Università Privata ed Università Statale, tanto diverse, tanto uguali

Alberto Ziveri
Alberto Ziveri
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6 min readDec 5, 2018

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Sono forse uno dei pochi fortunati/sfortunati che, per motivi di forza maggiore e anche dipendenti dalla mia volontà, è passato da una entusiasmante triennale in una prestigiosa Università privata di Milano, ad una poco frequentata e demotivante biennale magistrale di Parma. Mi sono laureato, alla pari, in 5 anni, ma passando per due istituti ben diversi. Sono “fortunato” perché ho potuto vederne e analizzarne le differenze. Premetto che l’obiettivo di questo articolo in realtà è arrivare ad una critica al sistema universitario e di come questo non sappia più insegnare nulla. Dato che però non sono un blogger professionista, vorrei approfittarne per parlare anche delle differenze che ho riscontrato in seguito alla mia esperienza, e di una convinzione molto semplice:

Con davvero pochissimo sforzo, una Statale potrebbe arrivare al livello di una prestigiosa Università privata.

Ho potuto scoprire che, in fondo, non sono gli investimenti delle due entità a fare la differenza. Non è la retta di oltre 9000 euro di differenza. Non è il banco pulito. Nono, non sono i pluripremiati, pluripubblicati professori. Non è l’edificio nuovo con l’alluminio appena lucidato. Certo queste cose aiutano, aiuta il “network” a trovare lavoro, ma forse il problema è proprio questo, che oggi ci concentriamo sul “network” e pensiamo che sia fondamentale, ma in realtà dovremmo ricevere molto di più che il network e la possibilità di trovare lavoro. Dovremmo concentrarci sul metodo, che ha perso e le notizie lo confermano: “fuga” dalle Università e alti tassi di cambi di facoltà.

Le differenze vere, quelle concrete, stanno nella qualità dell’Università: le persone, l’organizzazione, gli studenti. Le differenze stanno in quella costante mezz’ora di ritardo dei prof agli esami (Diritto Tributario, UNIPR, ADA), stanno in quella costante arroganza delle segretarie, giustificata perché qualcuno sopra di loro non è capace di organizzare meglio il lavoro amministrativo a costo zero. Stanno nel fatto che fai una pratica online, e poi ti richiedono di stamparla e portarla in segreteria (sì, è capitato, tante volte). Stanno nelle infinite teorie ripetute. Nei casi di studio basati solo su realtà in cui ci andrà a lavorare se va bene il 30% degli studenti (le multinazionali). Stanno nel fatto che la mattina della discussione della tesi finale lo stesso Prof relatore non è capace di fornire minimamente un’indicazione di orario. È l’esame ripetuto due volte, svolto alla stessa maniera, che prima ti recapita un 18, poi un 29. È il Prof che approfitta della cattedra solo per gli interessi di un’azienda o per favore per qualcuno, e fanno finta di niente (ma formalizzatela la partnership con l’eventuale azienda, che male c’è?). Sono gli studenti, demotivati da tutto questo e dal sistema attuale che “impone” il titolo quando molti di loro probabilmente sarebbero eccellenti lavoratori, e invece si ritrovano spesso a 25–27 anni, laureati e senza aspirazioni, perché “il sistema consiglia di farla, questa università”. E c’è ovviamente sempre questo “sistema” alla base, che coinvolge inevitabilmente anche difetti dell’Università Privata. Credetemi, ed i miei coetanei della specialistica privata possono confermare: la magistrale è una trovata di business e pubblicitaria, che ripete con parole diverse e delle virgole in più quanto è stato fatto nella triennale. E così giovani brillanti passano due anni interi tra uno stage e nozioni stra-ripetute. Ma voi ditemi, se l’organizzazione e la logica degli insegnamenti non hanno credibilità e vengono messe in dubbio, come può l’Università mantenere quell’autorevolezza fondamentale per entusiasmare gli studenti, spingerli a crescere ed a crederci?! Sono giunto ad una conclusione.

Se un ragazzo/a vuole imparare, l’università non è certamente il posto migliore

Perché molti di noi studenti, ed il sistema stesso, non sappiamo in realtà che solo 10 anni fa era molto, molto diverso. Non lo dico io ma un campione casuale di coetanei di 15 anni più vecchi di me che ho intervistato nel corso degli anni. Ieri l’università era utile, c’era fermento, era davvero l’unico luogo, in alternativa ai libri che ti permetteva di imparare. Oggi esiste iTunes U, SafariBooks, iBooks, YouTube (e continuerei all’infinito)… è in questi luoghi che potenzialmente puoi trovare il sapere moderno ed anzi puoi approfondire sotto diversi punti di vista le nozioni che l’Università non riesce più a fornirti. E fidatevi, la qualità che oggi possiede internet non è certamente minore della lezione del Prof. X, della slide caricata su una piattaforma non aggiornata, del libro stampato 2 anni fa. Mentre le Università Private “forse” riescono ad accettare ed a mantenere il passo del sapere e della costante evoluzione della mentalità, la Statale sembra quasi rassegnata, sicuramente anche dal fatto che indubbiamente mancano le risorse per stare al passo coi tempi (ma non insisterei sul ripetere un problema che appare quotidianamente sui giornali).

