Apologia della rimessa laterale

Alessandro Acquistapace
10 min readJul 31, 2017

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Quando pensiamo ad una squadra di calcio, o ad un qualunque altro insieme di persone che competono in un altro sport come un’unica entità, dobbiamo pensare, più che ad una comitiva di amici disorganizzata, ad una fabbrica altamente specializzata. Ogni singolo pezzo è una parte della catena di montaggio, ha il suo compito, svolge le sue occupazioni, e poi, una volta compiuta la sua parte, la lascia nelle mani del compagno che viene immediatamente dopo di lui. Se aggiungiamo a ciò il fatto che non esiste un unico modo per vincere, ma esistono tanti modi differenti per arrivare ad uno stesso risultato, e che ogni allenatore, ogni dirigente, e ogni presidente ─ che sarà pure meno competente degli altri, ma è quello che stacca gli assegni, e vuole sapere come vengono spesi i suoi soldi ─ ha una sua propria convinzione di come arrivare al successo, ecco che i calciatori possono iniziare a sembrarci dei veri e propri operai altamente specializzati, ognuno specializzato in uno o più fondamentali, e per questo schierabili solo in determinate zone del campo ed in determinate situazioni. Molto spesso noi appassionati ci facciamo prendere dalla fretta, e tendiamo ad assegnare l’appellativo di “scarso”, a giocatori che magari scarsi veramente non lo sono, ma sono stati solamente inseriti, per causa della società, ma anche dei calciatori stessi, che in fin dei conti sono quelli che decidono dove portare i loro talenti, in un contesto tattico, tecnico o fisico del tutto inadatto a quelle che sono le loro caratteristiche e i loro fondamentali d’eccellenza. In fin dei conti, non puoi chiedere ad un piastrellista di fare il lavoro di un ingegnere, e viceversa. Il giocatore perfetto, purtroppo o per fortuna, ancora non è nato, e probabilmente non nascerà mai, e quindi questa sorta di alta specializzazione dei calciatori è ancora tangibile quando guardiamo una partita di pallone. C’è chi è bravo nei passaggi, chi ha un grandissimo tempismo nei contrasti e chi è padrone dell’area di rigore, e ci sono altre millemila capacità che singolarmente sono richieste ad un giocatore affinché possa farsi strada nel professionismo. Tra tutti questi fondamentali, però, ce n’é uno, forse l’unico, che nella maggior parte dei casi non ha una benché minima importanza nella valutazione di un atleta, e che è solamente un surplus di cui non tutti gli allenatori potrebbero avere bisogno: la rimessa laterale. Per ogni Gerd Muller che diventa professionista per il suo innato senso del gol, per ogni David Beckham che diventa l’idolo delle folle grazie, quasi del tutto, ad un piede destro talmente eccezionale che evidentemente in una vita precedente gli era stato amputato fin dalla nascita, non esiste un corrispettivo che ha raggiunto il professionismo grazie alla sua straordinaria capacità di battere le rimesse con le mani, e persino quello lì, il re indiscusso del fondamentale, di cui parleremo approfonditamente più avanti, ha dovuto contare sulla sua resistenza e sulla sua grande forza fisica per sfondare nel mondo del professionismo. Ad esempio, anche nella Serie A di quest’anno ci sono stati alcuni specialisti della rimessa lunga, come Ghoulam e Chiellini, ma sicuramente negli scouting report degli avversari questa loro capacità non è particolarmente sottolineata. La rimessa laterale, che pure è una parte del gioco esattamente come il calcio d’angolo o i calci di punizione, e che al contrario pullulano di specialisti capaci di costruirsi una carriera dietro alla loro abilità, è considerata un evento insignificante, un gesto talmente semplice da svolgere che tutti, ma veramente tutti, sarebbero in grado di fare, e addirittura ci sono addetti ai lavori che preferirebbero che queste stesse venissero battute con i piedi, come succede nel futsal, e non con le mani, in nome di una presunta velocizzazione dei tempi di gioco. Al contrario io, come fossi un Lisia qualunque, mi getto in una strenua difesa di questo fondamentale tanto vituperato, e poiché gli antichi oratori erano soliti scrivere il discorso, che però doveva poi essere recitato in tribunale dal loro cliente, immaginatevi tutto quello che sto per scrivere con la voce di Giorgio Chiellini, il miglior italiano di sempre nel battere le rimesse con le mani.

