Piccolissimo dizionario dei colori

Perché l’indaco è finito nell’arcobaleno per una pigrizia di traduzione? Come mai il colore rosa in inglese è pink e non rose? Cosa c’è davvero alla fine dell’arcobaleno?

Chiara Foppa Pedretti
The Polished Words
8 min readMar 26, 2024

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Calma, facciamo un passo indietro. (E no, non darò una risposta all’ultima domanda.) (Se la sapessi, me la terrei comunque per me.)

Il colore è un linguaggio universale.

Sempre più ambiti, tanto artistici quanto industriali, gli rivolgono un’attenzione crescente come elemento caratterizzante, soprattutto in risposta a una sempre maggiore richiesta di personalizzazione dei prodotti da parte di clienti sempre più esigenti.

Ma, a dirla tutta, ciò che colpisce davvero è la poesia delle parole legate al colore, che molto hanno da dire già a partire dalle proprie origini etimologiche.

Ecco allora un mini-dizionario che include i dodici colori di base (tra primari, secondari e terziari) più il misterioso indaco. Ognuna di queste 13 parole ha compiuto uno straordinario, affascinante, tortuoso viaggio nello spazio e nel tempo per giungere a noi, perché ce ne potessimo servire come uno strumento che ci aiuta a descrivere il mondo intorno a noi, le superfici che ci circondano e i risultati che vogliamo ottenere come produttori o designer, ma anche come semplici clienti, acquirenti o fruitori.

Arancione

Questa parola è in uso fin dal 1500 per riferirsi al colore che prende il nome dal frutto dell’arancio. Quest’ultimo ha, invece, un’origine etimologica molto più lunga e complessa.

Deriva infatti dal sanscrito naranga, che indicava appunto l’albero di arancio e che, a sua volta, era forse legato alla tinta giallo zafferano dei pistilli di una pianta chiamata nāgakesara (il suo nome scientifico attuale è mesua ferrea). Questa è passata poi al persiano narang e all’arabo naranj (da cui deriva anche il termine del dialetto veneziano naranza o narancia).

In basso latino (arangia o aurantia) e poi in italiano, la perdita della consonante iniziale fu forse dovuta all’influsso della parola latina aurum, cioè “oro”.

Lucas Kapla via Unsplash

Azzurro

Ci è arrivato dall’arabo lāzuward (letteralmente, “lapislazzulo”, la pietra caratterizzata proprio da questo colore), a sua volta derivata dal persiano lāz̆ward, che costituiva un adattamento del sanscrito rājāvarta.

In latino medievale, divenne lazur o lazulum. Successivamente, la “l” iniziale cadde, probabilmente perché scambiata per l’articolo arabo al-. Sopravvive invece proprio nel nome delle pietre da cui è partito questo viaggio etimologico.

Una curiosità: l’italiano è una delle poche lingue europee a distinguere con due cromonimi diversi tra azzurro e blu, due tonalità della stessa scala cromatica. Ne riparlo alla voce “Indaco”.

Bianco

In latino, questo colore veniva chiamato albus (da cui i moderni “alba”, “albino”, “albume”, ecc.).

L’origine etimologica di bianco è però da ricercare nel germanico blanch o blank, che significava “rilucente”, “scintillante”. Il termine era normalmente utilizzato in associazione alle armi e al luccichio del metallo di cui erano composte: da qui, non a caso, deriva anche l’espressione “arma bianca”).

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Blu

Le origini di questo termine si possono tracciare fino a due parole antiche. La prima era il protogermanico blewaz (che copriva grigio, blu scuro e nero). La seconda era il protoindoeuropeo bhle-was, in cui la radice bhle significava non solo “blu”, ma anche “color della luce” (ma quanto è bello avere una parola per questa cosa?). Tra l’altro, riferendosi anche ai concetti di “biondo” e “giallo”, è all’origine anche del latino flavus, cioè appunto giallo.

E non è finita qui: i romani, infatti, usavano blavus, che deriva direttamente da questa radice, con il significato di “sbiadito” (non era un colore molto gradito a greci e romani), mentre per riferirsi alle sfumature del blu utilizzavano i due termini cyaneus e caeruleus.

