Addio Lettera 22. Senza rimpianti

Simone Ramella
2 min readDec 13, 2007

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«The medium is the message», spiegava Marshall McLuhan. Il mezzo è il messaggio, o almeno condiziona il messaggio che vogliamo trasmettere attraverso di esso. Ed era certamente vero anche nel caso della macchina da scrivere, che pur non essendo di per sé un mezzo di comunicazione condizionava il lavoro del giornalista, costringendolo a lunghe riflessioni prima di passare a ticchettare sui suoi tasti. Troppa avventatezza, infatti, rischiava di essere pagata a colpi di bianchetto o, nei casi più disperati, con una riscrittura del pezzo da cima a fondo, sempre con l’ansia di sbagliare di nuovo e dover ricominciare da capo.

È un pezzo di passato, neppure tanto lontano, che sta per andare definitivamente in pensione. La Commissione Cultura della Camera, presieduta da Pietro Folena, ieri infatti ha approvato in sede legislativa la proposta di legge del presidente della Commissione Giustizia, Pino Pisicchio, che abolisce l’uso della macchina da scrivere nell’esame di Stato dei giornalisti, introducendo al suo posto il personal computer.

La palla adesso passa al Senato, ma il destino della mitica Lettera 22 e dei suoi simili sembra segnato. L’esame di idoneità professionale dei giornalisti era rimasto la loro ultima riserva indiana e, come ha spiegato Pisicchio, obbligava i candidati ad affannose ricerche di pezzi d’antiquariato non sempre disponibili e, se disponibili, spesso malfunzionanti.

Quello di ieri, insomma, è un piccolo passo per il Parlamento ma un grande passo per le nuove leve del giornalismo italiano, che auspicano da tempo un adeguamento della procedura d’esame a quella che da più di una dozzina d’anni è diventata la norma nelle redazioni. Ed è un passettino emblematico dello scarto che troppo spesso esiste nel nostro Paese tra i tempi della politica e quelli del mondo reale, specie nelle materie che hanno a che fare con la sua succursale digitale.

Nessun rimpianto per il ticchettio dei tasti. Tanto meno per il dolore ai polpastrelli provocato dalla ribattitura dello stesso articolo per quattro o cinque volte di fila, per riuscire ad arrivare a una stesura graficamente decente e senza troppi sbianchettamenti. Soltanto un briciolo di commozione, avendo vissuto in prima persona, a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, la transizione dalla macchina da scrivere al pc. Fino al brivido, all’inizio della prova scritta per diventare professionista, della rottura del nastro dell’inchiostro, seguita da intensi attimi di panico prima di procedere a una riparazione raffazzonata, sufficiente però ad arrivare fino in fondo.

Era la fine di aprile del 2000 e da quel giorno ho perso le tracce della mia Olivetti rossa. Senza sentirne mai davvero la mancanza.

Pubblicato originariamente su Ramella.org

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Simone Ramella

Sono un precario ante litteram che da piccolo sognava di fare il giornalista e poi ha fatto anche molte altre cose.