Check Point Brennero, la via interrotta verso il Nord

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di Marta Facchini

Foto: Collettivo FX

Il treno parte da Verona, direzione Monaco. È un Eurocity: carrozze grandi, posti comodi. Fa tutte le fermate: Bolzano, Bressanone, Brennero, fino ad attraversare il confine. Superata Trento, nel vagone entrano tre poliziotti. «Dai, lo sapete che non potete», dice uno di loro a due ragazzi. «Fate vedere i documenti», aggiunge. I due, in inglese, provano a spiegare: hanno comprato un biglietto, vogliono arrivare in Germania. «Per turismo», dicono. «Non avete il passaporto, dovete scendere», fa un altro agente. Vengono portati fuori, arriva anche il controllore. «Succede sempre così, ma prima era peggio», commenta un passeggero. Tra le persone sedute, sono le uniche a essere controllate. Non hanno tratti somatici europei, e gli agenti si sono avvicinati lasciando perdere gli altri viaggiatori che riempiono le poltroncine, anche loro diretti oltre la frontiera. A Bolzano, i due scendono.

Al Brennero, l’ultima stazione prima dell’Austria, il treno si ferma per quindici minuti. Sulla banchina, agenti di polizia salgono e controllano. Lo fanno in ogni carrozza, tanto che il tempo di percorrenza per raggiungere la Baviera è stato allungato. Un gesto, le porte si chiudono e l’Eurocity riparte. Lo stesso succede su un altro binario con un treno merci. Il macchinista batte con un oggetto metallico sui vagoni, controlla e via di nuovo. L’operatore di un’organizzazione umanitaria osserva quello che succede: lavora per Volontarius, un’associazione bolzanina che si occupa di accoglienza e ha una struttura a pochi metri dalla stazione in cui ospita per la notte i migranti minori in transito.

Fuori, si potrebbe arrivare in Austria anche a piedi. La prima città, Gries am Brenner, è vicina, dietro una rotonda, un outlet e un vecchio bordello. È qui che il ministro austriaco della Difesa Peter Hans Doskozil, nel luglio 2017, minacciava di stanziare militari e carriarmati per presidiare il confine e bloccare i migranti che, in arrivo dall’Italia, cercavano di raggiungere il Nord. «I preparativi per i controlli alla frontiera non sono solo giusti ma anche necessari. Noi ci prepariamo e difenderemo il nostro confine del Brennero se ciò servirà», aveva dichiarato l’allora ministro degli Esteri Sebastian Kurtz. La minaccia si era risolta in un nulla di fatto e da molti era stata considerata propaganda per le elezioni politiche.

Brennero, la vecchia cortina di ferro. I controlli sui treni in uscita dall’Italia ci sono tutti i giorni. Li fanno la Polizia, i Carabinieri e gli Alpini, insieme alle forze dell’ordine austriache e tedesche nell’ambito della cooperazione transfrontaliera.

«Sono ispezionate solo persone con tratti somatici riconosciuti come non europei. È un processo di racial profiling. Chi non ha il permesso di soggiorno, è fatto scendere e portato nel commissariato di frontiera per le procedure di fotosegnalamento», spiega Federica Dalla Pria, coordinatrice di Antenne Migranti che, insieme ad Asgi e alla Fondazione Langer, ha realizzato un monitoraggio sulla rotta del Brennero.

Le persone fermate sono obbligate a salire su un convoglio che torna a Bolzano, invitate a presentarsi in Questura per regolarizzare la propria posizione ma non tutti ricevono il foglio necessario per poterlo fare. «Per chi passa, l’altro blocco è a Gries am Brenner o a Innsbruck», continua. Il treno si ferma, la polizia austriaca sale ed entra nei vagoni. Chi è senza documento, è portato in Gendarmeria.

«Sono perquisiti nudi e fotosegnalati. Non c’è un mediatore culturale che possa tradurre e non è permesso formalizzare la domanda di protezione internazionale, anche quando è resa manifesta in modo chiaro», racconta Dalla Pria.

A loro l’Austria applica una multa per ingresso irregolare nel territorio. L’importo varia ma, secondo le testimonianze raccolte da Antenne Migranti, il criterio è adattare la cifra a chi si ha di fronte. Se mancano i soldi, la polizia sequestra il cellulare come garanzia fino al pagamento della sanzione. «Siamo riusciti a recuperare il cellulare di un ragazzo ma è stato uno dei pochi episodi. E non si capisce come chi non ha i documenti necessari per entrare in Austria possa tornare indietro a pagare la multa. Ci sono stati casi in cui il cellulare è stato sequestrato, nonostante siano stati presi anche i soldi».

Ricevuta di attestazione della confisca temporanea dei beni. Il cellulare è stato valutato cento euro

Quelle al confine si chiamano riammissioni e si svolgono secondo un accordo bilaterale fra Italia e Austria, siglato a Vienna nel novembre 1997, in base al quale, nell’arco di 24 ore, è possibile fare respingimenti ma non nei confronti dei richiedenti asilo.