Caeruleus significa letteralmente “color del cielo” (caelum in latino) e, anche se in italiano abbiamo il corrispettivo “celeste”, a volte era usato anche per parlare di verde scuro e verde acqua (d’altronde, il cielo non è solo blu).

Invece cyaneus (da cui l’italiano “ciano” e “cianotico”) derivava dal greco antico kyanos che, a sua volta, prendeva vita dalla radice protoindoeuropea kwey, che però si riferiva generalmente al bianco.

Insomma l’intero cielo… anzi, l’intero arcobaleno in un’unica parola!

Da qui, comunque, si passa al germanico blao, al norreno blar e al provenzale antico blau (questi sì che significavano “blu”). Dai primi due deriva il termine inglese blue, mentre è dall’ultimo che discende la parola francese bleu, di cui il nostro “blu” è un adattamento.

Giallo

L’origine del suo nome risale al protogermanico gewalz, che indicava proprio il giallo e anche il verde pallido. Da qui sono nati i termini latini galbus (verde pallido) e galbinus (giallo). Questi hanno dato vita al jalne dell’antico francese, progenitore diretto del termine italiano.

Fin qui, tutto semplice.

È curioso però notare che questo percorso è partito dalla radice indoeuropea ghel, che significava “brillante”, “splendente”… ma anche “urlare”, “gridare” (no, non è un caso che queste due parole si possano tradurre in inglese con yell, che tanto ricorda yellow).

Il giallo si conferma così un colore vivace e capace di attirare l’attenzione. Fin dal suo stesso nome.

Grigio

Il viaggio di questa parola inizia con la radice protoindoeuropea ghreh-, connessa al crescere delle piante: ne riparlo alla voce “Verde”, a dimostrazione di come i colori non sono sempre (stati) distinti e distinguibili nello stesso modo.

Dal suo sinonimo grewaz deriva la radice protogermanica grisaz. Da qui, si è passati all’inglese grey, al tedesco grau (ma esiste anche greis, col significato di “canuto”, “vecchio”) e al francese gris. Il latino medievale griseus è un prestito proprio di quest’ultimo termine.

Il latino classico usava invece la parola ravus, in cui di nuovo si mischiavano le tonalità grigie e gialle, tanto che oggi sopravvive nel termine “ravo” che, sebbene poco noto, significa “biondo scuro”.

Indaco

Questo termine corrisponde al latino indicum e al greco indikón, entrambi con il significato di “indiano”, “proveniente dall’India”, perché la parola “indaco” si riferiva, in origine, al colorante ricavato dalle foglie di una pianta nativa proprio di quella regione.

Una curiosità: l’indaco è considerato uno dei sette colori dell’iride sulla base dei lavori di Isaac Newton. Pare però che lo scienziato utilizzò arbitrariamente questo nome di colore così poco familiare perché, altrimenti, la lingua inglese non gli consentiva di distinguere con singole parole tra blu, che quindi ha chiamato indigo, e il più chiaro azzurro, che in inglese è di nuovo blue. In italiano, avremmo potuto evitare il palese calco nella traduzione. Peccato che così non è stato. E noi rimaniamo condannati a continuare a chiederci di che razza di colore è la sesta striscia dell’arcobaleno.

Etimologia dei colori: superficie indaco
Workshop NYC

Marrone

Questa parola deriva direttamente dal francese marron (cioè “color castagna”), originatosi dal greco bizantino màraon, che indicava proprio la castagna dolce. A sua volta, il nome di queste castagne più grosse di quelle normali è collegato alla radice protoceltica maaros (“grande”), derivata dalla radice protoindoeuropea mohros (ancora, “di grandi dimensioni”).

Peraltro, non ci stupisce che anche i capelli di questo colore, in italiano, siano indicati come “castani”, ossia “color castagna”.

Nero

La sua etimologia si ricollega direttamente al latino nigrum, accusativo di niger, cioè “nero”, “scuro” e, in senso lato, “tenebroso”, “fosco”, “funesto”, “luttuoso”.

