Accesso unico ai servizi digitali della PA: dai migliori esempi locali a una strategia nazionale

Giovanni Gentili
Agendadigitale
Published in
8 min readJan 9, 2019

Emergono varie iniziative regionali o metropolitane per un “accesso unico” ai servizi pubblici via digitale. A condizione di fare un ri-disegno dei servizi (service design) e la reingegnerizzazione dei processi. Questo modello locale è complementare e non in conflitto con l’iniziativa nazionale Italia.it — Originariamente pubblicato su www.agendadigitale.eu il 9 gennaio 2019.

Photo by Austin Chan on Unsplash

La transizione al digitale passa da una visione centrata sui servizi. Da un ridisegno dei servizi. Ma non si può ragionare in ottica centralistica: anche sul piano dell’accesso ai servizi occorre puntare sull'aggregazione territoriale e la reingegnerizzazione dei processi, e molto rilevante è quella che definiamo metafora di “accesso unico” ai servizi pubblici.

Una panoramica sulle principali iniziative in corso e una riflessione sul perché è importante decentrare verso il territorio e puntare sulla sussidiarietà.

Cos’è il service design

Nell’articolo precedente abbiamo parlato del ruolo del Responsabile per la transizione digitale (RTD) e della necessità di un “aggregatore” per la trasformazione digitale, individuando tre competenze specialistiche che la struttura dell’RTD e/o aggregatore deve necessariamente possedere: proviamo in questo articolo ad esaminare la prima, ovvero quella del service design (ridisegnare i servizi pubblici).

Si tratta di una disciplina relativamente giovane, e come ogni cosa che attiene al concetto di “servizio” può assumere varie forme. Facciamo quindi riferimento alle Linee guida di design per la PA che ne parlano in questi termini: “Con l’adozione delle metodologie di service design si intende migliorare la progettazione e quindi le caratteristiche di un servizio, orientando funzionalità, processi e componenti intorno alle effettive esigenze degli utenti (..) Il service design è un approccio alla progettazione che si occupa di definire come si svolge la relazione tra un utente e un’organizzazione, generando un’esperienza di qualità per entrambe le parti coinvolte e agevolando il raggiungimento del risultato desiderato (..) il servizio deve essere organizzato in forma digitale, e a partire da questo bisogna progettare altri punti di contatto con il cittadino in modo da abbracciare un’ottica multicanale, che consideri in modo integrato ogni modalità di erogazione del servizio, digitale e fisica.

Se ci mettiamo a guardare alle necessità dell’utente, dal suo punto di vista (quindi a partire da quelli che sono gli eventi della vita del cittadino o del business) il servizio che gli serve, quello che vorrebbe avere e che per lui ha “valore”, è un servizio che quasi mai dipende da una sola PA (perché la PA è complessa e le amministrazioni coinvolte anche in cose semplici sono decine… negare questa complessità non porta da nessuna parte) ed inoltre, per avere quel servizio l’utente deve passare da classificazioni, procedimenti e metafore ignote al cittadino/impresa.

Non solo un servizio coinvolge più enti, ma in molti casi dipende anche da leggi approvate a livello regionale e da regolamenti comunali. Quindi torna, inevitabilmente, la necessità di puntare sull'aggregazione territoriale anche sul piano dell’accesso ai servizi: ridisegnare i servizi su scala territoriale, con un affiancamento sul campo degli enti verso la transizione alla modalità operativa digitale, richiede un lavoro capillare di reingegnerizzazione dei processi ed una vera cultura di project management. Richiede quindi aggregatori permanenti e ben strutturati.

Sulla logica profonda ed innovativa dietro il concetto di “aggregatore” nell'era digitale, si rimanda agli studi di Simone Cicero che illustrano bene anche perché questi abilitano gli “ecosistemi” e servizi davvero personalizzati ed innovativi all'utente.

Tornando allo specifico dell’accesso ai servizi, si tratta di una azione di aggregazione che non si traduce in un semplice “copia&incolla” di informazioni da siti esistenti di vari enti pubblici, e nemmeno in un tentativo di far rivivere lo Yahoo primordiale attraverso una curatissima raccolta di link.

