Storyteller: Simone Ciaruffoli

The Character Issue — pt. II

Raccontare una storia, secondo Simone Ciaruffoli di Burgez

Mattia Rapparini
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Storyteller: The Character Issue

Simone Ciaruffoli è il fondatore di Burgez e di Upper Beast Side, ma anche e soprattutto un uomo contemporaneo, capace di comprendere “gli interstizi della comunicazione sociale, della vita di tutti i giorni” e di ribaltare la concezione di brand. O forse solo di capirla per davvero, a differenza di molti altri. Gli abbiamo chiesto un parere sullo stato attuale della comunicazione italiana: ne ha dette talmente tante che abbiamo dovuto dividere l’articolo in tre parti. Buona lettura!

[continua da pt. I]

Torniamo al punto di partenza: non siamo in grado di raccontare storie. Il prodotto è una cosa che ti trovi accidentalmente in mano, poi bisogna raccontarlo — e non significa raccontare che quel detersivo è il migliore di tutti. La comunicazione di Burgez sta sopra a un panino ma potrebbe stare sopra a bulloni.

Prendiamo gli attori: loro sono Brand, vengono assunti da una produzione e interpretano un personaggio, è la loro azione di marketing. Dietro al cinema, che è una grande opera di marketing, ci sono soggettisti e sceneggiatori. In Italia manco abbiamo veri sceneggiatori. Facciamo scrivere la sceneggiatura al romanziere, ma che c’entra? Sono due mestieri diversi. Quando parlo di coraggio non intendo dire che il tuo prodotto fa schifo, ma bisogna avere la forza di andare oltre e raccontare qualcosa che entri nell’immaginario collettivo e nella testa delle persone. Le creme di Vanna Marchi non erano le migliori, ma vendevano perché Vanna Marchi sapeva raccontarti una storia, perché lei stessa era un Brand.

Se mi chiedono di fare un franchise di Burgez senza aver mai mangiato un mio panino, vuol dire che le persone sono attratte dalla storia, che la vedono come più grande di quanto sia in realtà. Oggi per comunicare bisogna raccontare una storia, che non necessariamente ha a che fare con il prodotto: dire che quella pasta è la migliore di tutte non è raccontare una storia.

Un altro esempio sono le case di moda, autori della comunicazione più orrenda e arretrata che esista. Le aziende del fashion potrebbero permettersi di non mostrare per niente quello che fanno, tanto a nessuno frega niente di quello che producono. Invece devo ancora vedere i manichini in vetrina, come in Giappone che ti chiudono i panini nella plastica per farti vedere come viene. Come al McDonald’s, tra l’altro. Smettila di mostrare ciò che devo indossare, mostrami un mondo, uno stile di vita. Il problema dei fashion designer è che si sentono artisti, e quindi per loro quel vestito è un quadro. Magari una volta poteva anche essere così, ma ora no, ora stanno andando tutti in un’unica direzione generalizzata e l’arte o l’artigianato di una volta non esistono più. Potrebbero fare vetrine cieche, e invece sono quelli che mostrano di più.

Oggi Burgez può permettersi di fare certe cose perché abbiamo costruito un Brand, un personaggio: ogni carattere ha i suoi valori, le sue idee e le sue azioni. In Italia facciamo fatica a comprendere questo concetto perché non conosciamo la sceneggiatura: quando scrivevo Camera Café c’era Paolo, l’ignorantone di destra, e Luca, il comunista cinefilo. Per far dire una frase a Luca dovevo conoscere la sua biografia e capire se quella frase l’avrebbe potuta dire o meno. In sceneggiatura esiste la “Bibbia” dei personaggi, che determina le sfumature dei caratteri. Per i Brand è la stessa cosa: hanno un carattere e a quel carattere corrispondono azioni che sono il marketing. Chi copia Burgez senza avere il carattere di Burgez sbaglia perché non le sa portare. Nei manuali di teoria non si insegna qual è il carattere di un Brand, ma quello viene prima di tutto.

Al contrario, ai ragazzini insegniamo l’instant marketing, un mostro che ruba l’identità delle aziende e ne standardizza i contenuti.

Ma è completamente sbagliato: i Brand devono avere un carattere, se hanno voglia di fare una cosa la fanno, altrimenti no. Un Brand, quando ha carattere, parla anche quando sta in silenzio. Ultimamente Burgez non sta pubblicando niente, vive di rendita: puoi anche permetterti di non parlare, a patto che il tuo carattere sia in linea con questo comportamento.