La rimessa laterale non solo ha una sua dignità, ma è anche una parte fondamentale di questo gioco. Se essa non fosse indispensabile, allora tanto varrebbe delimitare il campo non con delle righe di gesso, ma con delle solide ringhiere, come nell’hockey su ghiaccio o nella versione indoor del calcio, che solamente il popolo americano avrebbe mai potuto pensare di introdurre. Tutte le squadre che possono vantare uno specialista della rimessa lunga hanno ogni diritto di utilizzare questa loro possibile superiorità, esattamente come è sfruttabile su un campo di gioco la particolare abilità nel dribbling di un’ala o nel cross di un terzino. In fin dei conti, come esistono decine di finte atte a superare il difensore avversario, esistono anche ventisei modi diversi per battere una rimessa laterale, almeno stando alle frasi attribuite al più folle dei visionari calcistici, Marcelo el loco Bielsa.

E a tutti i detrattori della rimessa laterale, dico di ammirare la bellezza del gesto, la sua eleganza, la compostezza e la tranquillità che trasmettono quelle due mani che amorevolmente stringono il pallone e lo gettano di nuovo all’interno di quello che è il suo habitat naturale. Battere una rimessa con le mani è come rimettere in acqua un pesce dopo averlo pescato e fotografato, è un gesto benevolo, un gesto di amore nei confronti del campo da calcio che ci ospita nel suo rettangolo e ci offre la deliziosa dolcezza della sua ambrosia. La rimessa laterale è la scusa che dobbiamo a questo sport per averlo più volte rovinato e umiliato a suon di scandali, mazzette, passaporti truccati e calcioscommesse. E invito inoltre tutti coloro che non credono che un gesto del genere non possa portare vantaggi diretti ad una squadra a rivedersi le partite, sopratutto le prime della stagione, del leggendario Stoke City del 2008/2009, che segnò sette delle sue prime tredici reti da neopromossa in Premier League grazie al decisivo contributo, su rimessa laterale, di quello lì, Rory Delap, centrocampista irlandese, ma sopratutto il più grande rimessista che si sia mai visto nella storia di questo gioco.

Di solito i video-highlights sono dedicati a gol, assist e dribbling. Delap è l’unico a cui sia stato dedicato un mix per le rimesse laterali

