Il mercato del lavoro

Alcuni concetti fondamentali (e quindi ovvi) su cui costruire.

wikipolis
8 min readJun 3, 2016

Se qualcuno volesse la dimostrazione grafica di come è nata la Civiltà basterebbe guardare la prima mezz’ora di Apocalypto. Cacciatori-raccogliori conquistati da popoli guerrieri (in spirito e tecnologia) e costretti a servire i vincitori (coltivando la terra, mettendo al mondo figli o, quando necessario, morendo nelle loro guerre). Se la fiction non vi convince e volete sentirlo dalla bocca di un accademico, Daron Acemoglu racconta di come Juan Diaz de Solis (il conquistadores “sfortunato”) non poté applicare il modello schiavistico applicato in Perù/Bolivia e Messico, perché nella pampa argentina non ci viveva quasi nessuno (Juan de Ayolas fu relativamente più fortunato: non trovò oro o argento ma trovò abbastanza persone da schiavizzare).

Tutte le entità politiche successive hanno avuto un solo essenziale problema: come controllare le masse subalterne che non erano più proprietarie di loro stesse, dei loro mezzi di produzione e del loro tempo ma dovevano venderlo per poter comprare di che (soprav)vivere più o meno degnamente.

Il grande antropologo James C. Scott cita Owen Lattimore nel dire che la grande muraglia cinese serviva almeno altrettanto a tenere i barbari fuori che a tenere i contribuenti cinesi dentro, impedendo loro di uscire dal paradigma dominante (la “civiltà”) e rifugiarsi in quello alternativo (la “barbarie”). Peraltro, sempre Acemoglu, racconta quali erano le condizioni degli indentured servants (sudditi poveri della corona inglese) una volta che raggiungevano Jamestown, la città fondata dalla Virginia Company. Fu solo perché, nonostante il rischio della condanna a morte, gli indentures servants fuggivano per rifugiarsi dagli indiani che istituzioni meno apertamente estrattive vennero create.

Storicamente, civiltà e barbarie hanno convissuto almeno fino alla metà del ventesimo secolo, quando gli stati nazione hanno avuto a) i mezzi tecnologici per proiettare il proprio potere fino ai confini nominalmente dichiarati e b) l’interesse a controllare aree precedentemente considerate “fiscalmente sterili” e dalle quali era ora possibile estrarre risorse che potevano migliorare la bilancia commerciale.

La fine della convivenza tra i due modelli (favorita anche dalla rivoluzione verde, che ha reso i condadini demograficamente irrilevanti, espellendoli di

fatto dal discorso pubblico) e l’affermazione definitiva di una società di dipendenti (rifiutata dal comunitarismo hippie, base culturale dell’attuale Silicon Valley) ha enormemente impoverito il dibattito culturale e politico e segnato il consolidamento della tirannia del “mercato del lavoro”.

Breve riassunto delle puntate precedenti

Le diverse dimensioni di un recinto per bovini e di uno per umani sono, con ogni probabilità, conseguenza del diverso grado di autocoscienza e quindi anelito di libertà da parte dell’uomo. Ancora più efficace delle mura è la cultura. Le mura vanno presidiate e questo costa caro.

Lo sciamanesimo dovette emergere come una reazione funzionale, dal basso, al terrore dell’ignoto. Solo col tempo dovette cristalizzarsi in qualcosa di codificato ed elitista.

Il modo più economico per controllare le persone è controllare ciò che pensano, controllare la loro mappa cognitiva. Anticamente ogni proprietario si faceva carico di inculcare nei suoi schiavi la mappa cognitiva desiderata.

Una volta che li aveva acquistati, il padrone romano cercava di ricostruire il carattere dei suoi schiavi per adattarlo alle sue esigenze. Li faceva dimenticare dei vecchi dei e offrire sacrifici all’altare di quelli della casa, ridicolizzando la loro precedente fede.

Quando la mappa cognitiva invece di provenire dall’esterno viene passata di padre in figlio diventa inscalfibile e il potere sacerdotale definitivo.

C’era una mappa cognitiva anche per i cittadini liberi: serviva a cementare i privilegi e la legittimare (presso le classi subalterne) quegli stessi privilegi.