«L’iter è spesso arbitrario. Sono considerati tutti migranti irregolari. Anche se hanno già fatto la domanda di protezione, o hanno espresso la volontà di farla, sono mandati indietro. È una delle principali violazioni», spiega Anna Brambilla, avvocata Asgi.

Le riammissioni, poi, avvengono anche verso il territorio austriaco: «c’è un flusso in entrata, uno degli elementi che caratterizza la frontiera rispetto alla Svizzera e a Ventimiglia, per esempio». Nella maggior parte dei casi, i respingimenti avvengono in forma semplificata: «le motivazioni della polizia di frontiera non sono notificate, non sono scritte, e questo rende difficile la possibilità di un ricorso», precisa Brambilla. «In frontiera ci sono diversi livelli di illeicità. Già a partire dai controlli sui treni, che iniziano da Verona, e impediscono di raggiungere il confine».

Morire di confine. Ha potuto identificare il corpo grazie all’intervento delle associazioni, che si sono mobilitate da subito e l’hanno fatto arrivare a Bolzano. Ha riconosciuto suo fratello morto travolto da un treno, ed è riuscito a riportare la salma alla famiglia in Eritrea. Abel aveva 17 anni, era sbarcato a Catania insieme a un gruppo di connazionali, minori anche loro. Ha cercato di salire su un treno merci: voleva andare in Germania, dal fratello più grande, ma aveva ricevuto informazioni sbagliate sulle possibilità di relocation. È stato trascinato da un convoglio che arrivava dalla direzione opposta. Succedeva nel novembre 2016, e la situazione non è cambiata. Rawda, 29 anni, era arrivata in Italia solo da dieci giorni, sbarcata a Palermo. È morta vicino alla stazione di Borghetto, sul confine tra Veneto e Trentino. Era stata respinta dalla polizia di frontiera, messa su un treno regionale diretto a Verona e poi fatta scendere prima di arrivare perché senza biglietto. Quando il treno l’ha travolta, camminava lungo la linea ferroviaria. Il 25 dicembre 2017 un uomo di 24 anni è stato folgorato da una scarica elettrica: viaggiava sul tetto di un container di un carro merci diretto in Austria. Il 14 gennaio 2018 un uomo di 30 anni è stato travolto mentre camminava lungo i binari.

Foto: Collettivo FX

C’è chi ci prova con Flixbus e chi ce l’ha fatta attraversando i valichi di montagna, ma sono i treni la principale strada per il Nord.

A organizzare il viaggio sono anche i passeur: si fanno pagare tra i 200 e i 300 euro, anche 800 euro per le nazionalità ritenute più ricche. Portano in macchina, o aiutano a salire su un treno merci, a capire quali sono gli scali giusti per evitare i posti di blocco.

Poi, i controlli sono aumentati. Nella stazione di Brennersee, è stato costruito un binario speciale in cui dovrebbero essere fermati tutti i mezzi che arrivano dall’Italia. All’annuncio dei lavori — i costi di costruzione hanno superato il milione di euro, e in parte sono stati pagati dalle ferrovie austriache Oebb — il governatore tirolese Günther Platter diceva, riferendosi al numero di arrivi dei migranti: «Dobbiamo essere vigili».

Su alcuni dei vagoni, si legge la scritta Vorsicht sie hate keine papiere: attenti non ha i documenti. Sulle facciate sono stati disegnati volti di uomini, donne e bambini. Li ha fatti il Collettivo Fx, su più di 160 treni. Il progetto è nato da un incontro casuale a Chiasso tra il writer CargoJindu e una ragazza eritrea, nello stesso periodo della crisi del Brennero: «Era poco più che diciottenne con uno zainetto anni ottanta, non sapeva una parola né di italiano né di inglese». ricorda. «Stava cercando di tornare a Roma dalla sorella, dopo essere stata respinta dalla polizia di frontiera». Le fotografie dei treni sono state esposte in due mostre, una a Bruxelles e una a Reggio Emilia, insieme ai disegni che parlano dei viaggi di alcuni migranti diretti in Germania. Il Collettivo ha raccolto le testimonianze di chi è fermo a Bolzano e su un foglio ha scritto data di partenza e arrivo, e costo della traversata: «Non si sa chi sono, quanto spendono, come mai vengono qui, che situazioni lasciano. Ed è urgente farlo conoscere a partire dalle storie. Il progetto nasce da questi paradossi», racconta il Collettivo.

Stazione di Bolzano

Bloccati a Bolzano. Quando Atiq (nome di fantasia) è sceso a Bolzano, è andato nel parco di fronte alla stazione. È il primo punto di incontro per chi arriva in città. Poi, gli hanno parlato della mensa di piazza Verdi, dove c’è anche una prima assistenza medica fornita dalla Volontarius. «Ho incontrato per caso un ragazzo e mi ha detto di andarci», racconta. Atiq è afghano, è arrivato in Europa attraverso la Rotta Balcanica. È stato in Germania e per due anni in Danimarca, dove la sua domanda d’asilo è stata rifiutata. «Ho deciso di venire in Italia, e fare richiesta qua. Ora, non ho un posto in cui dormire e le giornate passano senza potere fare nulla. È devastante».

