Un fotogramma di NAKED CITY (1948) di Jules Dassin.

NEW YORK | NAKED CITY #1

SINFONIE URBANE, STRAIGHT PHOTOGRAPHY, NEW AMERICAN CINEMA

6 min readAug 25, 2017

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In occasione della ridistribuzione dei film di Shirley Clarke in versione restaurata e rimasterizzata, pubblichiamo in 5 puntate alcuni estratti di “Naked City: identità, indipendenza e ricerca nel cinema newyorchese”, monografia di Maria Teresa Soldani edita dai Quaderni di CinemaSud nel 2013 e ora in corso di ristampa. Per Reading Bloom l’autrice e compositrice sta curando la sonorizzazione dei BRUSSELS LOOPS (1958) di Shirley Clarke e D.A. Pennebaker, che saranno proiettati in anteprima italiana a Venezia il 5 settembre 2017 sulle vele dell’Edipo Re, storica imbarcazione a vela e motore di Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Zigaina.

[Dall’introduzione al volume] L’ambiente urbano industrializzato e sovraffollato, caratteristico della civiltà moderna, è ancora oggi il termometro delle tensioni interne alla società: tensioni culturali, sociali ed economiche che toccano grandi temi legati alla definizione dell’identità, di un singolo individuo o di un gruppo. Gli Stati Uniti, «una nazione di estranei» come la definì Vance Packard, hanno costruito la loro giovane storia sulla ricerca e la condivisione di valori in cui la diversità di ciascun individuo potesse ricongiungersi a un’unica nazionalità, quella ‘americana’. Alla fine dell’Ottocento New York, capitale culturale e finanziaria degli Stati Uniti, diventa uno dei centri principali del cinema mondiale stabilendo subito un contatto privilegiato con la realtà urbana. In oltre cento anni di storia, il cinema è cresciuto insieme alla città attraverso la tecnica prima e un’interpretazione originale poi, fino a definirla come icona della contemporaneità. New York diventa un set a cielo aperto in cui documentazione (il traffico, la vita notturna, la costruzione dell’ambiente urbano), sperimentazione (le vedute pionieristiche e le sinfonie urbane) e finzione (il cinema hollywoodiano e quello indipendente) si condensano e si sviluppano. Abbandonata dall’industria cinematografica per gli ampi spazi della California, la Grande Mela ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi uno spazio creativo ancora antitetico a quel cinema sotto molteplici aspetti. I più importanti registi newyorchesi, influenzati dall’arte contemporanea (Action Painting, Pop Art, Street art), dall’avanguardia musicale (free jazz, minimalismo, punk, No Wave) e dal teatro (Broadway, Living Theater, Actor’s Studio), si sono imposti come autori realizzando opere inusuali per le tradizionali prassi produttive, rappresentative e narrative di Hollywood.

LA NASCITA DELL’AVANGUARDIA AMERICANA

Sulla scia delle novità portate nel mondo dell’arte negli anni Venti dalle Avanguardie Storiche (Futurismo, Cubismo, Espressionismo, Surrealismo e Dadaismo), il cinema sperimenta forme e linguaggi nuovi accostandosi alla musica e alla pittura come al design e alla grafica. Le nuove poetiche e teoriche pongono l’enfasi sulle proprietà materiali del medium, sulla precisione e sull’economicità dei processi meccanici e sull’utilità delle forme di produzione di massa in nome di un’arte oggettiva che rende per la prima volta visibile, e possibile, ciò che prima non lo era.

Una fotografia di Làszò Moholy-Nagy (1895–1946).

Due importanti artisti europei furono decisivi per la nascita dell’avanguardia americana: il fotografo costruttivista ungherese del Bauhaus Làszò Moholy-Nagy — a Chicago nominato direttore del New Bauhaus nel 1937 e fondatore della School of Design nel 1938 — e il pittore cubista francese Fernand Léger. Il primo per l’uso della macchina fotografica con un approccio scientifico che sfrutta al meglio le possibilità riproduttive del mezzo per mostrare una realtà inedita da punti di vista inusuali; il secondo, invece, per l’uso del mezzo cinematografico per giustapporre, isolare, frammentare, allargare gli oggetti creandone una diversa percezione.