Rory Delap è nato a Sutton Coldfield, in Inghilterra, e sempre in Inghilterra ha speso la sua carriera da calciatore, iniziata nelle giovanili del Carlisle United, nonostante il suo passaporto e la maglia indossata a livello internazionale lo accreditino come irlandese. La sua prima vita sportiva, da giovanissimo, lo vedeva nei panni di un promettente ─ almeno per i livelli irlandesi, non proprio altissimi in questa disciplina ─ giavellottista, ed è proprio da questo suo talento che deriva la sua clamorosa abilità nel lanciare la palla il più lontano possibile. E proprio al giavellotto sarebbe potuto tornare dopo il suo clamoroso exploit con la maglia dello Stoke: la federazione d’atletica irlandese aveva provato a convincerlo, invano, evidentemente, a indossare i colori dell’Eire alle Olimpiadi proprio nella specialità che aveva dato inizio alla sua carriera sportiva. Il ritorno al primo amore non si è però mai concretizzato, e d’altronde, se il futuro di Delap fosse stato veramente quello del giavellottista, non sarebbe mai passato al Derby County, in Premier League, immediatamente dopo la sua prima stagione fra i professionisti a Brunton Park, dove con il Carlisle riuscì a ottenere la promozione in Division Two ─ adesso conosciuta come Championship ─ e non sarebbe mai diventato il capocannoniere dei Rams nella sua seconda annata con la maglia bianca, con otto reti all’attivo, un grandissimo bottino per un centrocampista ─ ma non un grande spot per la produzione offensiva della squadra allora allenata da Jim Smith. Quelle ottime prestazioni con il Derby portarono Stuart Gray, appena nominato manager del Southampton, a volere come primo mattone del calciomercato proprio il centrocampista irlandese, che nel frattempo aveva già esordito con la maglia della nazionale maggiore, tanto da rompere per lui il record del trasferimento più costoso della storia dei Saints, all’epoca di quattro milioni di sterline, che verrà battuto solo undici anni dopo da Jay Rodriguez, e da molti altri negli anni a venire, fino ad arrivare Sofiane Boufal, arrivato lo scorso anno al St. Mary’s Stadion per una cifra intorno ai diciannove milioni di euro. Con questa maglia Delap segnerà solo cinque gol nel corso di cinque stagioni, ma uno di questi, contro il Tottenham, nel 2004, è probabilmente il più bello della sua intera carriera, oltre ad essere stato decisivo per il risultato della partita, che non vide altre marcature oltre a quella dell’irlandese, e ad aver interrotto il suo digiuno di reti con la maglia dei Saints, che durava da oltre due anni. Con una rovesciata in corsa che ─ sempre restando in tema di atletica ─ ricorda tanto un salto alla Fosbury, Rory infila gli Spurs dopo una confusa azione che fa tanto calcio inglese. Nel 2006 però, il Southampton, in cattive acque economicamente e retrocesso l’anno precedente dalla Premier League dopo ventisette stagioni consecutive nel massimo livello del calcio inglese, attraversando anche la fine della vecchia Division One e la nascita della nuova, bella e grandiosa Premier, wannabe campionato più spettacolare e popolare del vecchio continente, si trova costretta a vendere Delap, e lo vende al Sunderland, un’altra delle squadre inglesi biancorosse e con il nome che incomincia con la lettera S. Il periodo si rivelerà infruttuoso, e in mezza stagione l’irlandese metterà insieme dodici presenze, un gol, vari litigi con compagni e allenatore e anche un naso rotto. Verrà quindi prestato allo Stoke City, anch’esso biancorosso, ma dopo appena una singola presenza si romperà la gamba, proprio nella gara contro il club proprietario del suo cartellino, il Sunderland. Potrebbe essere l’inizio della fine per Delap, che a trent’anni si ritrova in una squadra in cui non è felice, infortunato e verso la fine di quello che di solito è il picco massimo di crescita per un calciatore. E invece i Potters decidono di puntare su di lui e lo acquistano a titolo definitivo, senza troppi rimpianti da parte del suo precedente allenatore, l’arcigno connazionale Roy Keane, dando inizio alla meravigliosa favola dello Stoke e di Delapidator.

La prima stagione sulle rive del fiume Trent è straordinaria, e con il secondo posto finale in Championship, permette ai biancorossi di ritrovare la massima serie dopo una lunga attesa di ben ventitré anni, un po’ tanti per un club che ha potuto vantare nei suoi ranghi i due più grandi (e longevi) portieri della storia del calcio inglese: Gordon Banks e Peter Shilton. E con il ritorno nella massima serie a trentadue anni e con un grave infortunio alle spalle, si apre per Rory Delap la fase più incredibile della sua carriera, quella in cui la sua abilità con le rimesse laterali non sarà solamente un corredo delle sue comunque importanti capacità calcistiche, ma un’arma tattica in piena regola, che permetterà allo Stoke di segnare sette dei suoi primi tredici gol in stagione, e che risulterà molto utile anche negli anni successivi, includendo le due reti da lui provocate contro l’Arsenal, in una delle prime gare dell’annata 2009/2010 e che faranno molto arrabbiare Arsene Wenger. Tutto questo grazie all’intuizione di Tony Pulis, allenatore di lungo corso noto in Inghilterra sopratutto perché ad oggi non è ancora mai retrocesso nemmeno una volta, nonostante abbia sempre allenato squadre non sempre di altissimo livello, che lavorò all’elaborazione di schemi da svolgere ogni volta che, con il pallone uscito dal campo, Delapidator si facesse consegnare dal raccattapalle un asciugamano per pulire la palla e lanciarla direttamente verso il centro del campo. Il fatto è che le rimesse laterali di Delap non hanno niente in comune con una normale rimessa laterale. Non posseggono una parabola arcuata, a campanile, che può spesso neutralizzarne gli effetti positivi, ma come un pallone calciato di collo sono dirette, lunghe, oltre quaranta metri di distanza, e veloci, visto che possono raggiungere il ragguardevole traguardo dei sessanta chilometri orari. In pratica, è quasi come avere Andreas Thorkildsen, norvegese bicampione olimpico nel giavellotto, a batterti le rimesse con le mani, anche perché, la tecnica utilizzata da Delap è esattamente la stessa utilizzata nella sua specialità giovanile. E per questo motivo, nonostante ci siano sempre stati giocatori capaci di spingere molto lontano le loro rimesse laterali, Delapidator resta indiscutibilmente il miglior specialista della categoria, e con distacchi da Mont Ventoux.

