Parafrasi dell’intervista a Mattia Sangermano

Roberto Di Raffaele
7 min readMay 10, 2015

L’onda emotiva è passata. È ora di rendersi conto di quanto Mattia Sangermano, in fondo, ci somiglia e ci rappresenta.

È passata più di una settimana dagli scontri NoExpo a Milano e nella nostra mente è rimasto solo il peggio della protesta. Ricordiamo soltanto quella parte di facinorosi che poi finisce con il caratterizzare l’intera identità di tutta la manifestazione.

Gli scontri NoExpo del primo maggio.

La peculiarità di questi scontri è che le persone che tutti ricorderanno come portavoce o come icone della protesta, in realtà, non hanno proprio nulla a che fare con l’accaduto.

L’agnello sacrificale di NoExpo è sicuramente Mattia Sangermano, 21enne, con nessuna responsabilità, se non quella (grave) di aver appoggiato pubblicamente le azioni violente di una manifestazione.

Mattia Sangermano nella seconda intervista per Repubblica.it in cui chiede scusa per aver sostenuto la manifestazione NoExpo.

Quello che non abbiamo capito è che Mattia Sangermano ci rappresenta benissimo, vestendo i panni di colui che guarda la protesta senza prenderne parte e che esprime la sua opinione (vaga) senza aver approfondito i fatti. Insomma, quello che facciamo quotidianamente su Facebook e Twitter, con l’unica differenza che lì non arriva di punto in bianco un Fedocci a intervistarti. E quindi hai tutto il tempo per scrivere al meglio il tuo post o il tuo tweet. Lo sappiamo tutti che un post di opinione scritto male sa solo di lamentela gratuita e non riceve pollici in su o stelline.

E Tia ha fatto quello che facciamo tutti noi con la tastiera. Ha colto il momento in cui i grandi media se lo stavano cagando e allora ha voluto parlare a tutti i costi, producendo un intervento che — secondo me — ha la dignità per essere definito il discorso più sensato della nostra generazione. Bisogna soltanto parafrasarlo un po’, come ho provato a fare nei paragrafi che seguono.

“No, niente, noi siamo arrivati, c’era un bordello e tipo eravamo in mezzo al corteo, casino, hanno spaccato un po’ di robe così…”

Masaniello

Il primo paragrafo di questa storia contemporanea inizia con due negazioni. Pensa un po’ se Masaniello, interpellato, ti rispondeva “No, niente, noi siamo arrivati…”. Molti, per cattiva informazione e mancanza di approfondimento, hanno identificato lui come un black bloc. Ma vuoi mai che si faccia intervistare così a volto scoperto? Da Tgcom24?

È qui che Tia commette il primo errore: quello di iocerismo. Il fatto di dover confermare la propria presenza a un evento, se c’è un dispositivo che filma o scatta foto, anche se non si ha nulla da dire. Poco importa, “io c’ero”.

“È una protesta e si fa bordello”

Abbiamo un concetto di protesta lontano dal Sessantotto, lontano da qualsiasi cosa che ricordi vagamente un’ideologia, lontano dai veri scioperi.

Le grandi narrazioni, come le chiamava Lyotard, sono terminate. Andate in pace. Ma andateci per bene stavolta.

“Noi dobbiamo far sentire la nostra voce, secondo me, e se non lo capiscono con le buone prima o poi lo capiranno in qualche altro modo”

La parte che mi preoccupa di questa affermazione è il “prima o poi”, specialmente durante una protesta. Ci siamo abituati all’utilizzo disgiuntivo di questi due avverbi che, utilizzati in questo modo, sono una vera e propria apologia alla procrastinazione.

“Tra i politici e le persone c’è un divario enorme e poi loro rubano”

TzeTze, uno dei siti del giro di Casaleggio.

La politica e l’informazione, negli ultimi dieci anni, ha fatto leva sul malessere dei cittadini, puntando più sull’emozione che sull’effettiva condivisione di dati e di fatti. I politici in generale o quelli dell’opposizione (se a parlare è un rappresentante del governo) rubano e sono immorali.

Sono un esempio di questa propaganda viscerale gli articoli di Repubblica dedicati al bunga bunga, il circuito di blog legati a Beppe Grillo e Casaleggio, i Vaffa Day e in tempi più recenti i comizi di Salvini.

Vignetta di Dario Campagna

“Paura? Più che altro ero esaltato perché volevo avere anch’io qualcosa in mano per spaccare qualcosa, quello sì […]. Io ho guardato, non è che sono stato lì, però è stata una bellissima esperienza, ci stava”

Guardare e supportare senza sporcarsi le mani. Lo facciamo tutti ogni giorno, con le condivisioni e i like.

“Minchia, ma la banca è l’emblema della ricchezza, cioè, se non do fuoco alla banca sono un coglione”

Nella borsa italiana, le banche sono in discesa o hanno una crescita non diversa da quella delle aziende italiane del tessile e della moda. Il fatto di essere aziende il cui core business è il flusso monetario non fa di loro l’emblema della ricchezza.