Ogni giorno penso a quanto si potrebbe imparare di più da un sistema universitario diverso, che oggi invece è molto lento, estremamente ripetitivo nei suoi corsi e insegnamenti.

E veniamo alla mia proposta

Ma al di là delle risorse, l’università Statale, ed ammetto in parte anche quella privata, hanno perso la bussola del sapere, del passo coi tempi. Anzitutto si ragiona ancora in facoltà quando in realtà oggi le aziende cercano medici nel campo dirigenziale, piuttosto che ingegneri nel campo medico, o misti che nemmeno immaginiamo. L’università dovrebbe tornare al concetto di lezione, di corso, di nozione, abbandonare invece le idee di facoltà, di “esame” concepito come valutazione. Dovrebbe allontanarsi dallo studio ed avvicinarsi al lavoro in modo critico, creativo, cinico, pratico, all’avanguardia. Mi sono visto ripetere in 5 esami diversi delle nozioni come sistema monistico. L’università è diventata estremamente noiosa e ripetitiva. Premetto che la mia esperienza vale in ambito economico/giuridico. Non saprei se una simile proposta potrebbe valere per una facoltà tecnica, medica o ingegneristica.

Specializzarsi significa differenziarsi in tante piccole nicchie, oppure studiare a fondo le stesse cose che studiano decine di migliaia di altri studenti?

E dunque la grande criticità che ho notato è la difficoltà dell’Università di creare specializzazioni. E ahimè, un corso specialistico è tutt’altro che specialistico quando in realtà migliaia di studenti si vedono ripetersi e studiare le stesse cose.

Le mie proposte, tanto per cominciare, sono tre.

  • MODULARIZZAZIONE CORSI: Le facoltà andrebbero riviste, creando “categorie” di studi, dove a parte quei 2–3 esami di base, gli altri sono tutti corsi opzionali. Questo darebbe innumerevoli vantaggi: ogni università indirizzerebbe i propri corsi nelle specializzazioni del corpo docente, creando “poli” unici, ogni studente studierebbe i micro-argomenti che davvero si vuole studiare. Definisco questo sistema “modulare”. Più moduli, meno facoltà. Più reali specializzazioni, meno specializzazioni fittizie. Questo svilupperebbe passioni, stimolerebbe i docenti, creerebbe più unicum negli studenti.
  • PRATICA: Esperienze, esperienze, esperienze. Quante volte sento ripetere, anche nelle facoltà economiche, che l’esperienza ed il lavoro superano di molto la necessità di teoria. Occorre creare progetti di simulazione d’impresa, o insistere su stage o qualsiasi tipo di esperienza che permetta di applicare la teoria. Diamo degli incentivi alle aziende che ospitano corsi. Ma è solo una delle mille idee che potremmo avere per aumentare il numero di prove pratiche, e ridurre all’osso la teoria. La teoria si studia quando si pratica, diventa molto più efficace.
  • ORGANIZZAZIONE A COSTO 0: Non è possibile che esistano pratiche cartacee, non è possibile avere siti web confusionali o molteplici luoghi dove trovare il materiale didattico. Occorre ordine, e questo può essere raggiunto a costo 0: basta un dirigente per università con un minimo livello informatico. Se avessi tempo, e l’università di Parma mi incaricasse, avrei già i tool e gli strumenti per stravolgerne l’organizzazione, basterebbe una settimana. Cancellerei anzitutto circa una quarantina di pagine del sito web universitario, baserei tutto su un comodo sito Wordpress/Drupal o piattaforme Open Source (anzi, sono già su queste piattaforme, ma mal organizzate). Eliminerei ogni pratica cartacea in quanto ogni università possiede già i tool giusti per farlo (un’agenda online), ma non la sfruttano a dovere (non si fidano o chissà per quale motivo!).

Non sto qui a dilungarmi. Molte tesi qui sopra sono sicuramente discutibili, questo non è certo un manifesto per un nuovo movimento universitario. Non sarà il mio lavoro rivoluzionare il settore universitario, e dunque spero che quest’articolo venga colto come critica approfondita da parte di qualcuno che lavora nell’ambito universitario, e che nel suo piccolo o nel suo grande, possa fare qualcosa. Ricordiamoci che in fondo chi si applica a qualsiasi livello è bravo, ma l’obiettivo finale di un Università deve essere sfornare più eccellenze possibili, più menti creative, geniali, e farli valere per davvero. I 110 e Lode ci saranno sempre, ma ce ne devono essere di più. L’Università deve creare fermento anche in quegli studenti demotivati, dev’essere un organizzazione d’ispirazione e all’avanguardia.

Ma i fatti sono chiari, è sufficiente vivere il sistema universitario per intuire: centinaia di studenti demotivati, non frequentanti, centinaia di studenti che sanno che stanno perdendo del tempo prezioso della loro vita perché il sistema non propone alternative.

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Alberto Ziveri
Alberto Ziveri

Running operacampi.com , designing HR solutions for Studio Ziveri ( www.studioziveri.it ) and designing AI with Divisible Odd ( www.divisibleodd.com )