Oggettività, astrazione e montaggio sono le basi per la fondazione di una nuova arte che si pone in totale rottura con quella tradizionale: un’arte popolare, riproducibile e non ieratica. Le innovazioni trovano terreno fecondo nell’area ancora poca definita del “cinema non narrativo”, che comprende diari di viaggio, actualités e cinenotiziari. Come nei primi anni del cinema, la città torna ad essere terreno privilegiato di osservazione e sperimentazione, spazio simultaneo in cui ogni diversità è riconducibile ad un’unità. Rien que les heures (id., 1926) di Alberto Cavalcanti, Berlin, die Sinfonie einer Großstadt (Berlino-Sinfonia di una grande città, 1927) di Walter Ruttmann e Chelovek s kino-apparatom (L’uomo con la macchina da presa, 1929) di Dziga Vertov sono opere sperimentali che cambiano definitivamente il rapporto del cinema con la città, che per la prima volta è studiata dalla cinepresa come un organismo vivente, capace nella sua interezza di essere il principale tema del racconto in una “sinfonia urbana”, come la chiamò Ruttmann per spiegarne la similitudine di struttura con la forma musicale della sinfonia: nella quotidianità della metropoli, ogni singolo individuo e le macchine che utilizza contribuiscono alla costruzione di una partitura collettiva portatrice di un senso di città generale e, allo stesso tempo, particolare (Berlino, Parigi, ecc.). Per la prima volta dalla nascita del cinema, un autore dà un’interpretazione soggettiva di una realtà oggettiva senza ricorrere alla storia e senza limitarsi ad un esercizio di tecnica, o ad un atto di provocazione, ma restituendone la natura realista e potenzialmente politica e un’evidenza attraverso la sua realtà sociale e culturale rappresentativa.

Un fotogramma di CHELOVEK S KINO-APPARATOM (1929) di Dziga Vertov.

Grazie agli stimoli artistici provenienti dall’Europa e all’attenta ricerca dei fotografi americani inizia a crescere negli Stati Uniti un primo movimento d’avanguardia legato a doppio filo con lo spettacolo della metamorfosi di New York. Nel 1919 due esponenti della scena newyorchese dell’arte, Charles Sheeler e Paul Strand, realizzano un progetto cinematografico su New York, Manhatta (id., 1921), primo film americano d’avanguardia. Poco meno di 65 sequenze raggruppate da didascalie contenenti i versi di Walt Whitman del poemetto Manhatta, tratto dalla raccolta Leaves of Grass (Foglie d’erba, 1855–1892). Il film mostra una giornata lavorativa infrasettimanale sull’isola di Manhattan dalla mattina — i traghetti di Staten Island che attraccano a Battery Park carichi di pendolari — alla sera — il suggestivo tramonto sulla baia del fiume Hudson — come nelle sinfonie urbane europee. Il racconto si articola in una narrazione strutturalmente fragile, con inquadrature quasi esclusivamente statiche in cui sono rari e impercettibili i movimenti di macchina. Il film è suddiviso in quattro movimenti, ciascuno di 13, 15, 17, 15 inquadrature che raccolgono temi e motivi ricorrenti.

Alcuni fotogrammi di MANHATTA (1921) di Charles Sheeler e Paul Strand © Lowry Digital, Museum of Modern Art/Anthology Film Archives

Il brillante percorso estetico intrapreso dai due autori con Manhatta mette in luce due elementi di novità che emancipano nettamente il cinema e la fotografia dalle precedenti tradizioni figurative: la materialità e l’integrità dello spazio profilmico e la capacità dell’immagine fotografica di estrapolare da quello spazio una chiara e delineata immagine.
Oltre al lavoro comune, è importante riconoscere i caratteri dell’opera individuale dei due: i quadri e le foto di Sheeler sono lucide visioni fotografiche di una realtà meccanica e geometrica che è la manifestazione dell’opera dell’uomo; le foto di Strand, invece, mettono in luce le forme e i particolari con assoluta sincerità e nitidezza nel rispetto assoluto dell’oggetto fotografato, sia un ritratto, un paesaggio o uno still life. Manhatta manifesta il desiderio, comune ai due autori, di colmare il divario tra la città e la campagna, tra la natura e la tecnologia, tra l’uomo e la società di massa, rappresentando l’urbanizzazione e l’industrializzazione con metafore naturalistiche.

Continua… NEW YORK | NAKED CITY #2

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