Dire che la partecipazione è di sinistra non è vero.

In questi anni, e va dato atto a Renzi e alla sua squadra, si è cercato di far ripartire il paese con investimenti e politiche. Sui diritti per esempio, sono stato tra quelli ad esultare per i passi in avanti. Ci sono pezzi di riforme di Renzi che ho condiviso: potrei citare politica per politica, scelta per scelta. Mi sono ritrovato in ciò che è stato messo in moto. Aggiungo che era ora che ci fossero nuove visioni nel PD.

Ma su alcune scelte, diciamo, si poteva fare meglio. Anzi, su alcune particolari politiche, anche se l’impianto era corretto, per esempio sulla Buona Scuola o sul Job Act, sono stati fatti errori che hanno lasciato indietro pezzi di società. E, cosa ancor più grave, per ogni singolo intervento che era da migliorare non si è voluto ascoltare un pezzo di sinistra che reclamava attenzione. Spesso si trattava di un pezzo del PD che ha urlato, sbattuto i piedi, alzato i toni cercando maggior centralità per politiche verso certe fasce di popolazione. Le preoccupazioni infatti andavano verso chi è in difficoltà, per un basso reddito o con chi culturalmente non ha gli strumenti per districarsi nel nuovo mondo così complesso, così competitivo.

Per questo ora in molti stanno facendo altre scelte. Per questo le periferie, le tanto osannate periferie delle nostre città, non sono più serbatoi di voti per la sinistra. Non intendo entrare ora nel merito delle questioni, ma credo sia urgente parlare di metodo.

Se larga parte della tua comunità cerca di dirti qualcosa e tu non ascolti, se parte dei “tuoi” non ti seguono più, deve avvenire ciò che avviene in ogni comunità. Ci si ferma attorno al tavolo, ci si guarda in faccia, ci si ascolta, e si ridisegna un patto per stare insieme. Non si tratta di avviare processi particolari, ma è tempo di chiedersi cosa serve per ricucire i tessuti che si sono strappati. Credo sia tempo di ridefinire le priorità, di capire cosa è da migliorare, parlando di metodo. Ciò che sta avvenendo al PD può essere una grande occasione solo se troviamo nuovi metodi per ascoltare e per abilitare la partecipazione di cittadine e cittadini che vogliono prendersi cura del nostro paese.

La politica deve dare risposta a chi vuole contare e il Partito Democratico deve essere democratico e porsi come palestra di partecipazione. Nel PD si devono usare strumenti che cittadini e politici devono poi diffondere nel resto del paese.

Nelle amministrazioni, da Milano a Reggio Emilia fino a Bologna e Bergamo, esistono interessanti esperimenti: Comuni che sperimentano nuovi modelli collaborativi, che usano i Patti di Collaborazione per innescare pratiche di coinvolgimento dei cittadini, che usano il web per avviare processi di partecipazione, che riqualificano spazi per abilitare comunità. In sempre più città italiane terzo settore, imprese, cittadini, sono parte attiva nella gestione della cosa pubblica. Se guardiamo alle amministrazioni, insomma, ci sono tentativi di cedere potere, che hanno l’obiettivo di esplorare nuove vie per includere chi si sente fuori dai giochi, chi ha idee, chi vuole dare una mano. Anche con politiche nazionali come la Buona Scuola c’è stato un incredibile esperimento partecipativo. Da questi processi, in molti hanno preso coraggio per aumentare i livelli di ingaggio, ma non la politica partitica di sinistra, non il PD.

Perché la sinistra non ha messo in piedi sperimentazioni concrete e stabili per gestire la partecipazione? Ci lamentiamo dei modelli 5 stelle, ma il PD cosa ha messo in campo? Se c’è una cosa che ha rafforzato Grillo, non è stata la gestione della retorica della partecipazione? Fatta male, usando la clava, indicando dall’alto le decisioni da prendere, con pochissimi numeri, ma i 5 stelle hanno aperto alla partecipazione.