L’ipotesi, infatti, è che questo termine fosse connesso alla radice greca nekrós, “morte”, probabilmente a sua volta riconducibile al protoindoeuropeo nekw-t, “notte”.

Rosa

Il nome di questo colore viene da quello del fiore omonimo, derivato dal latino rosa e, prima, dal greco rodon (da cui ci arrivano anche altri nomi come, ad esempio, “rododendro”). Questo traeva origine dall’antico persiano vereda (“fiore”), collegato al sanscrito vardhati (“germogliante”), a sua volta connesso alla radice indoeuropea vardh (“crescere”) e alla radice protoindoeuropea wrdho (“spina”).

Da qui, peraltro, sono derivati anche il sanscrito vrad-ate (“diventare morbido”), la radice grecoitalica vrad- (“piegarsi”, “essere flessibile”) e il greco rodanos (“molle”, “flessibile”), giunto a noi in termini come “ramo”.

Una curiosità: il termine inglese pink non è collegato al nome del fiore rose, ma ha comunque anch’esso un’origine legata alla botanica, ovvero al fiore detto pink (in italiano, “garofalo piumoso”), con petali dal caratteristico contorno frastagliato, il cui nome probabilmente deriva proprio da un termine della lingua inglese antica, pick, che significava “tagliare”, “perforare”, “bucherellare”.

Pawel Czerwinski via Unsplash

Rosso

Non sorprende che il suo significato originale fosse “di colore del sangue”… Sarà (anche) per questo che da sempre il rosso è simbolo di passione e impeto?

Nasce infatti con la radice indoeuropea rudh– o reudh-, da cui derivano le parole latine rubens, ruber e rufus (discende direttamente da qui il termine italiano), il protogermanico rauthaz (da cui red in inglese, rot in tedesco e rood in neerlandese), e tutti i corrispettivi slavi, celtici, sanscriti (dove la parola rudhiram significava proprio “sangue” come sostantivo e “rosso” come aggettivo), ecc. fino ai greci (éruthros, tanto è vero che esiste l’ereutrofobia , ovvero la paura ossessiva di arrossire in volto!).

Verde

Come già accennato, il giallo e il verde per gli antichi erano sfumature dello stesso colore. Ce lo rivelano la radice indoeuropea ghel, che significava anche “brillante”, “splendente”, e il proto-germanico gewalz, che indicava appunto entrambe le tinte.

I primi a separarle furono i greci: in greco antico, la stessa radice protoindoeuropea si è evoluta in khloròs, parola associata con meno ambiguità al verde pallido, tanto da diventare più tardi essa stessa radice di “clorofilla”.

Il termine italiano “verde” deriva dal latino viridis, diventato poi virdis, che a sua volta era legato al verbo vireo, cioè “germogliare”, etimologicamente connesso a “vigore”, “vegetare” e “vita” (dalla radice protoindoeuropea weg-).

Lo stesso percorso, per inciso, lo ha compiuto anche il green inglese, derivante dal protoindoeuropeo ghreh- e dal protogermanico groniz, da cui ci arriva, per nulla casualmente, anche il verbo grow (“crescere”).

Viola

Prende il nome dal fiore omonimo i cui petali sfoggiano proprio questa tinta. A sua volta, la pianta in questione era già chiamata viola in latino. L’origine etimologica di questo termine è incerta, ma si ritiene essere collegata al greco ion, la cui forma arcaica era wion, giunta in Europa dall’Oriente: si trattava infatti di un prestito dal medio-persiano wnpšk.

Tra l’altro, lo stesso viaggio è stato seguito anche da un’altra sfumatura di viola: il lilla. Il nome dei fiori di lillà viene infatti dal francese lilac, derivato dall’arabo lilak che, a sua volta, traeva origine dallo stesso termine usato anche in Persia.

Pawel Czerwinski via Unsplash

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Chiara Foppa Pedretti
The Polished Words

Italian translator and writer for the manufacturing & design worlds 🌍 Traveler https://about.me/designtranslator