Quattro consigli alla PA per passare dall'era informatica a quella digitale

Giovanni Gentili
Agendadigitale
Published in
6 min readMar 10, 2018

Originariamente pubblicato su www.chefuturo.it il 10 marzo 2014.

In questo periodo fioccano in rete articoli indirizzati a Matteo Renzi in cui ognuno esprime i propri desideri per l’agenda digitale (un pò come nelle letterine inviate a Babbo Natale). Sicuramente è un segno sia della speranza di cambiamento ingenerata dal nuovo Governo ma si tratta sempre di una discussione svolta all'interno dell’ambiente degli “specialisti”.

L’agenda digitale è sicuramente arrivata ad essere citata dai programmi politici a tutti i livelli (locale, regionale e nazionale) ma in molti casi resta solo una delle tante cose in elenco, uno dei tanti buoni propositi su cui tutti concordano (come la pace nel mondo).

Abbiamo bisogno di una discussione politica vera, su come è cambiato il mondo e su come deve cambiare il Paese. Non bisogna decidere come sviluppare l’economia digitale… si tratta di sviluppare l’economia. Non bisogna favorire il telelavoro… si tratta di creare lavoro. Non vanno messe LIM a scuola… bisogna innovare la didattica.

Il digitale non è qualcosa da “appiccicare” all'esistente, è parte della nostra vita. Una parte sempre più rilevante. Nei documenti sulla programmazione europea viene sottolineato che occorre fare la dovuta attenzione alla “doppia natura dell’ICT”:

  1. digitale - l’ICT è un fattore abilitante (KET — Key Enabling Technology) ovvero guardare a come il digitale sta cambiando le nostre vite, come trasforma le organizzazioni ed il modo di lavorare, come cambia i mercati esistenti e ne crea di nuovi.
  2. informatica - l’ICT è un settore industriale, importante ed in crescita anche se più “classico” ovvero legato ad hardware&software, device, connettività, micro-elettronica, ecc.

Abbiamo bisogno di un Piano industriale nazionale per il settore ICT? Sicuramente sì, ma parlare di digitale è parlare di qualcosa di ben diverso dall'informatica classica e richiede anche altri interventi ben più urgenti.

Ci voleva un ministro per l’innovazione? Oppure meglio un sottosegretario direttamente sotto il Presidente del Consiglio? Forse pensare che nell'epoca della rete sia ancora importante, per cambiare le cose, una struttura gerarchica e verticistica è già un errore, è pensare come nel ’900… ma, d'altronde, abbiamo ancora oggi molte istituzioni strutturate da Napoleone ed ancora impostate alla stessa maniera. Solo con qualche PC in più.

Un sottosegretario “portabandiera” del digitale sarebbe stato utile, ma per fare promozione e sensibilizzazione sul tema basterebbe avere un vero “digital champion” inteso in senso europeo.

Come scritto da Mantellini forse sarebbe stato davvero innovativo avere tanti ministri e sottosegretari coscienti di che cos'è il digitale e di come è cambiato il mondo.

Va detto che sarebbe stato davvero difficile (irrealistico) andare a trovare in parlamento così tante persone in possesso di cultura digitale dato che la mancanza di cultura digitale è una delle maggiori emergenze del paese.

La mancanza di cultura digitale diffusa è un fattore che oggi incide fortemente su molte altre crisi del nostro Paese: disoccupazione dilagante, didattica arretrata, università senza ricerca, pubblica amministrazione bloccata.

Si parla spesso di “quote rosa”, beh oggi ci vorrebbero le “quote digitali”… almeno il 50% di ministri, sottosegretari, capi-dipartimento e dirigenti dovrebbero avere quello che in Europa si chiama “e-leadership” [1].

Dobbiamo fare in modo che sia il management, sia nel pubblico che nelle imprese di ogni dimensione, ad avere chiaro cosa si può fare oggi con gli strumenti digitali, con internet e con i social network.

Non si tratta di saper usare un computer o un tablet, perché all'alto management è richiesto ben altro. In questa fase in cui si apre l’attività di un nuovo governo ed in cui si decide degli investimenti della programmazione 2014–2020 è davvero urgente rendere consapevole il management che guida sia gli enti pubblici che le imprese private che il mondo è cambiato e ci sono nuove possibilità da cogliere.

Altrimenti chi deve decidere, chi fa le scelte, non sarà in grado di esprimere una domanda qualificata verso collaboratori, fornitori di ICT o consulenti. Non è in grado di pensare e disegnare nuove modalità organizzative completamente diverse.

Oggi non si può rinchiudere il tema del digitale in un ambito specialistico, si tratta di avere competenze digitali a tutti i livelli. Il governo deve fare dell’agenda digitale la “dorsale” delle politiche del governo: il digitale non è semplicemente “trasversale”, perché tante cose sono trasversali (parità di genere, formazione, comunicazione, ecc)…

L’ICT è una cosa trasversale, il digitale è oltre questo.

