Imperatore, mestiere pericoloso

Le morti più assurde degli imperatori romani

Storie di Storia
3 min readJul 15, 2023
L'imperatore Vespasiano ritratto in un busto seicentesco

Essere un monarca assoluto è un’arma a doppio taglio, perché quando le cose vanno bene, si sta molto bene, ma quando le cose vanno male, si finisce molto male, e alla svelta.

Per capirlo basta scorrere la lista degli imperatori romani: tra decine di nomi, quelli di coloro che riuscirono a morire sereni nel proprio letto sono davvero pochi - quasi nessuno ebbe il lusso di andarsene con lo humour di Vespasiano (r. 69–79 d.C.), che ormai prossimo alla fine e consapevole degli onori a lui destinati dopo la morte disse:

Ahi, credo di star per diventare un dio.

Veleni, congiure, guerre, prigionie umilianti e suicidi erano destini molto più realistici per gli Augusti, senza contare malattie e banali incidenti.

Eppure, in mezzo a tante storie deprimenti o raccapriccianti troviamo anche qualche vicenda davvero bizzarra e grottesca, che merita di essere raccontata.

Ad esempio, al collerico Caracalla (r. 211–217 d.C.), assassino del proprio fratello, fu fatale la… pausa gabinetto: infatti, durante le lunghe marce di una spedizione militare contro i Parti, l’imperatore dovette appartarsi per rispondere alle esigenze della natura; e proprio in un momento tanto vulnerabile cadde vittima di una cospirazione ordita dal suo Prefetto del Pretorio, Macrino, che aveva reclutato allo scopo un povero soldato, tale Marziale, al quale il tiranno aveva ucciso poco prima il fratello (eliminare il suo non gli era bastato).

E sempre il sogno di vincere la Persia si dimostrò letale per un altro imperatore, Caro (r. 282–283 d.C.), che dopo aver conseguito alcune vittorie sul nemico fu stroncato da un… colpo di fulmine: no, non da una bella donna, ma proprio da una saetta, che lo prese in pieno presso la città di Ctesifonte; secondo alcuni, era la punizione divina per aver ignorato un oracolo che lo aveva esortato a non procedere oltre - ma resta aperta la possibilità che dietro a questa morte improvvisa ci fosse in realtà una malattia o l’ambizione del Prefetto del Pretorio Aper, che in effetti tentò di usurpare il trono poco dopo.

In ogni caso, se non fu l’amore a uccidere Caro, fu sicuramente l’ira a togliere la vita a Valentiniano I (r. 364–375 d.C.); infatti l’imperatore collassò durante una violenta scenata contro una delegazione del popolo dei Quadi, a suo parere colpevole di ingratitudine verso Roma: debilitato, privato della parola, e senza pronta assistenza (i medici erano alle prese con un’epidemia tra le truppe), il sovrano si spense dopo aver languito per qualche tempo in pietosa agonia.

Naturale o meno, attesa con stile o rapida e indecorosa, la morte dovette essere sempre una realtà ben chiara ai padroni di Roma, che in fondo barattarono la certezza in ogni caso mai reale di una dipartita serena con il potere e con l’opportunità di una fama eterna che solo la Storia può garantire.

Per approfondire:

  • Svetonio, Vita dei Cesari, libro VIII, Vita del divo Vespasiano (in latino e in italiano)
  • Erodiano, Storia dell’Impero Romano dopo Marco, libro IV (traduzione in italiano)
  • Anonimo, Epitome de Caesaribus (in latino)
  • Sesto Aurelio Vittore, Liber de Caesaribus (in latino e in francese)
  • Ammiano Marcellino, Res Gestae Libri XXXI, libro XXX (in latino e in francese)

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