NUOVE TECNOLOGIE E FUTURO DEL LAVORO

Silvia Adamo
Alan Advantage
Published in
5 min readMar 14, 2022

L’attuale dibattito sul futuro del lavoro è in gran parte dominato dalle considerazioni sull’avvento delle nuove tecnologie ed il loro impatto sull’occupazione.

Già nel 1984 N.J. Nilsson in “Artificial Intelligence, Employment and Income” prediceva i profondi effetti che l’intelligenza artificiale avrebbe avuto sul mondo del lavoro e riscontrava una diffusa paura di vedersi sostituire dalle macchine. Quasi 40 anni dopo, i primi effetti dell’automazione e della trasformazione digitale possono essere osservati, e l’apprensione generale persiste.

Secondo Darrell West, direttore e fondatore del Center for Technology Innovation presso la Brookings Institution, ci si prospetterebbero due scenari a fronte delle sfide dell’automazione: uno è quello distopico in cui dilaga la disoccupazione, la povertà e la disuguaglianza di reddito; l’altro è quello utopico in cui la tecnologia ricondiziona il lavoro esistente in turni più brevi liberando tempo alle persone da dedicare per perseguire i loro interessi, per svolgere attività socialmente utili, e per dedicarsi alla genitorialità.

Tra questi due estremi c’è la realtà attuale, né utopica né distopica, in cui le nuove tecnologie stanno cambiando il mondo del lavoro portando innovazione indiscriminatamente in tutti i settori: Cloud computing, Industrial Internet of Things, Artificial Intelligence, Data Analytics e Big Data rappresentano i pilastri delle tecnologie abilitanti quella che è stata definita la quarta rivoluzione industriale (o Industria 4.0).

L’innovazione tecnologica viene da molti accusata di essere responsabile della distruzione di posti di lavoro. Eppure, la storia dell’umanità è stata attraversata da millenni di progresso tecnologico, dalle prime tecnologie agricole alle macchine della rivoluzione industriale fino agli attuali robot, risultando in un miglioramento delle nostre condizioni di vita. E il numero totale di posti di lavoro, al netto delle periodiche crisi economiche, è sempre andato aumentando. Anche guardando al futuro, secondo lo studio “Robo Sapiens: future of work primer” realizzato da un pool di analisti della Bank of America, è di oltre 12 milioni il saldo positivo di nuovi posti lavoro creati dalla tecnologia entro il 2025.

Questo perché i miglioramenti di produttività ottenuti tramite innovazione tecnologica, anche se richiedono l’utilizzo di meno personale come conseguenza dell’automazione, si traducono contemporaneamente in altre tipologie di investimento: in maggior ricerca e sviluppo, in miglior comunicazione, pubblicità, distribuzione, qualità del servizio al cliente e così via, trasferendo risorse ad altri settori produttivi (ricerca, servizi professionali, trasporti e logistica, software, design etc.) e generando anche in tali settori nuovi posti di lavoro.

Come afferma Joel Mokyr, uno dei massimi studiosi di storia economica globale, “la tecnologia è il motore della crescita economica moderna”.

Questo non vuol dire accettare passivamente la trasformazione tecnologica perché un problema fondamentale rimane ovvero che non tutti nel mercato del lavoro beneficiano allo stesso modo della trasformazione tecnologica. Se è vero che entro il 2025 è prevista la creazione di 97 milioni di nuovi posti di lavoro, nello stesso arco temporale, 85 milioni di posti di lavoro “obsoleti” saranno cancellati dall’automazione. E la disoccupazione non sarà equamente distribuita: la perdita di posti di lavoro graverà soprattutto sui lavori a basso e medio salario, meno qualificati e con compiti routinari e le aziende meno innovative, principalmente nei settori dei servizi di ristorazione, della vendita al dettaglio, della manodopera, del tempo libero e dell’ospitalità.

