La Risiera di San Sabba

Storie dal confine mobile
6 min readFeb 23, 2015

Un lager italiano

di Camilla Franzoni

La Risiera di San Sabba — stabilimento per la lavorazione del riso edificato nel 1898 — venne utilizzata dopo l’8 settembre 1943 dall’occupatore nazista come campo di prigionia, e destinato in seguito allo smistamento dei deportati diretti in Germania e Polonia, al deposito dei beni razziati e alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei. Il 4 aprile 1944 venne messo in funzione anche un forno crematorio.

Nel 1965 la Risiera di San Sabba fu dichiarata monumento nazionale con decreto del Presidente della Repubblica. Nel 1975 la Risiera, ristrutturata su progetto dell’architetto Romano Boico, divenne Civico museo della Risiera di San Sabba. La Risiera di San Sabba è molto nota poiché si trattava dell’unico campo sul territorio italiano munito di forno crematorio. Furono proprio gli stessi nazisti ad avviare questo campo, e lo qualificarono come un Polizeihaftlager, ossia un campo di detenzione di polizia. La Risiera di San Sabba ha assunto diverse funzioni, come:

  • Eliminazione di ostaggi, (partigiani, detenuti politici italiani, sloveni, croati e in minima parte anche ebrei).
  • Smistamento di deportati politici e razziali verso altri lager appartenenti al Reich, in genere Dachau, Buchenwald e Mauthausen, per i politici, Auschwitz e poi Bergen Belsen per gli ebrei. Bergen Belsen era inoltre il sito di stoccaggio dei beni razziati alle comunità ebraiche del litorale adriatico.

Gli spazi che erano stati del lager vennero riutilizzati dal 1949 al 1965, come campo per rifugiati politici in fuga dai paesi a est della cortina di ferro.

Foto Federica Nava

Con la ristrutturazione del 1975, agli elementi architettonici preesistenti vennero aggiunti i muri perimetrali in cemento armato. Il forno crematorio e la ciminiera, distrutti dai nazisti in fuga, vennero evocati rispettivamente con una piastra e una scultura entrambe in metallo. Oggi all’interno della Risiera è possibile vedere il monumentale ingresso, caratterizzato da questi alti muri in cemento armato, materiale molto grezzo, il quale dopo alcuni anni tende a inscurirsi e a diventare quasi nero. Queste due alte mura non a caso sono state volute proprio all’entrata del monumento dall’architetto Boico, poiché rappresentano un sentimento di prigionia, di chiusura e paura di non poter più uscire da quel luogo. Questi sentimenti potevano essere gli stessi provati dai prigionieri quando entravano nella Risiera, già certi di quale sarebbe stata la loro fine, e già sicuri che da quel luogo non avrebbero avuto via d’uscita.

Inoltre all’interno della Risiera è possibile visitare anche: la sala delle croci, nella quale gli arrestati per motivi razziali e politici attendevano di essere deportati in altri lager del Reich. Altra area molto importante visitabile all’interno della Risiera, è quella dove si trovano le diciassette microcelle, dove venivano tormentati i partigiani italiani, sloveni e croati, molti dei quali destinati poi all’eliminazione. La dimensione di queste microcelle è davvero impressionante, sono minuscole sia in larghezza che in lunghezza, nonostante ciò però in esse venivano stipate fino a sei persone ognuna. Sulle pareti delle celle si trovavano numerosi scritti e incisioni, oggi scomparse, forse per l’incuria, o per il successivo utilizzo della Risiera in qualità di campo profughi, oppure anche per il desiderio di far sparire tracce di un così infamante passato.

Foto Giulia Bondi

I testi sono però stati fedelmente trascritti da Diego de Henriquez, nome poi italianizzato in Diego de Enriquez , studioso e collezionista triestino, fu uno dei primi a entrare nella Risiera dopo la Liberazione. Oggi i suoi diari sono esposti nel Museo della pace che da lui prende il nome.