Il cristianesimo universalista ha avuto la necessità di un doppio movimento: centralizzare il controllo sull’ortodossia e creare uno strato di burocrazia clericale a cui delegare (su base territoriale), la promozione e il presidio di quella stessa ortodossia.

Dai caratteri mobili alla radio fino a TV , la tecnologia ha ridotto il peso della religione organizzata in occidente, lasciando intatto il by-product del secolare dominio: un patrimonio immobiliare che ha valore solo nella misura in cui a) la terra (urbana e rurale) rimane un fattore di produzione e b) detta religione mantiene (o espande) la sua quota di mercato nella mappa cognitiva aggregata dell’intera società.

Il cuore del mio argomento

a) Le politiche (sia a livello federale che statale) nell’Era della Ricostruzione (post guerra civile) furono tese ad “incoraggiare” il lavoro stipendiato invece del possesso della terra (all’epoca il fondamentale mezzo di produzione per accumulare capitale), per la popolazione afro-americana da poco liberata. In quello stesso periodo venne gestato l’assetto che si cristallizzò nelle Jim Crow Laws, che rimasero in vigore fino alle battaglie per i diritti civili degli anni 1960s. Domanda retorica: qual’è la probabilità che la stessa società che ha prodotto le Jim Crow Laws (segregazione razziale) scegliesse poi, per gli schiavi formalmente liberati, un modello di libertà economica (proprietà) invece che uno di dipendenza? Ecco, appunto.

b) L’idea che il progresso occidentale fosse emerso prima in Regno Unito grazie alle masse proletarie create dalla serie di Enclosure Acts messe a lavorare a compiti ripetitivi in condizioni dickensiane e che quello fosse l’unico modo per avere uno Stato forte, con abbastanza risorse per intervenire nell’economia (Wittfogel incluse la Cina tra gli “imperi idraulici”, per la scala delle sua infrastrutture) e mantenere (o accrescere la sua legittimità) è dimostrata nella sua falsità dal lavoro di Kenneth Pomeranz (studente di Jonathan Spence, membro de la American Academy of Arts & Sciences in 2006 ed ex Presidente de la American Historical Association).

Pomeranz rivela come, a dispetto di una sostanziale parità di reddito pro-capite, nel diciottesimo secolo, solo il 10% della popolazione cinese (includendo anche le zone costiere, da sempre più ricche e avanzate) vendesse il proprio lavoro per un salario (a fronte di un 50% in UK e Olanda). Tutti gli altri erano padroni del loro tempo e proprietari (individualmente o assieme alle loro comunità) dei mezzi di produzione.

Se lo vorremo il nostro futuro potrebbe assomigliare a quel passato.

Capite ora che chiunque vi venda l’idea che il compito dello Stato è quello di evitare la mercificazione del mercato del lavoro (job market) vi vende un’assurdo logico. Paragonato alla condizione naturale, il mercato del lavoro è intrinsecamente mercificato (perchè, come ci spiega Esko Kilpi, è intrinsecamente sottile e illiquido).

Il massimo che la politica e le organizzazioni sindacali hanno potuto fare (per un periodo) è stato di riscuotere capitale (politico e finanziario) per la protezione che promettevano a coloro che, come gli erano obbligati a vendere il loro tempo. Ma siccome non esisteva più un un paradigma alternativo (per quanto minoritario) nel quale rifugiarsi non è mai stato possibile dimostrare quel che per molti era evidente: ovvero che la scarsità è artificale e quindi un metodo, non una necessità.

Quel periodo è finito perchè i commons intellettuali (altra bestia nera dei pushers del Leviatano Taumaturgo) permettono all’individuo (non solo alle imprese) di abbassare al minimo i suoi costi attraverso la prosumerizzazione (quel che alcuni chiamano luxury communism).

