La mia console preferita ha due braccia, due gambe e i capelli viola

MoguSoGood
8 min readOct 16, 2019

--

Negli anni ’90 e nei primi tempi del nuovo millennio la TV aveva un ruolo centrale in molte famiglie italiane. Ci si riuniva spesso tutti su un divano o attorno ad un tavolo per poter seguire ciò che veniva proposto in prima serata.
Fra i programmi più in voga al tempo vi era Paperissima, show televisivo in cui venivano mostrati in diretta, fra le altre cose, video buffi inviati dal pubblico. Questo era uno dei programmi TV preferiti di mio padre che decise di puntare su un piccolo me di soli 4 anni una telecamera 24/7 nella speranza facessi qualcosa di divertente da inviare alla Mediaset.
Inutile dire che l’unico risultato sia stato avere per casa decine di cassette che testimoniano come si passavano le giornate in casa mia a quei tempi.

Nonostante la mia giovanissima età, in molti di questi video mi si vede seduto ad uno schermo a videogiocare.
O, almeno, a provarci.
Tutto quello che facevo era muovere il controller dell’Amiga 500 avanti e indietro e ridere istericamente nel vedere Superfrog correre a schermo. Non sono sicuro di aver mai nemmeno finito il primo livello di quel videogioco, eppure i video sono testimoni di quanto tempo ci passassi e, soprattutto, di quanto mi divertissi. Non avevo bisogno di uno scopo, forse era l’animazione della corsa, forse erano i colori sgargianti, ma non mi serviva null’altro per essere contento di esser lì a muovere il joystick avanti e indietro. Avevo pur sempre 4 anni.

Molto più bello da vedere del suo “remake HD” di qualche anno fa, secondo me

Oltre 20 anni dopo quel bambino ha coltivato la sua passione per i videogiochi e dall’Amiga 500 è passato prima alla Playstation, poi alla Playstation 2, la Xbox 360, il PC e così via, cominciando a costruire una propria cultura videoludica di tutto rispetto nonostante le evidenti lacune in campo Nintendo (che sto cercando di colmare adesso, pietà).
Ad andare avanti non è stata solo la tecnologia però, ma anche quello che i videogiochi riuscivano ad offrire e, di conseguenza, quello che mi aspettassi da loro. Non mi bastava più l’animazione della corsa di Superfrog per essere soddisfatto ma col tempo cercavo sempre più gameplay innovativi, storie coinvolgenti e tecnologie all’avanguardia alzando sempre più l’asticella degli standard.
Questo processo evolutivo non ha coinvolto solo me, ma tutta l’industria. I videogiochi si stan pian piano trasformando in qualcosa di completamente diverso da quello che erano un tempo. Vengono impiegati fior fior di attori per rendere i personaggi più espressivi, si cercano idee sempre più strane da tirare in campo per stravolgere gli standard oppure si cerca di far colpo sul pubblico tramite esperimenti artistici che sembrano appartenere più ad una mostra che ad una libreria Steam.
Tutto questo porta i giochi ad assomigliarsi sempre più, tant’è che si tende a descrivere alcuni titoli con “è come X ma con Y”.
Le rare eccezioni ci sono, ma inevitabilmente portano con loro un mare di altri titoli che cercano di emularle.

Ad un punto, però, la noia ha cominciato a prendere il sopravvento. In un mare di opere quasi tutte uguali fra loro ho cominciato inevitabilmente a perdere qualsivoglia stimolo nell’iniziare nuovi giochi, ritrovandomi così in un limbo in cui ogni titolo nella mia collezione aveva al massimo un paio di ore di gioco, andando avanti provando la novità del momento e abbandonandola dopo poco.
In questa situazione, parlando con un amico fan della saga, mi fu consigliato di provare Hyperdimension Neptunia.
Sul momento gli dissi che non avrei speso soldi per un gioco il cui unico scopo era vendere per l’evidente fanservice. La sua risposta fu regalarmi il primo capitolo della saga. Così, scettico ma sentendomi obbligato perché qualcuno ci aveva speso dei soldi, lo avviai convinto di abbandonarlo dopo pochissimi minuti.