Dopo il 1 maggio, quando il PD avrà un nuovo segretario, avremo tempo di riunirci insieme per riprendere il cammino delle riforme del paese, ma ora credo che la priorità sia di ricomporre una visione che tenga insieme decisori e iscritti. Centro e periferia. Chi decide e chi subisce le scelte.

E’ urgente parlare di metodo non solo per ricomporre ciò che si stava rompendo ma per esplorare nuove vie. Forse, di fronte alle complessità che viviamo, è tempo di avere uno stile meno roboante e più in ascolto. Magari con meno leadership, ma con più comunità. E’ tempo di vedere i cittadini come parte delle soluzioni. Non come il problema.

Questo blog nasce anche sulle ceneri di ilpdchevorrei.it, un esperimento che insieme ad altri matti mettemmo piedi un po’ di anni fa. Era il tempo della sfida tra Bersani e Renzi alle primarie e noi, Fabio, Lidia, Luca ed io, da Ravenna, Bologna, Parma e Torino, dalla periferia del Partito (su 4, c’era 1 iscritto), volevamo mettere attenzione sui contenuti attraverso un sito web, dove chiunque poteva dare idee concrete al Partito Democratico. Dal basso e senza chiedere il permesso, autotassandoci e mettendo a disposizione le nostre competenze (come altri migliaia di volontari in giro per il paese), volevamo fuggire dai personalismi per innescare partecipazione.

Nonostante il nobile intento e una discreta partecipazione, non fummo ascoltati. Nè Bersani Nè Renzi ci diedero attenzione. Eravamo un po’ pirati, un po’ controcorrente, convinti di mettere a disposizione l’intelligenza collettiva di tante persone legate al PD. Volevamo fare ciò che aziende e altri partiti stavano facendo in giro per il mondo.

A distanza di anni, possiamo dire che l’avevamo detto. Ora appare ridicolo poter dire che avevamo ragione: abbiamo perso un’occasione per innescare qualcosa di diverso. Ora il digitale è regno di fenomeni che a quel tempo non erano prevedibili: fake news, dinamiche da ultras con linguaggi e stili davvero pericolosi. Le percentuali di partecipazione alle votazione politiche sono sempre più basse. E il PD non se la passa molto bene.

Nel frattempo però una cosa non cambia: il PD continua a non avere alcun modello di ascolto strutturato.

Ci sono le primarie quando c’è bisogno di legittimazione elettorale; ci sono i circoli ma non esiste nessuno strumento per poter fare sentire la voci dei militanti, degli elettori, degli iscritti; Renzi annuncia BOB, una piattaforma digitale dedicata: ne sono felice ma metto in chiaro che siamo fuori tempo massimo. I buoi sono scappati da tempo. Ci sono stati occupyPD, con alcuni militanti che fisicamente hanno occupato sezioni per reclamare attenzione. Ecco, la verità è che non ci siamo mai sentiti coinvolti. Non ci siamo mai sentiti parte attiva.

Se posso sommessamente dare un consiglio a chi verrà, chiedo che vengano aperte sperimentazioni concrete per avviare processi di partecipazione stabili. Magari prendiamo alcuni circoli dove sperimentare. Prendiamo qualcosa di gestibile, vediamo se funziona e poi lo allarghiamo al paese. Non chiedo una piattaforma web calata dall’alto, senza anima e senza comunità. Quel tempo è finito. Chiedo dei luoghi dove poter dire come la penso, poter dare al paese le mie idee di cittadino, magari di esperto su alcune cose. E chiedo di avere delle risposte; vedere che quello che condivido può influenzare le decisioni. Non uno spot, e nemmeno un insieme di post it da attaccare ad un muro muto, ma un processo di ascolto, serio e responsabile. Democratico. Per insegnare al paese che la partecipazione è bella. Ed è ancora di sinistra.

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Michele d'Alena
Affinità e divergenze tra i compagni e noi

Public policy consultant, digital innovation advisor, community manager. I believe in frontiers.