Prevengo l’eventuale obiezione riguardo al fatto che, a dispetto (causa?) della maggiore libertà economica della classe media cinese, sia stato l’Occidente a prevalere. Non viviamo più in quel mondo, c’è una cosa che si chiama internet che permette a chiunque di vantarsi in tutto il mondo di ciò che ha fatto (spesso anche di ciò che non ha fatto, ma quello è un’altro problema). Le buone pratiche raggiungono chiunque e, data le necessarie precondizioni culturali (lo status sociale della scoperta e dell’invenzione), la complessità economica non è più il premio che si ottiene accettando il trade off tra libertà e prosperità.

C’è un importante aspetto politico, in tutto questo. Mai come oggi la definitiva vittoria Corporativa sullo Stato Nazione sembra imminente (TPP/TTIP) eppure mai come oggi gli azionisti dello Stato Nazione hanno i mezzi per affrancarsi. Chi riuscira a combinare la stabilità di una classe media maggioritaria (la prosumer economy) e gli incentivi alla creazione e condivisione di conoscenza (che sono mancati nella Cina Qing), prevarà.

PS*: La risposta all’obiezione storica (poco rilevante qui) è che la stagnazione tecnologica cinese è stata causata dall’inefficacia delle elite burocratiche e non dalla mancanza di sforzo della classe media.

La decentralizzazione produttiva della civiltà cinese era subordinata ad un’estrema centralizzazione politica che implicava poche sfide alla stabilità (e che alla lunga divenne economicamente e quindi politicamente destabilizzante). Certo, la centralizzazione politica implicava che le tasse potevano essere allocate su scala enorme in modo relativamente razionale e che, almeno teoricamente, le buone pratiche potessero essere raccolte dalla burocrazia imperiale e condivise nell’intero impero. Il problema è che questo processo non era decentralizzato (e quindi automatico, come il segnale di prezzo) ma dipendeva sia da uno strutturale rigetto del rischio tra le élite culturali che dal clima politico. Se questo cambiava, coloro che avrebbero potuto/dovuto assolvere a quel ruolo potevano non avere più gli incentivi per farlo (nè economici — i mercanti non erano ben visti — nè politici ).

Incentivi politici non ce n’erano neanche in Europa dove però ve ne erano di economici. Già nel 1517 (anno delle 95 tesi di Lutero sulle Indulgenze) Francisco de Vitoria, uno dei principali teologi dell’epoca ei colleghi dell’influentissima Scuola di Salamanca, basandosi su principi mutuati dal diritto naturale, desumevano che il commercio non fosse solo “non disprezzabile” ma al servizio del bene collettivo.

Mentre era sempre successo che persone di nascita inferiore guadagnassero denaro e volessero ascendere nella gerarchia sociale, quello che stava succedendo, in Europa, era qualcosa di interamente diverso. Quello che un gigante come De Vitoria (e i suoi colleghi) stavano dicendo cambiava tutto. Significava che anche persone nate (ed educate) negli strati più alti della società potevano scegliere una vita di commerci, magari all’interno dei monopolitisti di stato che stavano emergendo e che avrebbero iniziato a contendere potere al Sovrano (il pendolo ancora oggi si muove in quella direzione, fino agli eccessi di TPP/TTIP).

Tutto questo detto a volte non si tratta solo (e nemmeno principalmente) di cultura. A volte madre natura ci mette del suo. Basta paragonare la piccola divergenza tra Italia e Regno Unito e concentrarsi sulla natura energetica di quella divergenza, qualcosa che nessuna cultura e nessuno sforzo, da parte italiana, avrebbero potuto cambiare.

Come giustamente fa notare Pomeranz, il Regno Unito ha avuto la fortuna di avere risorse energetiche abbastanza vicine al suo core industriale da renderle utilizzabili.

PS**: Il fatto che lo Stato Nazione sia l’erede delle entità politiche schiaviste (e per schiaviste non intendo solo la tratta atlantica degli schiavi africani ma anche tutte quelle che sono avvenute prima e dopo) non significa che lo Stato sia il nemico. Non solo non è il nemico ma è l’alleato (questo è solo uno dei tanti paradossi da digerire se si vuole capire il mondo tale come è), un alleato infido, perchè è infiltrato da un’infinità di gruppi con agende opache, ma pur sempre un’alleato. Spero non sembri un’ovvietà. Che lo Stato sia un alleato è ovvio per molti e ridicolo per altrettanti.

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