Non esattamente il tipo di gioco che mi aspettavo di poter apprezzare

Per chi non fosse familiare con Neptunia, vi spiego brevemente su cosa si basa la saga. Vi sono quattro nazioni (Planeptune, Lowee, Leanbox e Lastation) nel grande continente di Gamindustri, e al comando di queste vi sono le quattro CPU (Neptune, Blanc, Vert, Noire), capi politici trattati come vere e proprie divinità che difendono le rispettive nazioni da attacchi esterni e combattono per essere la nazione regnante sulle altre, il cui potere aumenta in maniera direttamente proporzionale alla fede dei loro seguaci, rappresentata tramite share che aumentano principalmente durante i ricambi generazionali e le guerre fra nazioni che prendono il nome di console war.
Se non fosse già chiaro dai nomi usati, è una rappresentazione dell’industria videoludica sotto forma di mondo fantasy. Lowee rappresenta Nintendo e la sua CPU Blanc è una versione antropomorfizzata della Wii e delle console successive, Leanbox rappresenta Microsoft e la sua CPU Vert è la Xbox, Lastation ovviamente è Sony e Noire la Playstation e infine Planeptune rappresenta Sega con la protagonista Neptune che prende le parti, ovviamente, del Sega Neptune.
Le quattro CPU sono ovviamente, essendo un titolo giapponese con stile grafico tipico degli anime, tutte avvenenti e vanno incontro bene o male a tutti i gusti sessuali più diffusi, marchiando nella mia mente Hyperdimension Neptunia automaticamente come gioco “fatto solo per fanservice, senza nessun tipo di contenuto”, testimoniato anche dall’incredibile numero di titoli che vedevo portare il nome della saga.

Questo era tutto quello che sapevo del gioco prima di avviarlo, e di conseguenza avevo forti pregiudizi e dubbi sull’effettivo divertimento che avrei potuto trarre dal titolo. Non sembrava esserci una storia avvincente, tecnicamente era a livelli infimi, il gameplay non mi aspettavo potesse essere chissà cosa. Era l’esatto opposto di quello che avrei mai potuto giocare. Ma decisi di provarlo comunque perché lo dovevo a quel mio amico.
Sarò sempre grato al me del passato per averlo fatto.
Chiariamoci. Il gioco è effettivamente brutto da vedere, la storia è banale, il gameplay è banalmente quello di un JRPG a turni con movimento libero. Ha mille problemi, fra cui una curva di difficoltà inizialmente ripida che diventa a metà gioco a caduta libera visto che si arriva ad uccidere in un colpo anche i boss di fine dungeon. I nemici sono gli stessi non solo per tutto il gioco, ma per tutta la saga, subendo solo recolor su recolor e un aumento della vita e per finire le protagoniste sono effettivamente la sagra del fanservice dove anche l’azione più basiliare fa alzare gonne di qualsiasi tipo.
Eppure è ad oggi nella mia top 5 di saghe videoludiche preferite di sempre, ed è l’unica che consiglio sempre a chiunque nonostante la risposta sia spesso negativa.