Parafrasando il Team di gob.pe, non si tratta di fare il Google della PA, ma portare i servizi delle PA dentro Google (rendendoli davvero trovabili) e su ogni altro canale possibile, con informazioni certe, chiare, uniformi. Vuol dire usare ontologie standard.

Vuol dire ridisegnare i servizi pubblici, uno per volta, superando la logica dei procedimenti come metafora per leggere il mondo. Vuol dire costruire una base di conoscenza a disposizione sia degli operatori pubblici che degli intermediari, costruita collaborando in maniera aperta a tutti. Vuol dire puntare (davvero) sul paradigma API first, realizzando le interfacce di servizio prima dei siti.

Le forme della presenza web delle PA

Cosa dovrebbe contenere oggi un sito web di una PA secondo le norme vigenti? Quali forme dovrebbe assumere la presenza web/social di un ente pubblico oggi?

La figura seguente delinea, in estrema sintesi, quattro grandi “aree di contenuto” che emergono dalle norme:

aree di contenuto dei siti delle PA

Queste quattro aree sono etichettate con i termini (molto comprensibili) usati dal Team digitale nel “prototipo” di sito comunale da poco messo a punto:

  • Amministrazione
  • Documenti
  • Notizie/Novità
  • Servizi

Non entriamo nelle tante questioni che questa classificazione può sollevare (in particolare la L.150/2000 richiede sicuramente un aggiornamento… e dentro “notizie/novità” ricomprendiamo anche i social media) ma proviamo a continuare a parlare dei servizi tenendo ben presente che questi sono, inevitabilmente, interconnessi anche con le altre tre aree di contenuto.

Servizi online

L’area dei servizi va intesa come un insieme di “servizi in rete o on line” (come da definizione CAD) che in diversi casi permetteranno di effettuare transazioni e pagamenti direttamente on line, ma in altri casi potranno consistere nella mera descrizione di un servizio che viene erogato esclusivamente attraverso altri canali perché più adatti. E magari l’utente attraverso l’on line può solo informarsi oppure prenotare un appuntamento oppure solo sapere quale numero chiamare.

Nella transizione al digitale, diventa importante che sul sito siano ben distinti i servizi che hanno ricevuto un effettivo ridisegno, che quindi sono digital-inside, da quelli che pur essendo messi in rete sono ancora una semplice traslazione di logiche cartacee.

Quando parliamo di “servizi digitali” intendiamo quindi dire che il servizio è stato pensato ed organizzato attraverso strumenti digitali, ma potrebbe essere fruibile da molti canali (logica della multicanalità/omnicanalità) e ci possono anche essere casi in cui il servizio digitale non si traduce per forza in un “servizio on line” perché il canale migliore può essere il telefono o persino uno sportello fisico.

Dipende dal singolo servizio.

Se per il successo della trasformazione digitale delle PA è centrale il ridisegno dei servizi sopra delineato, da condurre attraverso aggregatori territoriali, diviene molto rilevante quella che chiameremo metafora di “accesso unico” ai servizi pubblici.

Seguire tale metafora di “accesso unico” non vuol dire un unico canale (anzi, come detto serve omnicanalità), non vuol dire un unico sportello (neanche nel senso del secolo scorso di “one stop shop” quale mero coordinamento di altri uffici) e nemmeno vuol dire un unico “portale” (termine desueto ormai usato solo nelle PA!).

Purtroppo, ciclicamente, si torna alla carica verso sportelli unici (qualcuno ne ha contati più di 100 tipi diversi esistenti) oppure verso portali unici nazionali (che però si fermano, inevitabilmente, al già citato Yahoo ben curato, senza poter incidere sul ridisegno dei servizi).

Ma chi integra i processi? Chi combatte per cambiare procedimento dopo procedimento, ente dopo ente? Chi lavora dietro le quinte? Chi crea condivisione d’intenti tra gli enti?

