In Italia, dal 1990 ad oggi, c’è stato un drammatico tracollo della coordinazione che ha causato una (razionale) perdita di audacia (sempre più percepita come temerarietà), perdita che a sua volta si è ripercossa sulla complessità economica, che dall’audacia deriva. La stagnazione che ben conosciamo ha tante cause ma questa è probabilmente la più profonda.
Se il futuro di un Paese si misura sulle ambizioni dei giovani, quello dell’Italia è preoccupante. «La richiesta dei ricercatori qui non è “Fammi diventare imprenditore”, ma “Dammi un impiego”: è grave — dice Guido Guidi, capo Farma Novartis per l’Europa — . Sono la punta di diamante della gioventù, se non pensano in grande loro sono guai». Questa settimana parte la fase di «accelerazione» di BioUpper, i dieci progetti selezionati (su 118) dalla multinazionale svizzera, con Fondazione Cariplo, per costituire una startup nelle scienze della vita. «Ma ci chiedono investimenti di 2–300 mila euro con ritorno a tre anni di 500 mila — dice Guidi — . Altrove avrebbero chiesto 10 milioni per toccarne 50. Manca completamente la visione strategica. È una generazione così spaventata dalla crisi che quando mette fuori la testa non vuole disturbare nessuno».
Eppure «i ricercatori italiani sono l’1% del mondo, ma il 6% per citazioni. Il loro impatto è molto superiore alla numerosità». Ma poi non osano. (Corriere)
Il coraggio uno non se lo può dare
Il governo ha recentemente avuto l’onestà intellettuale di ammettere di non poter fare innovazione con i bandi. Peccato che, abbandonando il dirigismo ex-ante, invece di prendere la strada dell’X-Prize (ovvero Orteig Prize) abbia preso quella della mera verifica amministrativa, ex-post. La strada del credito d’imposta che utilizza risorse pubbliche (mancate tasse) lascia carta bianca ad imprese che, fin dalla fine dell’IRI, sono strutturalmente orfane di coordinazione. Imprese che, data la posizione che occupano, nelle catene di valore, non controllano il loro destino. Imprese per le quali forse non basterà un maggior ammortamento o un maggiore credito d’imposta a produrre una lungimiranza che è strutturalmente preclusa loro. Il ciclo di sfruttamento di un’investimento tecnologico si è accorciato al punto che solo chi controlla (saldamente) la relazione con il cliente finale ha ragionevoli aspettative di ritorno sull’investimento.
Dato che “il coraggio uno non se lo può dare” e dato che “non sappiamo come eccitare gli spiriti animali (del capitalismo, ndr)”, il minimo che possiamo fare è di impegnarci (concretamente, niente auspici e promesse da convegno) nel
a) riconoscere il prima possibile coloro che quel coraggio l’hanno e
b) metterli in condizione di dare il maggior frutto possibile.
Il governo, teoricamente, ha pensato anche a quello. Se credete che la centralizzazione proposta (“adottati” dallo Stato: finanziati e seguiti da un tutor) sia ottimale ho un paio di ponti da vendervi.
Quello che parla all’esclusiva platea di Google X, è Austen Heinz. Il video è lungo ma bastano pochi secondi per apprezzarne la personalità.
Due anni e mezzo dopo, nel luglio del 2015, si è impiccato.
Ovviamente, morto lui l’impresa (Cambrian Genomics) non esiste più. In Italia la maggior parte del discorso pubblico assume che siano politici e manager a far andare avanti il mondo. Eppure “morto un manager se ne fa un altro”, morto un Austen sparisce un pezzo di futuro.
La maggior parte delle persone non hanno la più pallida idea di quanto, come specie, abbiamo bisogno di persone come Austen (“entropy is not on our side”) eppure il paradigma imperante le tratta come “disposable heroes” e non per quello che sono: rare e quindi preziose, l’equivalente umano dei razzi e per i quali occorre al più presto un upgrade equivalente al Falcon 9. Dobbiamo creare le condizioni perchè i tratti cognitivi e caratteriali che definiscono in positivo le loro personalità non finiscano per essere soverchiati dal loro rovescio oscuro, inestricabilmente coessenziale.
Austen è stato vinto dal suo lato oscuro ma almeno, nel suo breve percorso, ha sperimentato l’ebbrezza del pieno sviluppo umano.
In Italia, le persone plusdotate, affrontano le stesse difficoltà di Austen senza avere mai, in nessun caso, l’opportunità di ambire al loro pieno sviluppo umano e intellettuale.
La professoressa Maria Assunta Zanetti (UniPv), fondatrice e direttrice di LabTalento, è la principale esperta italiana di plusdotazione.
LabTalento ha, tra le sue ragioni d’essere, quella di raccogliere e disseminare buone pratiche presso professionisti del settore.
Chi scrive crede che un seminario con la professoressa Zanetti offrirebbe a giovani psicologi l’opportunità di iniziare un percorso che darebbe grandi benefici sia ai loro pazienti (e alle loro famiglie) che alle comunità nelle quali bambini plusdotati cresceranno e svilupperanno i loro talenti.
Questo seminario non sarebbe isolato ma parte di una elaborata strategia di rafforzamento dell’ecosistema locale dell’innovazione.
A lungo termine potrebbe perfino ambire a cristallizzare le conoscenze accumulate (oggi fruibili sono attraverso costose consulenze) in un prodotto scalabile e quindi accessibile da chiunque a prezzi più bassi. Un prodotto che risolva un problema ben noto ma intrattabile se affrontato attraverso costosi servizi (costosi perché non scalabili).
Sta già succedendo, peraltro.
L’impresa di una ragazza 24enne (Harvard dropout), un’impresa “designed to assess human potential and ultimately change the way we teach children”, ha appena ricevuto un’investimento di $4 milioni.