Il fatto nuovo è che il digitale cambia l’approccio alle cose ed ha già cambiato il mondo. Occorre prendere atto del cambiamento velocemente perché non possiamo fermarlo o contenerlo (cosa che, inconsapevolmente, stiamo facendo come sistema Paese, e non solo nella PA).

Se accettiamo di cambiare e, quindi, entrare nell'era digitale potremo finalmente sfruttare i nostri punti di forza tradizionali (come il nostro stile di vita, la creatività e lo straordinario patrimonio culturale, ecc) ma anche sorpassare alcuni punti di debolezza che, accettato il cambiamento digitale, non sarebbero più tali (ad esempio la piccola dimensione delle nostre imprese, avere infrastrutture stradali/ferroviarie arretrate, ecc).

Per questo è davvero urgente agire su almeno quattro fronti…

1. Individuare CDO e CIO in ogni Ministero e Regione

Visto che il digitale è cosa diversa dall’informatica, occorre che ogni Ministero ed ogni Regione individui una persona (una sola) Responsabile delle politiche per il digitale (CDO — chief digital officer) per supportare la trasformazione digitale in tutti i propri settori di attività. Tale ruolo è differente da quello di Reponsabile dei sistemi informativi (CIO — chief information officier) che solitamente già esiste (purtroppo data la frammentazione
generalizzata, ove non esista una sol persona responsabile del complesso dell’ente questa, naturalmente, va individuata).

CDO e CIO potrebbero anche coincidere, ma siccome questo richiede profili professionali molto diversi vuol dire avere al proprio interno una persona davvero poliedrica (e in grado di lavorare più di 24 ore al giorno).

Basta “riti comitatologici”, non è spalmando uno strato esterno di esperti digitali sopra l’organizzazione esistente che cambia davvero l’operatività degli enti: occorre agire dentro. E naturalmente CDO e CIO non possono essere figure solitarie… devono avere una squadra interna.

2. Porre AgID anche sul fronte digitale oltre su ICT

L’insieme di CDO e CIO di Ministeri e Regioni dovranno rapportarsi direttamente con l’Agenzia per l’Italia digitale che al suo interno dovrebbe sviluppare questi due grandi filoni “ICT” e “digitale”: l’Agenzia per l’Italia digitale ha naturalmente fin qui curato maggiormente la parte degli standard ICT rispetto allo sviluppo delle linee guida generali per la crescita digitale ma è necessario in Italia avere un punto di riferimento certo anche per tutto il tema della Crescita digitale e questo non può che essere AgID. Basta frammentare le competenze su questi temi tra MIUR, MISE, Dip.Comunicazioni, ecc.

Basta creare Cabine di regia, Tavoli di lavoro. Chiarire i ruoli dei vari livelli istituzionali esistenti senza creare tavoli e senza aspettare future riforme. A forza di avviare riforme istituzionali (senza concluderle) oggi abbiamo la “PA liquida”.

3. Policy brevi e chiare, insieme a veri programmi di cambiamento

Basta fare innovazione per legge. Occorre togliere alla PA l’approccio giurico: prima decidiamo prima cosa fare con delle policy chiare (brevi, scritte in modo comprensibile, elencate tutte in un solo sito vedere uk.gov) poi facciamo veri programmi e progetti. Alla fine, se proprio è necessario, provvediamo anche a rimuoviamo eventuali ostacoli normativi con una legge.

In questo periodo si sono visti anche diversi articoli “contro” le burocrazie. La burocrazione non è un male in sé, è necessaria. Ma esistono burocrazie innovative e burocrazie arteriosclerotizzate.

Bisogna restituire la responsabilità ai dirigenti, dargli davvero la possibilità di contrattare gli obiettivi insieme al budget. Non con meri documenti sulla performance ma con una vera gestione di programmi e progetti basta sulle best practice del “programme & project managementhttp://www.msp-officialsite.com/.

Ogni progetto di qualsiasi ente (non solo di natura ICT, il digitale è ovunque nelle attività della PA…) sia inserito in grandi programmi territoriali a livello regionale che abbiano chiaro riferimento alle policy nazionali e regionali.
Le Regioni assicurino il rispetto di linee guida e standard nazionali.

Occorrono grandi “programmi di cambiamento” in cui inserire i singoli progetti realizzati a valere sulle varie fonti di finanziamento nazionali ed europee. Quando parlo di programmi non parlo di POR e PON ma di veri programmi guidati da veri “Programme office”, temporanei ma cui sono attributi dali enti poteri decisionali sul dominio su cui incide il cambiamento, e quindi non guidati da “Autorità di gestione” centrate sul solo avanzamento di spesa.

4. Emergenza e-leadership

Attivare subito un grande “Piano d’azione nazionale di e-leadership”, sia nel settore pubblico che privato (quindi con una partneship pubblico-privato). Occorre che tutto il top management pubblico e privato abbia gli strumenti minimi per comprendere il digitale (che, ribadisco quanto detto sopra, non è saper usare il tablet). Si tratta di una vera emergenza, siamo già in ritardo almeno cerchiamo di salire sugli ultimi vagoni del treno digitale.

Originariamente pubblicato su www.chefuturo.it il 10 marzo 2014.

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