Burgez è un nerd, un ragazzino brufoloso incavolato dietro al computer che risponde a tono ai clienti (utenti), senza responsabilità e senza SRL. Poi la SRL c’è, ma il personaggio che interpreta Burgez è questo. Cosa ne sai di quel ragazzo brufoloso? Cosa ne sai che sua mamma non gli ha staccato la spina del computer perché si é arrabbiata, o che non è andato in gita o a scuola? Il Brand è un film, ma è anche una persona: sono la stessa cosa, le persone hanno carattere come i film.

E nel cinema non c’è alcuna differenza tra vero o non vero. Nel cinema persino i trailer hanno un carattere. Quando sento dire “eh ma dal trailer sembrava diverso…” bravi, si chiama marketing. Nei trailer non racconti la verità, non dici che un film è lungo o lento, cerchi solo di venderlo. Hai mentito? Nel cinema non esiste menzogna, proprio perché esiste una regola che si chiama sospensione dell’incredulità. Non è importante che Superman voli quando non è possibile. E così dovrebbe essere per i Brand. Tutti quando vedono il wrestling sanno che è finto, e quindi? La costrizione di un creativo è quella di sviluppare una storia, motivo per cui il Romeo e Giulietta di Zeffirelli è diverso da quello di Baz Luhrmann.

Questo principio non si applica soltanto al cinema, ma a tutta la realtà: oggi va di moda lamentarsi e tacciare qualsiasi cosa di essere una “fake news”, ma cos’è una fake news? Io ho avuto la fortuna di studiare la seconda guerra mondiale sui libri di storia italiani, francesi, tedeschi, russi, inglesi e americani: non c’è una versione uguale all’altra, e tu a quel punto ti domandi cosa sia successo davvero. La storia la scrive chi vince, ma è anche vero che noi non abbiamo vinto…

Vuoi fare marketing? È importante avere chiaro alcuni concetti chiave, come la fake news: esiste la fake news? Il falso può esistere in un mondo di verità, ma in un mondo di bugie che diventano verità acquisita e conforme come fa a esistere la fake news? Ogni tanto può esistere una real news, forse.

Io ti racconto una storia, a prescindere dalla realtà. La prefazione di Marketing Luther King l’ha scritta davvero Frank Abagnale Jr.? Da un lato ho sempre pensato che lui fosse un figo, mi piaceva come persona, quello che ha fatto e la sua evoluzione. Stavo scrivendo un libro sul confine finissimo tra realtà e menzogna e ho pensato di far scrivere l’introduzione a un tizio che su questo confine ci ha costruito una carriera. Frank è stato un grande marketer: la persona giusta per questo libro. Questa è una verità, mentre l’altra verità è che lui è un impostore che ha preso in giro mezza America, e allora io adesso scrivo a suo nome la prefazione, usandolo come lui ha usato le persone in precedenza.

Una di queste storie è vera, o forse sono vere entrambe: la prima è piana, contenuto, la seconda è marketing. Potrei aver fatto la prima e raccontarla con la seconda perché è più figa. Decidete voi quale preferite, ma se fosse vera la seconda e Frank Abagnale Jr. venisse a scoprire che sto usando il suo nome senza permesso potrei passare qualche guaio, quindi dovreste apprezzarmi ancora di più.

A proposito: lo sapevate che il nome di Burgez è ispirato ai Gorillaz?

Anche le agenzie pubblicitarie peccano in questo: non sono Brand, non sono oggetti interessanti, sono la somma dei Brand per cui hanno lavorato. Con Upper Beast Side siamo agli esordi, ma abbiamo già le idee chiare. Stiamo cercando di strutturare un carattere -se non riesco a costruire un Brand per me, come posso farlo per te? Cerchiamo di interagire con i nostri utenti, di creare contenuto che può essere consultato come un libro, e presto lanceremo anche i corsi. Ci costruiamo il nostro seguito piano piano, ed è importante far capire alle aziende che più follower non significa più apprezzamento o più awareness. Guarda Burgez: di follower ne abbiamo pochi, ma tutti ci conoscono per i danni che abbiamo fatto.

Abbiamo già rifiutato incarichi importanti, perché non ci interessa lavorare con Brand affermati, non potremmo dare tanto di più rispetto a quello che già hanno fatto. Vogliamo crescere insieme ai nostri clienti, cerchiamo di lavorare con l’imprenditore per capire che carattere ha e che storia vuole raccontare. Siamo anche molto legati alla contingenza: non usiamo piani editoriali, impostiamo linee editoriali sulla pelle dei brand con cui lavoriamo.

Il fatturato si compra, diventare un Brand o ancor di più un lovemark no. L’amore non si compra.

Continua con la parte III il 16/06/2021.

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