Là dove c’era l’erba ora c’è una città

Riccardo Dado Chiozzotto
3 min readFeb 23, 2016

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“Ada improvvisamente mi sono ricordato i nomi di tutti i miei colleghi di quando lavoravo alla Dalmine; c’era Baroni, Mapelli, Stefanori, Ghezzi, Galbani, Benzo, Barozzi, Bracone”. Era il 1950, e proprio lì mio padre si era risvegliato dal sonno pomeridiano. Continua a bisbigliare con mia madre, “pensa che un giorno sono morto di paura, andai dal mio capo per consegnare una lettera da spedire per rispondere a un cliente e per un pelo non venivo licenziato”. “Bravo, scritta molto bene, ma sa Chiozzotto, io dovrei cacciarla”. “Non capivo e tremando chiesi il perchè”, “lei ha scritto in rosso”. Mi avvicino incuriosito e continua con me il suo racconto, “non so se le hai mai usate ma una volta c’erano le macchine da scrivere con il nastro bicolore rosso e nero”; mentre lo guardavo sorridendo pensavo, eccome se me le ricordo, un paio di Olivetti le ho pure consumate.(dimostrazione che per papà e mamma si è sempre i loro piccoli).“Sai, bastava premere un tasto per cambiare il colore della scrittura, ma io che sono sempre stato daltonico non mi accorsi dell’errore”. Mi inteneriva lo sguardo impaurito di chi ancora stava rivivendo il momento di panico, misto al sorriso di chi poi l’ha scampata. “E tu Ada ti ricordi quando lavoravi alla Diamante e facevi le candele di cera? Poi dopo ti ho convinta a lasciare quel posto, quegli acidi ti stavano corrodendo le mani e te ne ho trovato un’altro, al negozio di pellicce di piazzale Susa”. Mia mamma scoppia a ridere con gusto, era da un po’ che non lo faceva e continua raccontando che anche da li ha dovuto presto andarsene. Doveva tirare su e giù la saracinesca e nonostante il bastone, a causa dei suoi centocinquanta centimetri di altezza, una volta su due ci rimaneva appesa. “fortuna c’erano i ragazzi del bar che mi aiutavano a scendere”. “Ada e ti ricordi che ti venivo a prendere ogni sera?”, riprende mio padre, “e ti ricordi quella sera cosa ti ho dato quando eravamo sulla filovia?” incalza con le domande; “ah si, l’anello di fidanzamento con il brillante” E io, con il cinismo che mi contraddistingue “le hai dato l’anello di brillanti sulla filovia?” Non ne facevo una questione di romanticismo, ma pensavo, prova oggi a tirare fuori un anello con brillante sulla 90! Mi allontano per tornare alle mie cose e sento mio padre parlare a mezza voce con se stesso quasi in un moto d’orgoglio “non ho mai perso un giorno, ho sempre lavorato, finivo da una parte e iniziavo dall’altra e così anche nella modestia di una ricchezza ancora da costruire, qualche sfizio potevo togliermelo”. Non ho potuto fare a meno di fermarmi per continuare in quel dialogo smarrito per anni e improvvisamente ricomparso senza un reale perché, “e pensare che dovevamo essere noi quelli più fortunati, il progresso, la tecnologia, le opportunità, l’apertura delle frontiere, i mercati globali e invece a quanto pare qualcosa è andato storto; se finiamo da una parte è perché qualcuno ci ha messo alla porta e iniziare da un’altra non è così facile. La ricchezza da te costruita a poco a poco è tornata essere povertà. E semmai un giorno dovessi regalare un anello di brillanti sulla filovia, qualcuno me lo fotterebbe”. Sessant’anni insieme sono un faticoso traguardo, bello, quasi sempre, solo se in una fotografia. Quaranta di convivenza padre figlio mettono a dura prova l’orgoglio e l’autostima. Poi però capita che un giorno esci di casa e scatti una foto che pubblichi su Facebook citando le parole di una canzone del 1966 e che qualche ora dopo diventa l’immagine di un racconto che dedichi ai tuoi genitori. Si, il mio primo racconto su Medium è dedicato a loro, che nonostante stiano vivendo un momento critico della loro esistenza, riscoprono il piacere di qualche attimo vissuto tra i ricordi, quelli di anni duri ma belli.

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