Zahra Abdullahi
5 min readJun 23, 2023

Da marzo 2017 a febbraio 2018 circa, ho lavorato presso We Are Social Italia come writer. Ci ho lavorato e nel mio CV e nel mio LinkedIn c’è ancora…
Avevo 24 anni all’epoca e non entrerò nei dettagli di che “fantastica curva di apprendimento” ne di “che esperienza formativa” sia stata (in parte) perché nessun* ha bisogno di essere pres* per mano nell’era della responsabilità. Inoltre, perchè sono un disilluso, voglio pensare che siamo tutt* intelligenti abbastanza per capire che tutte le esperienze sono, infatti, sfumature. Quello di cui ho voluto raccontare in questi giorni è la parte più oscura ed estrema dello spettro della mia esperienza. Mia esperienza che succede sì in WAS a Milano, ma che è una di centinaia di migliaia che succedono in altre agenzie, case di produzione, studi dell’adv italiano. Le testate giornalistiche stanno facendo da giorni coverage di questa storia. Io vi rimando a questo articolo scritto bene da Viola Stefanello per Il Post che fa una ricostruzione del caso WAS e che fa una più ampia analisi dell’industria, e del polverone che ha finalmente ricoperto un ambiente che da anni si fonda su una miriade di tasselli tossici e obsoleti. L’articolo specifica che a parlare di questa cosa per prime sono state due donne che, guarda caso, sono riuscite a generare un rumore che era un 20esimo di quello che si è generato ora. Ci avevano messo faccia, voce e mezz’ora di una puntata del loro podcast, ma comunque non è stato abbastanza perchè, diciamocelo, le voci delle donne prima di far rumore devono essere centinaia, per gli uomini ne bastano due. Prima di dire “questa non è una battaglia donne contro uomini” continuare a leggere grazie, oltre che prendere nota che io non sono (proudly) nè uomo nè donna.

Quello su cui mi vorrei esprimere oggi, dopo giorni di silenzio fatti di minacce e odio nei DM, confusione, amarezza, un po’ di sofferenza e un leggero senso di giustizia, a che fare invece con concetti grandi e esecuzioni semplici (per dirla in gergo). Tutte cose che hanno segnato la mia esistenza di persona nera, queer, gender non conforming. Ora che abbiamo l’incipit, partiamo…

Poter girare la testa dall’altra parte, poter far finta di non vedere, poter stare in silenzio in un dialogo sulla violenza di genere o su ogni forma di abuso è un privilegio. Rileggere grazie.
È un privilegio perché vuol dire avere la possibilità di scegliere. Vuol dire poter attivamente scegliere di andare oltre, di sorvolare, di non affrontare perché sostanzialmente non ti riguarda. Sapete a chi non è MAI stata data questa possibilità? Alle vittime della violenza di genere (e a quelle di tutti gli altri tipi di discriminazione). Alle persone che queste cose le hanno vissute sulla loro pelle non è mai stato chiesto il permesso, il consenso, e non è mai stata data loro una possibilità di scelta. Non hanno mai avuto questo lusso. Lusso che invece hanno tutt’ora e hanno avuto i loro carnefici.

Le vittime della violenza di genere non scelgono MAI il loro destino. Lo scelgono, per loro, le persone che protraggono la violenza. Pausa obbligatoria per rileggere e soffermarsi sulla potenza di questo concetto #1.