Cos’è che lo rende così speciale allora?
Tutto il resto.
Il gioco non si prende sul serio nemmeno per un momento. La quarta parete viene sfondata costantemente al punto che potrebbe anche non esistere. Tutti i personaggi sono consapevoli di essere all’interno di un videogioco ed è pieno di situazioni assurde che stravolgono i cliché dei videogiochi solo per il gusto di farlo. L’umorismo usato non è banale ed è riuscito a strapparmi qualche risata a voce alta più di una volta. Giocando non è raro assistere a momenti in cui Neptune giustifica il suo sopravvivere a qualsiasi situazione grazie alla plot armor che ha per il suo essere protagonista, o situazioni in cui personaggi apprendono particolari skill per aver assistito a determinati eventi salvo poi rivelarsi skill senza alcun tipo di effetto ma messe solo per prendere in giro i power-up a caso negli altri JRPG. Hyperdimension Neptunia prende tutto ciò che siamo abituati a vedere negli altri videogiochi e lo fa suo, evidenziandone i difetti e le contraddizioni.
Tuttavia le battute meta non sono l’unico motivo per cui ho amato questi titoli dal primo momento.
Essendo basato sull’industria videoludica, Gamindustri è un mondo letteralmente ripieno di citazioni e riferimenti ad eventi e giochi reali. Tralasciando casi ovvi come personaggi con nomi come Tekken e Mages. (col punto!) che rappresentano ovviamente il famoso picchiaduro e la casa che ha dato i natali a visual novel come Steins;Gate, ci sono anche riferimenti molto più nascosti e insiti nella trama. Lowee (Nintendo) è una nazione ancorata ad usanze antiche che vive di rendita dalla grande gloria avuta in passato quando era l’unica superpotenza rifiutando oggi qualsiasi aiuto esterno, e cosa è questo se non un riferimento alla politica Nintendo pre-Switch con ben pochi third party di peso presenti sulla loro console. Lastation viene rappresentata come una nazione industrializzata e avanzata tecnologicamente mentre Planeptune come un paese allo sbando con una CPU che non fa altro che ignorare i propri doveri. I villain dei vari titoli hanno tutti una controparte nel mondo reale così come gli alleati che si incontrano e in questo modo ci si può ritrovare in compagnia del PC Engine o del Dreamcast, ovviamente antropomorfizzati, a combattere villain come i CFW, un gruppo di rivoluzionari che distribuisce gratuitamente al popolo le tecnologie delle nazioni, rappresentando ovviamente i custom firmware spesso collegati alla pirateria.

Compa rappresenta la Compile Heart, la casa produttrice della saga e divisione della casa Idea Factory, anch’essa rappresentata con un personaggio dal nome poco equivocabile: IF

Neptunia è un titolo che ha saputo premiare la mia cultura videoludica sviluppata nel tempo, portandomi a cogliere tutte le sfumature e i riferimenti possibili. Non mi interessavano i combattimenti e il gameplay nel totale perché io mi divertivo con i dialoghi, con i nomi dei personaggi, con i dettagli dei loro costumi. Mi divertivo nell’osservare l’analisi attenta fatta dalla Compile Heart del loro settore e nel vedere destrutturalizzato e preso in giro quello che prima idolatravo. Un po’ come quando mi bastava vedere Superfrog correre per essere felice.
Ed è per questo che quando ero ancora solo a metà del primo capitolo ho comprato tutti i Neptunia usciti fino a quel momento che, tra l’altro, scoprii essere solo 4. Almeno i canonici. Tutti gli altri sono spin-off fatti da altre case diverse dalla Compile Heart portando la saga di Neptunia su altri generi come musou e strategici.
Non mentirei nel dire che giocare i Neptunia abbia riacceso in me la voglia di videogiochi, perché grazie ad essi ho capito che non solo bisogna provare anche quello che non sembra essere nelle nostre corde, ma anche che quando bocciavo interi titoli per singoli difetti forse stavo esagerando e mi sarei dovuto concentrare più sui loro punti di forza.
Inizialmente qualcosa può far storcere il naso, come ho fatto per il fanservice presente in Neptunia o per le stupide catchphrase che mi davano sui nervi come il “Nep” costantemente ripetuto dalla protagonista. Eppure pian piano ho finito con l’apprezzare anche quegli aspetti, al punto da essere soprannominato Nep940 da alcune persone storpiando il nick che uso di solito online, parzialmente anche dovuto al fatto che in qualsiasi momento si parli di consigli videoludici io tiri fuori la saga di Neptunia.

*Neps Internally*

Se mai vi ritroverete a sentire la pesantezza dell’industria videoludica odierna, provate a scuotere un po’ il tutto provando qualche titolo che non avreste mai giocato, potreste scoprire una piccola perla piena di difetti ma che amate con tutto il vostro cuore.
Oppure potreste provare i Neptunia.

--

--