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4 min readSep 24, 2019

L’Afghanistan è uno Stato senza sbocco sul mare con capitale Kabul.

Territorio conteso per la sua posizione strategica perché ponte di collegamento tra Asia e Europa, veniva indicato dall’Occidente come “Stato provvisorio islamico dell’Afghanistan” tra la caduta dei Talebani e la riunione del gran consiglio per la stesura della nuova costituzione. Con la promulgazione di quest’ultima il Paese è ora chiamato “Repubblica islamica dell’Afghanistan”.

Lo stato-nazione afgano, così come lo intendiamo oggi, venne ad esistere nel 1747 con il formarsi di una dinastia locale che darà origine all’Impero Durrani. Alla caduta dell’Impero, nel 1823, lo stato afgano prende il nome di “Emirato dell’Afghanistan” fino al 1919 quando, dopo numerose guerre di indipendenza contro l’Impero britannico, fu creato il “Regno dell’Afghanistan”. Il 17 giugno 1973 Mohammed Daud Khan diede vita alla prima Repubblica afgana che il 27 aprile 1978, a seguito di un colpo di stato, la “Rivoluzione di aprile”, diviene “Repubblica democratica dell’Afghanistan” governata dal leader del PDPA Nur Mohammad Taraki. Nel settembre 1979, il vice primo ministro, Hafizullah Amin, assassinò il leader del Paese sostituendolo così alla guida del territorio afgano.

Il governo Amin ebbe vita breve dato che l’URSS decise di invadere il Paese a seguito delle continue rivolte e del rischio di destabilizzazione della zona, nonché per i sospetti legami di Amin con la CIA. I russi entrarono nell’attuale capitale il 27 dicembre 1979 e abbandonarono il Paese solo un decennio dopo al termine dell’estenuante guerra con i Mujaheddin, finanziati anche dagli Stati Uniti.

Il 17 aprile 1992 fu proclamata la “Repubblica islamica dell’Afghanistan” ma la frammentazione dei Mujaheddin consentì, tra il 1996 e il 2001, ai Talebani di prendere il potere. A seguito della caduta delle Torri gemelle , gli Stati Uniti decidono di invadere l’Afghanistan dando via all’operazione “Enduring Freedom”, la quale si poneva come principale obiettivo la fine del regime dei Talebani e la distruzione di al-Qa ida, il gruppo terroristico fondato e guidato da Osama bin Laden.

Il regime viene finalmente rovesciato e al potere si insedia Hamid Karzai, primo presidente eletto dell’Afghanistan, in carica dal 7 dicembre 2004 al 29 settembre 2014. Nonostante le suddette vicissitudini ancora oggi i Talebani sono radicati nel Paese malgrado la presenza di diversi contingenti NATO sul suolo afgano.

Il 19 settembre 2019, a soli 9 giorni dalle elezioni presidenziali in Afghanistan, le minacce dei Talebani sono divenute drammatica realtà. Sono 20 i morti nell’esplosione di un camion a Kabul. Nei giorni precedenti si riscontrano 9 feriti in un attentato suicida a Jalalabad, 26 morti per un’esplosione ad un raduno elettorale e 22 vittime vicino all’ambasciata americana nella capitale. Doveva essere il momento di parlare di colloqui di pace, visto l’imminente ritiro di una parte delle truppe americane dal territorio afgano, invece sono diventati i giorni più travagliati di una guerra che sembra non voglia conoscere la parola fine. “La diplomazia internazionale è cosa ben diversa dal negoziare un affare immobiliare a New York”, commenta così Graeme Smith, ex funzionario ONU in Afghanistan, sul mancato accordo tra USA e Talebani al quale Trump ha messo la parola fine a conseguenza di un attacco talebano il 6 settembre nel quale ha perso la vita un soldato americano insieme ad altre 11 persone.

Oseremo dire pura follia, se ci è lecito commentare. Vi è necessità di accordi di pace e zero ragioni di interromperli se si vuole mettere definitivamente e finalmente fine a quella che oggi è la guerra più duratura del pianeta. A pochi giorni dalle elezioni l’instabile clima creatosi nel territorio afgano genera un’unica certezza, l’urgenza di una negoziazione per non moltiplicare, ancora una volta, il numero di morti che questa guerra ha dovuto piangere. Ciò che serve a questo territorio è una vera democrazia libera da terroristi e da truppe straniere. Ma è qui che va a nascere un nuovo interrogativo al quale una logica risposta può già esserci. È possibile esportare pace e democrazia in un Paese? Se sì meglio con l’intervento di truppe armate oppure tramite politiche di avvicinamento ed esportazioni di modelli liberali nei sistemi economici?