“C’è qualcuno che mi sa dire che cos’è
questo senso di vuoto sceso dentro me
c'è qualcuno che sa rispondermi perché
la tristezza non sa il mio nome eppure chiama me
ed insieme al sottile piacere di star soli
c'è il malessere di questo mio vivere un po' fuori
da come stai vivendo tu
dai tuoi pensieri
c’è qualcuno che ha già provato e forse sa
che complicazioni da
dopo quanti rotoloni il cuore toccherà
spiagge di tranquillità
ma poi sono sicuro che questo è ciò che voglio
posso ancora spiccare il mio volo da uno scoglio
e dopo non cercarti più
è forse meglio
certi momenti
non so capire cosa sia
certi momenti
vorrei che tu non fossi mia
ma cos'è ma cos'è ma cos'è questo male leggero
quando attacca mi tocca sul vivo e mi stende davvero
ho sognato un giorno la mia libertà
sottoforma d'airone sopra le città
raggiungeva veloce nuove sommità
per gettarsi e poi perdersi nella sua vastità
l'esistenza cercando in me stesso altri amori
è l'essenza di questo mio vivere un po' fuori
da come stai vivendo tu
dai tuoi pensieri
ho sognato un giorno la mia libertà
ho sognato un giorno la mia libertà”.
Writer(s): Eros Ramazzotti, Adelio Cogliati, Pierangelo Cassano
Saranno decenni che, con cadenza quasi programmatica, riecheggia nella mia mente questa canzone.
La prima volta l’ho ascoltata da una cassetta nera della Sony, sulla quale non ricordo quale membro della mia famiglia mi avesse copiato più di un album di Eros.
Il mio ascolto non era stato contemporaneo all’uscita del pezzo, datato 1987, ma posticipato di qualche anno, forse il 1990 o 1991.
Per la promozione avevo ricevuto un walkman nuovo della Panasonic: era nero, con la scritta argento; ogni funzione aveva il suo tasto dedicato, quello per play/stop, il rewind, il tasto ff e anche quello per cambiare lato. L’ultima peculiarità era l’autoreverse, ovvero non dover girare la cassetta.
Questa canzone mi ritorna in mente, ciclicamente perché mi rappresenta, mi descrive appieno.
C’è sempre qualcosa che non va, quel velo di tristezza che mi rende opaca.
Quando avevo 9, 12, 14, 20, 24… ora.
A 9 anni mi sentivo triste, non ricordo perché, me lo sentivo e basta. Mi infilavo le cuffie, mi mettevo al sole nel balcone della mia stanza, le mani che si posavano sui mattoni infuocati dalla calura estiva, gli occhi al cielo. Ascoltavo, piangevo, ascoltavo ancora, mi asciugavo le lacrime e ricominciavo ancora. Le mie azioni si ripetevano in loop allo stesso modo della canzone che riascoltavo in continuazione.
A 14 anni il loop si consumava sempre d’estate, sul mio letto, pensando al mio ragazzo che viaggiava per il mondo e io rosicavo perché non ne avevo la stessa libertà.
A 20 quando mi capitava di dover ripetere un esame all’università. Non accettavo la sconfitta, non mi avevano educato all’uopo.
A 24 perché dopo 6 mesi dalla laurea e innumerevoli viaggi della speranza dal sud al nord, non avevo ancora un lavoro.
Potrei elencare altri episodi, ma non ne ho voglia.
A 34…perché ho tutto quello di cui si avrebbe bisogno ma che non rappresenta i miei bisogni.
Ho sognato un giorno la mia libertà…