Dato che al momento non ci sono proposte di modifiche costituzionali nemmeno a livello di dibattito pubblico e che anche il CNEL è vivo e lotta insieme a noi, ragioniamo a Costituzione vigente.

Occorre il coraggio di decentrare verso il territorio e puntare sulla sussidiarietà (persino dei privati, che possono realizzare servizi migliori del pubblico se gli diamo API vere). Si continua a parlare tanto di tecnologie blockchain, poi appena si accenna a qualcosa che va decentrato scatta il terrore. Ognuno si tiene ben stretto il suo registro nazionale, la sua piattaforma centrale. Se non riusciamo a parlare neanche di decentramento (che è all’art.5 della Costituzione) possiamo davvero parlare di blockchain ovvero mettere in discussione l’organizzazione stessa dello Stato per sfruttarla? Facciamo un passo per volta, almeno puntiamo sul decentramento e sull'interoperabilità, in un quadro chiaro di aggregazione.

Se si guarda ai territori, emergono varie iniziative che puntano ad implementare la metafora di “accesso unico” per i servizi pubblici, con un aggregatore su scala regionale o metropolitano. Le iniziative assumono varie denominazioni ma hanno molti tratti comuni, ed implementano il tutto nel rispetto delle norme vigenti (non serve una nuova legge nazionale per l’accesso unico, per carità basta leggi!).

Le principali iniziative di “accesso unico” in corso sono riepilogate nella tabella seguente (segnalate su @giovannigentili l’omissione di altre iniziative rilevanti):

L’app “io”e le infrastrutture immateriali

Quanto detto confligge con l’app io.italia.it?

Assolutamente no, anzi la app nazionale sarebbe un ulteriore canale da cui raggiungere i servizi ridisegnati secondo la metafora dell’accesso unico, dato che l’app non punta certo a sostituire i servizi e nemmeno ad essere l’unico canale esistente.

Tanto è vero che con l’ultimo correttivo al CAD, la parola “unico” è sparita dall’art.64-bis che oggi recita che tutte le PA “rendono fruibili i propri servizi in rete, in conformità alle Linee guida, tramite il punto di accesso telematico attivato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri“.

L’app IO del Team digitale non è un punto unico, ma si affianca a tanti altri canali… e sopratutto se si vuole che l’app nazionale contenga anche i servizi locali (oltre a quelli nazionali) è inevitabile una logica di aggregazione su base regionale (sempre ragionando a Costituzione vigente) a meno di andare ad interfacciarsi con i soliti 20.000/50.000 organismi pubblici.

Senza servizi locali si va incontro ad un egov evidentemente fallimentare (in merito vedere ad esempio gli studi di Davide Osimo). Come si può pensare di seguire una metafora per accedere ai contributi Inps ed al pagamento delle tasse nazionali, ma poi non poter seguire la stessa metafora di accesso per i servizi di mensa e trasporto che sono al livello comunale?

In assenza di un Ministro per il digitale, le carte oggi sono in mano al Ministro della PA Giulia Bongiorno a cui va quindi rivolto un appello: per dare “concretezza” alla semplificazione, occorre mettere al centro temi sfidanti passando dagli aggregatori territoriali per il digitale e la semplificazione dei servizi.

Questa logica si sposerebbe con quanto sembra delineare il recente decreto che istituisce una società in house della Presidenza del Consiglio dei Ministri che si occupi a livello centrale delle grandi infrastrutture immateriali nazionali, come PagoPA, l’app IO e la piattaforma dati DAF. Senza però far rientrare tutto nelle infrastrutture/piattaforme, anche quando sono evidentemente servizi.

Chiariamo lo schema di gioco basandosi sulla distinzione tra le infrastrutture immateriali a livello centrale e gli aggregatori di servizi a livello regionale. Usciamo dalla logica dei procedimenti, ed avviamo il ridisegno dei servizi territorio per territorio. Il lavoro non è breve, val la pena di cominciare.

Originariamente pubblicato su www.agendadigitale.eu il 9 gennaio 2019.

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