Dal momento in cui si entra nella Risiera, si può anche visitare un’ulteriore stanza, ossia la sala delle commemorazioni, che ospita la statua dedicata ai martiri di Auschwitz (realizzata dalla scultore triestino Marcello Mascherini). All’interno di questa sala è possibile vedere numerosi oggetti rappresentanti gli ebrei, e la loro vita all’interno della Risiera, o di altri campi di concentramento: le divise a righe dei detenuti, numerose lettere di addio scritte dagli stessi prigionieri per salutare i propri cari, ma anche un ulteriore oggetto (di cui però oggi la Risiera possiede solo una ricostruzione e non l’originale), ossia la frusta in legno e ferro con la quale venivano puniti e picchiati, in certi casi anche fino alla morte, i prigionieri del campo.

Disegno di Licia Sabattini

La Risiera non dispose mai di una camera a gas e si ritiene che le esecuzioni avvenissero per lo più tramite fucilazione, tramite un colpo di mazza assestato alla base della nuca oppure tramite la gassazione con i gas di scarico di alcuni furgoni (che fungevano quindi anche da camere della morte). I cadaveri venivano poi cremati nel forno, interrato, che si trovava alla base dell’edificio destinato a caserma e di cui sono ancora oggi evidenti i segni.

Secondo calcoli effettuati sulla scorta delle testimonianze, il numero delle vittime cremate in Risiera è oscillante tra le 3 e le 5mila persone (triestini, sloveni, croati, friulani, istriani ed ebrei). Ma un numero ben maggiore di prigionieri — ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei — sono passati dalla Risiera e smistati nei lager o al lavoro obbligatorio. Vi transitarono — diretti a Buchenwald, a Dachau, ad Auschwitz — più di 25mila persone. Gente di nazionalità , credo religioso e politico diverso furono accomunati da un destino crudele, bruciarono nella Risiera o vennero deportati per un viaggio quasi sempre senza ritorno. Nell’aprile 1976 si è concluso a Trieste il processo per i crimini di guerra perpetrati alla Risiera. Il banco degli imputati è purtroppo rimasto desolatamente vuoto: i maggiori imputati infatti o erano già deceduti o erano semplicemente scomparsi. Caso eclatante fu quello di Joseph Oberhauser morto il 22 novembre 1979, ultimo comandante della Risiera che, pur essendo stato riconosciuto colpevole e condannato all’ergastolo, proseguì la sua vita molto tranquillamente in Germania, poiché l’estradizione tra l’Italia e la Germania è legalmente possibile solo per crimini commessi dopo il 1948. ¶

Brutalità e stupidità

di Mattia Bonantini

La Risiera di San Sabba è un campo di concentramento, di ridotte dimensioni, ma nonostante ciò si uccideva comunque al suo interno, e proprio per questo è un esempio di brutalità umana.

La cosa che rende brutale il campo è il fatto che uccidevano; il campo non è solo un esempio di brutalità umana, ma anche un esempio di stupidità umana, perché se si guardano tutte le vittime si vedrà che sono quasi tutte vittime politiche, cioè oppositori politici che venivano catturati e poi uccisi perché avevano un’idea politica differente.

Se ogni individuo è libero di avere le proprie idee e poter ragionare liberamente, è impossibile da sottomettere, ed è proprio qua che trova spiegazione la stupidità del campo di concentramento di San Sabba.

Il nazismo e il fascismo, che al proprio interno contenevano l’idea dell’esclusione razziale, per un lungo periodo hanno prevalso, raccogliendo le adesioni della maggioranza della popolazione tedesca e italiana dell’epoca. Quelli che non si riuscivano a convincere ad aderire al partito con le parole, li si convinceva con le punizioni, e quelli che si ostinavano a non aderire, li si eliminava; ed è proprio questa la stupidità del campo di San Sabba, il fatto che venisse usato per lo scopo di imporre un’idea totalitaria, uccidendo le idee diverse, perché anche solo una di quelle poteva rappresentare la distruzione dell’idea totalitaria di governo.

Tutto questo dimostra che il nazismo era incapace di governare una nazione attraverso la democrazia, perché nella democrazia ogni idea vale!

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Una redazione di studenti in viaggio tra Venezia Giulia e Slovenia (www.facebook.com/storiedalconfinemobile — coordinamento progetto di @gnomade)