La vittoria di Trump era più prevedibile del previsto
Prima di prendersela con la casalinga del Wisconsin o maledire il suffragio universale, che consente di votare anche ai razzisti bigotti del profondo sud, il Partito democratico americano dovrebbe farsi un bell’esame di coscienza e ammettere l’errore commesso nei mesi scorsi, durante le primarie per la scelta del proprio candidato alla presidenza.
Aveva a disposizione Bernie Sanders, detto anche “il rosso” o “il socialista” per le sue posizioni decisamente a sinistra, almeno per gli standard statunitensi, ma ha scelto di tenerlo in panchina, optando per l’usato sicuro, o presunto tale, rappresentato da Hillary Clinton, forte del sostegno dell’establishment del partito, di Obama, del marito Bill e — last but not least — dei milioni di dollari delle corporation (la sua campagna ne ha raccolti circa 690, più del doppio di quelli racimolati da Trump), ma non altrettanto popolare tra gli elettori.
Lo dimostrano gli stessi sondaggi che fino alla chiusura dei seggi la davano favorita, ma non troppo. A parte una breve parentesi tra marzo e maggio, infatti, lo scarto tra la candidata democratica e l’outsider repubblicano, osteggiato dai vertici del suo stesso partito e per questo amato da una larga parte dell’elettorato conservatore, è sempre stato molto ridotto.
La vittoria di Donald Trump, insomma, era meno imprevedibile e improbabile di come ci è stata presentata in questi mesi. Semmai era impensabile agli occhi di noi europei e di quella parte di elettorato americano che ha poco o nulla in comune con la casalinga del Wisconsin o l’allevatore di bufali dell’Ohio.
Sanders, al contrario, in tutti i sondaggi condotti a partire da gennaio fino al suo ritiro dalla corsa, è sempre stato dato vincente su Trump con un ampio margine di vantaggio. Ovviamente è impossibile sapere se avrebbe vinto davvero, ma l’impressione era che se la potesse giocare molto meglio della Clinton, che si è presentata al voto con diversi scheletri nell’armadio e ha pagato il fatto di essere identificata come “una della casta”.
Ignorando i segnali anti-sistema provenienti dalla nostra parte dell’Atlantico, la stragrande maggioranza dei superdelegati democratici ha scelto però di schierarsi dalla sua parte fin dall’inizio, senza se e senza ma, finendo così per consegnare le chiavi della Casa Bianca al candidato più improbabile della storia. Un candidato che è riuscito a vincere, è bene ricordarlo, pur avendo ottenuto quasi due milioni di voti in meno di Mitt Romney, che nel 2012 era stato sconfitto da Obama.
Rispetto a quattro anni fa, infatti, si sono volatilizzati circa sei milioni di voti democratici. Più che un trionfo di Trump, è stata dunque una sconfitta di Hillary Clinton, che non sembra essere riuscita a mobilitare quella parte sempre più consistente di elettorato che va a votare solo se ci crede davvero. A perdere, però, è soprattutto la democrazia, visto che l’astensionismo ha toccato il 43%: su circa 230 milioni di potenziali elettori, quasi 100 milioni hanno disertato i seggi.
Pubblicato originariamente su Ramella.org
Immagine di DonkeyHotey | Flickr