Ma la rimessa laterale non è solo un gesto meccanico, ripetitivo e noioso. Può anche essere divertente. Può anche nascere da un’idea geniale, una bellissima illuminazione, di un precursore che il mondo non è ancora pronto ad accettare. Pensateci un po’, non sarebbe folle, ma bellissimo, poter lanciare la palla più lontano utilizzando, stile catapulta, un salto mortale che da origine ad un lunghissimo e altissimo campanile. Magari la vostra squadra non riuscirà a trarre un reale vantaggio, in fin dei conti il lento cadere del pallone darà tutto il tempo agli avversari di organizzarsi per recuperare il pallone, ma volete mettere la bellezza della giocata, la sua indiscreta follia? Beh, dovete mettervi in coda, perché i diritti d’autore di questo gesto sono già stati presi, e nello specifico da un difensore estone di nome Risto Kallaste che è ricordato quasi solo per questo motivo e che ha una sua pagina wikipedia in italiano solamente perché contro gli Azzurri si è conquistato i suoi quindici minuti di gloria, fra le sorprese affermazioni di Bruno Pizzul e gli ooooohhh assordanti del pubblico.

Di Mauro che entra al posto di (Dino) Baggio, la capriola di Kallaste e Bruno Pizzul. Grazie al cielo non sono un nostalgico, altrimenti starei già effondendo lacrime amare per il bel calcio che non c’è più

Ma quello di Risto Kallaste non è un semplice orpello aristocratico e barocco come la foquinha di Kerlon, ex meteora dell’Inter, non è tutto fumo e niente arrosto, e non è neanche tutto chiacchiere e distintivo, per restare con le citazioni cinematografiche, ma è l’equivalente calcistico della nota 24 di Infinite Jest. La sa acrobazia è un’appendice che rende unico e speciale ciò che è apparentemente banale, è una lunga serie di dettagli aggiuntivi, magari assolutamente non necessari, come gli oltre settanta film immaginati dalla geniale mente di David Foster Wallace, che però sommati insieme danno un risultato eccezionale. Non paghereste mai un biglietto solo per vedere un mediocre difensore estone, che ha come punta della sua carriera gli anni passati al Flora Tallinn, fare un salto mortale solamente per migliorare la lunghezza delle sue rimesse laterali, ma se vi trovaste di fronte ad un tale spettacolo, non sareste in grado di trattenere gli applausi.

Come avete visto, miei cari giudici dell’Areopago, la rimessa laterale non è solo un particolare secondario, una parte sostituibile della quale nessuno sentirebbe la mancanza del calcio. La rimessa laterale è un gesto degno di massimo rispetto, esattamente come lo sono i contrasti, o le punizioni. Sono una parte importante di questo gioco, e se non ci fossero, in un certo senso, forse ci divertiremmo anche di meno.

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Alessandro Acquistapace

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