Quel sabato notte col ribelle siriano

Socialmediacolica
7 min readNov 22, 2015

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La condanna decisa al terrorismo redatta e firmata in un documento da alcune legioni del Free Syrian Army, il giorno dopo il dramma di Parigi, si fa occasione di una lunga chiacchierata con un giornalista siriano, un giovane reporter e ribelle di Aleppo. Comincio quindi a scoprire la Siria contesa dagli interessi del Mondo, devastata dalla violenza dell’ISIS, dal regime di Assad, dalla follia. E dalle “bombe” di Putin. Sì, anche da quelle

La notte successiva alla strage di Parigi ero schermo a schermo con un ribelle di Aleppo. Uno di quei siriani che ce l’ha con Assad, con l’ISIS, con la Russia. Musulmano, “legittimo”. Fa il ramadan, prega. Non so se per voi basti essere ribelle, musulmano e siriano, per essere un militante dell’ISIS. Per alcuni sì. In Tv, sui social, nei nostri discorsi e in quelli degli altri, pare noi si faccia ancora fatica a distinguere.

Prima di incrociare Mohammed - così si chiama — non stavo ponendomi la questione. Avevo già dimenticato la primavera araba del 2011 e me che anche allora cercavo di capirci qualcosa sui social. Vagavo su twitter seguendo gli hashtag alla ricerca di un “perché”. Incrociavo tweet dell’ISIS e foto insanguinate, ma anche solidarietà e doglio. Inciampata in qualcosa mi sono fermata. Era“un documento” in arabo. Speravo che quelle parole su un *jpg fossero istruzioni per gli attentati. Cinica, morbosa. La traduzione automatica del tweet con cui era stato condiviso si lasciava fraintendere.

(La versione “light” dell’articolo è sul blog #newsbandite su #linkiesta)

La condanna al terrorismo firmata anche da alcune legioni del FSA (Free Syrian Army) redatta il 14 novembre

Altri l’avevano retwittato, ma sembrava fosse partito proprio da Mohammed . Avatar rassicurante, come le info della bio. Posso fidarmi” (intuivo).

Contattato subito su facebook mi ha risposto al volo e mi girato il “doc” in francese e in inglese. Gliel’ho chiesto io. Poi abbiamo parlato.

Quelle parole scansionate in un’immagine non erano le istruzioni per i terroristi di Parigi, ma una condanna ferma alla violenza, al regime siriano, all’ISIS che, per tanti, sono la stessa cosa. Nei modi e nei toni. Per coloro che hanno imparato a respirare e amare anche tra le macerie non fa molta differenza se le “bombe” che piovono dall’alto siano una punizione di Assad, o un “dono” di Putin, o, piuttosto, una vendetta di feroci, esaltati e “bastardi” assassini. Loro, i poveri siriani, sono quelli sotto. Sotto al cielo tormentato, sotto le stelle delle bombe al fosforo russe, sotto le macerie, per le strade violentate e distrutte.

Il panificio di Aleppo distrutto l’altro giorno dai raid russi

Loro sono quei 300 mila che dovranno reinventarsi anche per comprare il pane, perché persino il panificio di fiducia, ad Aleppo, è stato distrutto dai mandanti sovietici.

Da lì sotto, ancora, resistono come possono, anche facendo gruppo come nel piccolo villaggio di Kafranbel, dove non ci sono solo guerriglieri dell’ISIS, ma anche civili che non hanno perso la speranza cercano di catturare l’attenzione del mondo manifestando con cartelloni scritti e disegnati a mano, come un tempo.

Scappano. Oppure resistono. Anche con l’aiuto della Francia e dell’America, pare. “Vi sostengono”? Chiedo a Mohammed. “Politicamente”, mi risponde. Ma l’America sta combattendo l’ISIS”.

Dalla Chat con Mohammed del 15 novembre.

LA CONDANNA AL TERRORISMO ISLAMICO E AL REGIME DI ASSAD

Una vignetta dalla pagina facebook Free Syrian Network

Redatto all’indomani dei fatti di Parigi, il 14 novembre, firmato da varie legioni di ribelli siriani, il documento comincia così:

“Siamo profondamente scioccati e dispiaciuti per la terrificante notizia della morte di innocenti civili a Parigi. Condanniamo fermamente gli atti criminali e disumani che si sono verificati. Consideriamo questi atti terroristici non differenti da quelli che i siriani sopportano da 5 anni….