Dunque, anche se in totale aumenterà l’occupazione, le sfide associate al progresso tecnologico e ai suoi effetti sul mondo del lavoro riguardano per lo più le modalità per arginare le disuguaglianze e le disparità dagli effetti del cambiamento.

Numerosi studi mostrano come l’istruzione sia l’unico fattore in grado di attutire l’effetto dei cambiamenti produttivi e tecnologici sui lavoratori: impiegati con più elevati livelli di istruzioni si trovano meno indifesi di fronte alle innovazioni tecnologiche: riescono ad adattarsi più facilmente ai cambiamenti tecnologici ed in genere occupano un ruolo di rilievo all’interno delle aziende con compiti di presa di decisione e supervisione difficilmente automatizzabili (almeno per ora). Occorrono politiche di formazione e reskilling della forza lavoro ed uno sforzo costante di ciascun Paese per accompagnare i lavoratori attraverso le fasi di transizione in modo da diffondere le competenze necessarie ad utilizzare in modo appropriato le nuove tecnologie ma anche a contribuire alle innovazioni organizzative che le stesse necessitano così da attenuare disagi e disuguaglianze.

L’obiettivo è formare una nuova generazione di lavoratori ed imprese, in cui i confini tra ciò che è tecnologico e ciò che è umano tenderanno ad assottigliarsi sempre di più all’interno di una collaborazione virtuosa di intelligenze complementari. In questo tipo di aziende i vantaggi distintamente umani, tra cui creare una visione, compiere scelte, risolvere problemi in modo creativo e costruire relazioni autentiche con i suoi simili, cresceranno sempre più d’importanza mentre l’automazione eliminerà tutto il lavoro di routine che non necessita della nostra intelligenza.

Il futuro del lavoro si fonderà su una costante sinergia uomo-macchina in cui è compito dell’uomo sfruttare il massimo del potenziale delle nuove tecnologie, la produttività inarrestabile delle macchine, la loro impareggiabile velocità, forza e precisione, a beneficio del sistema industriale e della società nel suo complesso.

In sintesi, la trasformazione tecnologica non è niente di nuovo e la paura che le macchine ci stiano rubando il lavoro non è giustificati dai dati. Tuttavia, ci troviamo in un momento storico in cui la rapidità di sviluppo ed adozione delle nuove tecnologie (a cui ha contribuito anche la pandemia di Covid-19) rischia di produrre una profonda destabilizzazione delle economie e ciò dipenderà dal fatto che, con l’aumentare della potenza delle tecnologie, le imprese avranno sempre meno bisogno di vaste categorie di lavoratori. Le trasformazioni tecnologiche in atto rischiano di lasciare indietro un grande numero di persone ma possiamo imparare a governarle e reindirizzarle in modo che funzionino per le persone e non contro di loro. Solo così possiamo vincere la paura del futuro e della tecnologia, senza bloccare i processi di innovazione fondamentali per la crescita economica.

Fonti:

- Bank of America Report (2021). Robo Sapiens: Future of Work Primer. Thematic Investing. BofA Global Research.

- Hunnicutt, B. (2020). The Age of Experiences: Harnessing Happiness to Build a New Economy. Temple University Press.

- Nilsson, N. J. (1984). Artificial Intelligence, Employment, and Income. AI Magazine, 5(2), 5.

- PwC (2018). Will robots really steal our jobs? An international analysis of the potential long term impact of automation.

- Rodriguez-Bustelo, C., Batista-Foguet, J. M., & Serlavós, R. (2020). Debating the Future of Work: The Perception and Reaction of the Spanish Workforce to Digitization and Automation Technologies. Frontiers in psychology, 11, 1965.

- Spencer, D. A. (2018). Fear and hope in an age of mass automation: debating the future of work. New Technol. Work Employm. 33

- World Economic Forum (2016). The Future of Jobs Employment, Skills and Workforce Strategy for the Fourth Industrial Revolution.

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