culo. Se avessero voluto fare una vera self area (ma ehi, questo avrebbe significato doverci riconoscere), avrebbero tagliato via un pezzo di quella roba inutile che è il Bookstock Village e avrebbero attrezzato dei tavolini: 300 euro per due giorni? Ok, un tavolo a testa, una sedia, massimo 50 posti. Una sorta di self area di Lucca, che pure fa cagare come concetto, ma che sarebbe quanto meno non dico passabile, ma onesto.

Ma quindi?

La self area del SalTo 2023 non è un successo, non è una cosa bellissima e soprattutto non è un’opportunità. La self area del Salone è una punizione, è un modo per dirci che non ci vogliono, che tutto quello che ci meritiamo sono due tavoli sulla quale i nostri libri vengono gettati a casaccio, venduti da persone che non hanno idea di cosa hanno in mano, alla quale non importa nulla di nulla.
Questa self area è figlia di Book To The Future: come gli ebook, quest’area è una concessione, un contentino per tenerti buono, finché non potranno spazzarci tutti sotto al tappeto e impedirci del tutto la partecipazione in futuro.
La direzione del Salone si nasconde dietro parole pompose quali “la qualità della selezione”, ma la verità è che preferiscono leccare il culo agli EAP, che portano un sacco di soldi e rovinano l’editoria, piuttosto che dare un’opportunità a noi. Perché dei nostri soldi non se ne fanno un cazzo, non ne facciamo girare abbastanza, quindi siamo un ramo secco.

Piuttosto che gli autori self publisher, il Salone ha preferito dare spazio al fenomeno #booktok di TikTok e lo sapete perché: perché a differenza dei self, pur non essendo a loro volta professionisti del settore (professionisti nel senso con partita iva), i tiktoker muovono le vendite. I self no.

Fatevi la vostra fiera allora.

Ok, chi si prende la responsabilità di questa cosa? Di realizzare una fiera in un posto ben collegato, raggiungibile a piedi, in una grossa città e che stacchi abbastanza biglietti da essere un successo nazionale?

No, perché questa cosa non è possibile realizzarla in modo generalista. C’è solo un genere che si può permettere questa cosa e che accetta sia self che editori ed è il Festival Del Romance Italiano. Il romance vende, gli altri generi no, statece.

Edit del 24/05/2023

In queste ore ho avuto modo di parlare privatamente con alcune persone responsabili dell’area self del Salone e a quanto pare c’è un’informazione che è stata omessa e che io trovo abbastanza grave: gli autori dei collettivi presenti hanno pagato molto meno (circa 90€) invece dei 350€ più iva degli altri self che sono passati dall’iniziativa del salone, per cui grazie al cazzo che hanno fatto sold out o sono andati in attivo.

Tuttavia sta anche emergendo che il Salone sta cercando di cancellare la presenza dei collettivi self, in compenso sembra esserci la volontà di abbassare il costo di iscrizione da 350€ + iva a un massimo di un centinaio di euro, al momento ci sono delle trattative in corso per stabilire le regole del prossimo anno.

In conclusione

Io, il mio fidanzato e il Santucci abbiamo speso troppi soldi in libri che comunque non leggeremo perché la nostra tbr è ferma al Salone 2019. Non siamo dei clown, siamo l’intero circo.

Tuttavia siamo contenti: i nostri libri sono andati soldout presso gli stand dei nostri editori, firmacopie andati bene, tante belle persone incontrate.
Lati negativi: il mal di piedi e purtroppo non abbiamo potuto dare fuoco allo stand di Messaggerie e questa è una cosa che rimpiango moltissimo.

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