“Ma io sono me stesso, se ti dico le parolacce vuol dire che ti sto raccontando cose, che ci sto veramente dentro. E se invece non le dicessi, te la racconterei come una persona che è venuta qua, cioè eh boh, fuori dalla cosa, tipo una persona che c’ha i soldi, tipo una persona che c’ha ricchezza”

Il ragionamento fila poco ma spiega benissimo l’interiorizzazione da parte dei Millenials del registro informale per qualsiasi occasione. Qualcuno la farebbe rientrare nel concetto figo di “collasso dei contesti”. Io la farei rientrare in parte anche nel concetto meno figo di “disfunzionalità”.

“Io cerco di essere sempre dentro le cose, le esperienze, le emozioni […]. Quando sono in mezzo ai disastri sono contento comunque […]. Boh, non lo so, quando c’è casino e mi trovo in mezzo, faccio casino anch’io”

Lo facciamo tutti. Ci piace prendere parte ai disastri, a narrazioni simili alle centinaia di apocalissi viste al cinema. Perché sono quasi finzione, essendo lontane da noi. Allora è facile in quel caso essere dentro le cose, le esperienze e le emozioni. L’immagine emblematica di questo nostro comportamento è la ormai celebre ragazza straniera con auto incendiata.

La celebre foto della ragazza straniera con l’auto incendiata. Nulla di diverso dai turisti davanti alla carcassa della Costa Concordia.

Siamo stati tutti Charlie e ce la siamo presa con gli attentatori musulmani. Per par condicio abbiamo deciso di essere solidali alle vittime in Nigeria. Ci piace prendere subito una posizione nelle conversazioni social. Ma non è una posizione politica, è più da ultras.

Poche parole spese (male), invece, per il Nepal. Poco avvincente come racconto. Troppo lontano e di origine naturale, senza un cattivo con cui prendersela, se cattivo si può definire. Siamo i migliori artefici del linciaggio mediatico, quando l’antagonista è debole e non può colpirci. Con le parole diventiamo più violenti dei black bloc, con esiti abbastanza sgradevoli.

Una delle tante pagine denigratorie nei confronti di Tia Sangermano create dopo gli scontri del primo maggio.

In quale storia c’è mai stato fra i cattivi un 21enne che frequenta ancora il liceo o — peggio — un Andreas Lubitz (lo avete già dimenticato)?

Da parte sua, Mattia ha fatto un grande errore, che facciamo tutti senza rendercene conto: intervenire pubblicamente su determinati argomenti senza prendere in considerazione le conseguenze. Tia Sangermano lo ha fatto ai microfoni di Tgcom24, noi lo facciamo ogni giorno sui social network.

Il tweet razzista di Justine Sacco, dipendente di IAC.

Raramente ci ricordiamo che anche i social network sono spazi della nostra vita, reale e quotidiana. Non sono il bar dello sport in cui, privatamente e con il mio amico, posso dire tutto quello che voglio, utilizzando il registro più basso del mondo. Due esempi di tweet con conseguenze gravi (ma la lista sarebbe infinita) sono quelli di Justine Sacco e di Paola Saluzzi, due casi in cui il cinismo o il linguaggio eccessivamente informale sono stati causa di sospensione dal lavoro.

Il tweet della giornalista Paola Saluzzi.

Si potrebbe obiettare che il caso Sangermano sia totalmente diverso in quanto studente. Beh, non credo. Se le prime due sono state sospese dal lavoro, l’altro invece, il lavoro, potrebbe far fatica a trovarlo.

Mattia è diventato vittima di un linciaggio social molto violento, che ha dato vita anche a diverse parodie. Enrico Fedocci, l’intervistatore del ragazzo, l’8 maggio ha affermato sul suo blog:

Nessuno — nessuno! — avrebbe dovuto permettersi di offendere quel ragazzo, di denigrarlo, minacciarlo. Prendere le distanze dalle sue frasi, sì. Offenderlo e deriderlo, proprio no. Lui avrà maledetto — e starà maledicendo — il momento in cui ha deciso di rispondere alle mie domande. Dopo tutto quello che è successo, dopo il linciaggio pubblico — soprattutto social — a cui ho assistito, comincio a maledire anche io il momento in cui quelle domande a Mattia, 21 anni e tutto il diritto di avere una vita davanti, le ho fatte.

Il palco dell’inaugurazione di Expo 2015, trasmessa in diretta su Rai 1 e condotta da Paolo Bonolis e Antonella Clerici.

Io invece benedico quel giorno, perché ha smascherato il Tia Sangermano che è in tutti noi. Dopo aver visto gli accostamenti Bonolis-Expo e Sangermano-NoExpo e dopo aver appurato che tutto sta funzionando discretamente, quella parte immatura e disinformata di noi è diventata a favore dell’evento per cui il mese precedente si augurava il fallimento.

La forza degli schieramenti ultras sui social si è invertita. L’opinione degli italiani, anche.

--

--

Roberto Di Raffaele

Mi chiamo Roberto, ho il baffo, ma non faccio televendite. Mi occupo comunicazione e di scrittura.