Si chiude con una frase che lascia ancora intendere la visione parziale dei ribelli. Questa, pressappoco:

La violenza di Assad e del terrorismo (cui si accompagna) fa male non solo ai siriani, ma al mondo intero”

La condanna del terrorismo da parte dei ribelli siriani

È quindi un’accusa decisa da parte della Free Syrian Army al terrorismo dell’ISIS, ma anche al regime di Assad. Tra le righe solleva il dubbio che possano esserci dei legami tutt’altro che banali tra le due “entità”.

Più di due anni fa, scrivono i ribelli, il governo siriano aveva minacciato di portare il terrore in Europa, attraverso il ministro degli esteri e il gran Mufti. Quando ne chiedo conferma, Mohammed smitizza. Mi risponde che potrebbero esserci degli errori di traduzione. Cauto, razionale, come un buon giornalista, non può affermare con certezza che ci sia un legame tra Assad e l’ISIS. Può supporre, però, che abbiano alcuni interessi in comune. E mi dice, ancora:

Tra gli altri, mi suggerisce poi la lettura di alcuni articoli che ha scritto dalla Syria per AlMonitor.

Mi offre spunti per guardare la Syria dal suo punto di vista, con calma

<<Guarda questi video, mi dice. Questo per comprendere la situazione in Siria>>

Quest’altro per spiegarmi la vicenda delle minacce. L’avevo già trovato io stessa su twitter, condiviso da altri ribelli:

C’è anche su youtube, senza sottotitoli. Qualcuno potrebbe anche averne messi di non corretti.

Su Wikileaks, poi, si trova dell’altro

#Syria #Wikileaks

(L’episodio è del 2011 ed è meglio raccontato in una nota su facebook dall’ambasciatore americao a Damasco):

<<Una situazione molto complessa>>, sottolinea Mohammed. Con un po’ di ironia. Lo immagino così-mentre riusciamo anche a scherzare. Gli parlo di Gazebo, di Diego Bianchi “il miglior giornalista della TV italiana”, e di Salvini, che ancora non conosce e di cui gli parlerà il giorno successivo un amico. Lui, a buio di un qualche posto, perché <<non ci sono stanze confortetevoli, qui ad Aleppo>> mi mostra il suo gatto su instagram.

Nonostante i raid aerei russi che sorvolano Aleppo da giorni, le macerie della capitale economica della Siria, la connessione lenta, i sospetti del mondo e tutto il resto, questo giovane di 23 anni con cui parlo in chat fino all’alba, mi sembra più felice e in pace con se stesso di me. Fa il lavoro che gli piace. Io non proprio quello che vorrei. Neanche a prendermi cura di un micio. Non ci provo. Lui ci riesce

Foto dal profilo instagram di Mohammed Al-khatieb

Prima di spulciare sul suo profilo lo immaginavo con i capelli molto scuri, trasandato, con lo sguardo cupo. Brutto. È invece uno splendido siriano. Castano, con gli occhi verdi. Un bel tipo, iperconnesso, tra l’altro. Anche su instagram, dove l’ultima cosa che avrei immaginato di poter trovare era un selfie in acqua.

Anche i ribelli nel loro piccolo si selfano. Foto dal profilo instagram di Mohammed Al-khatieb

Non vuole lasciare il suo Paese. Lo ama. Free lance, lavora per l’Aleppo Media Center ed è reporter dalla Siria per Al-Monitor. Lo ribadisco perché pare che Al Monitor () sia di proprietà di tale Jamal Daniel, un siriano ricco imprenditore che vive in America e che finanzia anche un giornale di Beirut dalla linea editoriale chiaramente pro Assad.

Che Mohammed riesca a raccontare tra le righe quanto accade in Siria ciò nonostante è una buona cosa, anche se non sappiamo quali limiti cerchi di arginare con le parole.

Fino a un anno fa, prima di darsi al reporting-mi spiega-faceva foto in giro per la sua città. Mi chiede se la conosca e mi suggerisce di guardare su google. Cerco-trovandone a fatica-immagini che non siano di case distrutte e di macerie. E invece lui vuole farmi vedere proprio quelle. Molte hanno la sua firma. “Cerca “Aleppo Mohammed Al Khatieb”, mi dice. Ne è orgoglioso come io mai sono riuscita a essere orgogliosa di me. Libero. In una terra occupata. Tanto libero che non ha paura che io mostri la sua faccia e vi dica il suo nome.

Si chiama Mohammed Al-khatieb, lo sapete già, oramai. Mi ha involontariamente accompagnato in una storia che ancora sto cercando di capire, un tragico sabato notte nel quale avrebbe sicuramente avuto altro da fare. Solo perché gliel’ho chiesto…

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