Leggo una quantità vergognosa di commenti sulla falsa riga di “Stiamo soffrendo tutti, anche gli innocenti”, “È una doccia fredda, dolorosissima”, “Siamo in tanti qui dentro e non siamo tutti così”. Questi commenti e questa narrativa hanno invece a che fare con la fragilità. Concetto #2 e concetto nemico dell’empatia e nemico dell’alleanza. La fragilità è quel qualcosa che ci tiene, come esseri umani, costantemente al riparo dall’affrontare ogni nostra bias, conscia o meno (link a Wiki perchè poi finisce che mi dicono che me la tiro con i bloggoni che parlano di diversity). La fragilità ci tiene al riparo dal progresso, dallo smantellare certi pattern. La faccio più semplice e con esempi più specifici. La fragilità, in questo caso maschile, è quel qualcosa che, nonostante “io queste cose non le direi mai ma sei matto”, fa sentire in casi come questo comunque attaccati, comunque un target al punto tale da doversi difendere e voler mettere i puntini sulle i. Ma su quali i stai mettendo i puntini? Se tu “queste cose non le direi mai sei matto” perchè la tua preoccupazione principale è difenderti? Da cosa ti stai difendendo? Lascia che te lo dica io: DA TE STESSO. Da te stesso, uomo in questo caso, e dallo specchio in cui ti guardi ogni mattina e alla quale hai il terrore di dire “Bro, fai parte di una categoria che storicamente, a livello culturale e sistemico, lede attraverso il potere che ha la libertà e l’esistenza degli altri generi e devi fare qualcosa di più che volere bene alle 2 tue amiche donne, alla tua amica lesbica e a tua sorella, se vuoi davvero stare dalla parte giusta, famo che iniziamo?”. O una cosa così, per poi tirarti su le maniche e FARE davvero qualcosa. Piccolo, grande, medio che sia. Qualcosa. La fragilità non ci permette di separare chi siamo come esseri umani dal ruolo che ricopriamo all’interno della società in cui viviamo. Separazione necessaria per poter davvero fare alleanza e eradicare una cultura che è ora di lasciarsi indietro. Altra pausa obbligatoria per rileggere questa frase, riflettere e Googlare pure magari.

Privilegio e fragilità sono le ragioni per cui questi ambienti sessisti, tossici, maschilisti (e ogni altro ambiente discriminatorio) si sviluppano, resistono, sopravvivono, si ricreano, si propagano. Privilegio e fragilità sono le ragioni per cui le scuse si fanno sempre in fretta, tra parentesi e con i MA grossi come le case subito dopo. “..ma non siamo tutti maniaci”, ma chi ha mai detto il contrario? Serve davvero che venga a dirti che “ho anche amici maschi e lo so che non siete tutti così”? Quanto devi essere insicuro della tua posizione di uomo alleato se questo è come chiedi scusa? Le scuse sono una presa di coscienza, l’ultima lettera dell’alfabeto dell’empatia, il ti ho capito anche se non capisco che fa sentire visti. I ma rendono le scuse vane, vuote, disingenue, perchè comunque — anche ora — si sta parlando di voi, di quanto #notallmen. Mettere ego da parte e provare a vedere un quadro più grande, grazie.

Essere offesi, scossi, soffrire, vergognarsi è normale, ma non ci si può fermare lì. Avevo detto che nessun* deve essere pres* per mano eppure eccomi qui… Queste conversazioni sono estremamente difficili e bisogna affrontarle senza nasconderci.

Quindi, in sostanza, e come sempre, consiglio: CHECK YOUR PRIVILEGE, OWN IT AND DO SOMETHING. Che se no per me, per noi, siete tutti uguali. E sopratutto non si va da nessuna parte.

A tutte le donne e persone gender non-conforming che in queste ore stanno intasando l’internet dicendo che “assurdo io sono donna madre e queste cose non le ho mai viste ci sono anche un sacco di bravi ragazzi ystreyw” suggerisco, con affetto reale, di provare a iniziare la lunga, infinita, strada che è il questionare la radice del loro pensiero. Perchè, ve lo dico francamente, se anche ora e davanti a centinaia di testimonianze di persone che vi assomigliano, preferite credere, elevare, validare la voce di uomini e istituzioni, invece che quella delle vittime, siete — shocker — anche voi vittime. Siete vittime dello stesso patriarcato che difendete, quello che vi ha fatto credere che fare sorellanza non serva. Let that sink in.

Ora che ho scritto anche PATRIARCATO e vi ho fatti arrabbiare tutti, vado ad aspettare i DM che mi dicono che odio gli uomini perchè sono queer e represso.

Nel frattempo vado anche io a fare jogging. Magari poi come omaggio guardo anche un episodio dei Simpson e a leggere un libro horror mediocre.

Alle tutte le persone con cui posso fare squadra, grazie.
A Te che sei il mio scudo e il mio specchio, grazie.