In strada, ci sono altri volontari delle associazioni cittadine. Aiutano come possono. Ascoltano le storie di ciascuno. Una ragazza prende appunti su un quaderno, parla con i ragazzi, scrive i numeri di telefono. Alcuni portano le coperte, una maglia più pesante per chi dormirà fuori. «Quando nel 2016 hanno chiuso il Brennero, il confine si è spostato a Bolzano» racconta Karin Cirimbelli di Sos Bozen. «Si andava sempre in stazione. Portavamo il pranzo, le coperte, facevamo una forma di prima assistenza umanitaria. Ora la situazione è cambiata, i numeri sono diminuiti, ma i problemi dell’accoglienza rimangono».

Secondo i dati del ministero dell’Interno, il Trentino Alto Adige-Suedtirol accoglie il 2% dei migranti a livello nazionale, e la provincia di Bolzano lo 0,9% dei richiedenti asilo arrivati in Italia.

A differenza di quanto succede in altre regioni, non è la Prefettura a gestire il fenomeno migratorio ma la Provincia, che lo fa in accordo con il Commissariato del Governo. Intanto, si sta provvedendo all’inserimento del sistema Sprar, visto che finora l’accoglienza dei migranti in quota era gestita nei Cas. «In città sono accolti nelle strutture solo i migranti che rientrano nelle quote ministeriali», continua Cirimbelli. «Chi è fuori quota, anche se è un richiedente asilo, non ne ha diritto».

«Fuori quota» è l’espressione usata per indicare chi arriva in modo autonomo: chi viene dal Nord Europa perché ha ricevuto un diniego, chi dalla Rotta Balcanica, chi dal Sud ma non ha ancora formalizzato la domanda.

«Entrano tutti in un limbo giuridico» dice Thomas Brancaglion, di Asgi Trentino. «Se decidono di fare richiesta qua, sono messi in una lista d’attesa per ottenere un posto in una struttura d’accoglienza. C’è anche gente che ha aspettato per anni, senza ottenere nessun tipo di informazione. Un gruppo di ragazzi afghani ha passato due inverni in strada».

Una soluzione è l’Emergenza Freddo, un sistema di pernottamento garantito dal comune aperto nei mesi invernali, che dà un letto per la notte. «Chi non trova posto, dorme fuori, sotto i ponti, in ripari di fortuna. Ma vivere in strada è un sistema che può portare a episodi di microcriminalità», continua. «Sono gli effetti della Circolare Critelli. Da quando è stata emessa non abbiamo fatto altro che dire che viola leggi italiane ed europee», aggiunge Brancaglion.

Il provvedimento, emanato dal Direttore di Ripartizione delle Politiche Sociali Luca Critelli a fine novembre 2016, stabilisce che l’accoglienza sia negata a tutte le persone, incluse le vulnerabili, che provengono da altri Paesi, o da altre regioni italiane, in cui avrebbero potuto chiedere asilo. Si possono accogliere la madre e i figli di età inferiore ai 18 anni, ma non il padre e altri membri adulti. «Si dividono le famiglie, quando devono essere considerate vulnerabili in quanto tali», spiega.

Ora a dormire fuori sono un centinaio di persone, e potrebbero aumentare con la chiusura della struttura comunale. I ripari di fortuna sono sulla riva del fiume Isarco. Prima si girava a destra, si arrivava sotto il ponte Loreto. Poi, il comune ha sgomberato l’area e ha portato via quello che ha trovato, applicando una circolare per il mantenimento della pulizia in strada. «Buttano tutto. Le coperte, gli zaini, anche i libri di scuola», racconta Giancarlo Boggio di Sos Bozen. «Ma i ragazzi ci tornano sempre, dicono che è come una casa».

Adesso, per arrivare si fa un’altra strada. Nascoste, ci sono le tende messe su con vecchie coperte. «Questa l’ho fatta io», dice Khaled (nome di fantasia). È a Bolzano da tempo. Dall’Afghanistan è arrivato in Turchia, dove è rimasto per anni. In Italia è riuscito ad arrivare pagando uno smuggler, che l’ha portato via dalla Serbia. «Oggi sto bene, prima non era così», racconta. «Quando ero in strada, non era facile, non vedevo una soluzione». Ora lavora e in città ci vuole rimanere. Dorme in una struttura d’accoglienza ma al fiume Isarco torna per vedere gli amici. Suo cugino, invece, preferisce andare via. «Adesso dò una mano come posso. Vado in stazione, se trovo qualcuno in difficoltà cerco di aiutarlo e indirizzarlo. Ci sono passato anche io, so cosa significa», dice mentre beve un bicchiere di thè. È thè pakistano, l’ha preparato un compagno su un fornello da campeggio. «È buono ma dolcissimo. Ha messo troppo zucchero».

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