A proposito di SPID e di ciò che serve realmente al Paese

Alfonso Fuggetta
Commenti & Riflessioni
8 min readJan 5, 2020

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In queste ore si fa un gran parlare di SPID e, in generale, dei problemi e dei ritardi in tema di servizi digitali pubblici e privati. Se ne sono dette molte e vorrei proporre alcuni pensieri per rispondere a dubbi e curiosità, e per spiegare il senso di molte discussioni che si sono svolte in rete nelle scorse ore. Sarò volutamente poco tecnico e a volte impreciso per cercare di evitare complessità inutili e per condividere questi pensieri anche con non addetti ai lavori.

SPID serve?

Nell’interazione con i sistemi digitali delle diverse amministrazioni pubbliche del paese, centrali e periferiche, tre sono le principali esigenze da tenere presente:

  1. Fornire un meccanismo che identifichi in modo certo l’interlocutore. Ciò è necessario per garantire che un servizio di una amministrazione pubblica sia erogato correttamente.
  2. Semplificare la vita del cittadino che non deve avere un meccanismo di identificazione (username e password) diverso in funzione dell’interlocutore con il quale interagisce (ministeri, comuni, INPS, …).
  3. Garantire livelli di sicurezza adeguati, visto che accedendo a servizi delle amministrazioni pubbliche è possibile ottenere informazioni e espletare attività particolarmente sensibili (si pensi in particolare ai servizi della Sanità).

SPID è stato pensato per offrire uno strumento che risponde a queste esigenze. In realtà, dal punto di vista tecnico, la situazione è più complessa, ma mi permetto di fermarmi qui per semplificare la lettura anche da parte di non addetti ai lavori, scusandomi con chi troverà la mia presentazione imprecisa e superficiale.

Da questo punto di vista, quindi, SPID serve.

Le soluzioni tecniche sono quelle più adeguate?

In rete ci sono moltissime discussioni su quali debbano essere le soluzioni tecniche migliori per gestire l’identificazione digitale di una persona. In particolare, è ovvio che uno dei principali temi è la scelta tra architetture centralizzate e altre distribuite/federate. SPID è nato per garantire la circolarità delle credenziali digitali offerte da una molteplicità di operatori e quindi con una visione intrinsecamente federata.

In generale, l’evoluzione tecnologica non ha mai fine e ha poco senso dire che una certa soluzione è “definitiva”: qualunque soluzione deve evolvere per tenere conto di nuove sfide, nuovi bisogni, innovazioni del settore. Quindi, per certi versi, questa discussione è quella che meno mi appassiona. Sono state fatte delle scelte che certamente, come in qualunque altro campo, dovranno essere riconsiderate alla luce dell’evoluzione tecnologica. Peraltro, questo aspetto è quello che meno risulta visibile al cittadino. Ovviamente, al cittadino interessa avere la garanzia che le proprie informazioni ed attività saranno gestite nel massimo della riservatezza, indipendentemente dalle scelte tecnologiche che l’operatore vorrà mettere in campo. È una discussione da addetti ai lavori che ha senso, almeno per lo scopo di queste note, mettere in secondo piano.

Peraltro, è importante osservare che SPID non è confrontabile con meccanismi quali quelli offerti da Facebook o Twitter. Nel caso di SPID, le credenziali sono fornite a fronte di un riconoscimento certo dell’identità della persona, mentre per Facebook e Twitter ciò non avviene. Quindi sono meccanismi diversi che rispondono ad esigenze differenti.

Da ricordare anche che SPID è coerente e armonizzato con il regolamento europeo eIDAS e quindi costituisce uno strumento di identificazione la cui valenza travalica i confini del nostro paese (come l’amico Andrea Servida può con grande competenza spiegare molto meglio di me).

SPID pubblico o privato?

SPID è stato pensato come un sistema federato. Quindi molteplici soggetti sono in grado di offrire credenziali digitali ed esiste un meccanismo (circolarità) che fa sì che qualunque sia il fornitore delle identità digitale (Identity Provider), esse siano riconosciute ed accettate da tutti i soggetti che aderiscono al circuito.

In questo contesto, al momento del lancio di SPID si decise che gli investimenti per il sviluppo e la gestione fossero a carico di 9 operatori selezionati, che potevano conseguentemente ribaltare i propri costi sui cittadini “vendendo” SPID ed altri servizi ad esso collegati.

Nota del 6 Gennaio: Paolo Coppola (ai tempi parlamentare che seguì il lancio di SPID) mi fa notare che il processo di scelta degli operatori è stato il seguente: furono pubblicati dei requisiti e furono accettati tutti gli operatori che li soddisfacevano. Nulla cambia nel resto del ragionamento. Peraltro, mi sovviene che ai tempi ci furono ricorsi e reclami per come la procedura fu gestita. Qui un articolo sul tema. Grazie a Paolo Coppola per la precisazione.

In realtà, se per motivi di sicurezza e resilienza ha senso ipotizzare che ci siano diversi operatori che offrano “in competizione” i servizi di SPID, da un punto di vista della sostenibilità economica e della diffusione ha senso che esso sia offerto come servizio pubblico universale. In questo senso, l’idea di “riportare in casa” nel pubblico SPID è ragionevole. Ciò non vuol dire necessariamente non avvalersi dei fornitori privati per la gestione operativa di SPID, quanto vederli come prestatori di servizi per il pubblico e non come operatori commerciali che sul mercato sviluppano in modo autonomo un proprio business model basato su SPID. Ovviamente, questo comporta un aggravio economico per le casse dello Stato che deve prendere in carico i costi di esercizio del servizio che erano precedentemente sostenuti dagli operatori privati.

SPID per tutto?

Uno dei grandi temi del dibattito di queste ore concerne l’ambito di adozione di SPID. I temi della discussione possono essere così riassunti:

  • SPID è uno strumento solo per il pubblico o anche per i servizi privati?
  • L’utilizzo di SPID è obbligatorio o facoltativo?

La risposta a queste domande è a mio parere la seguente:

SPID deve essere utilizzato obbligatoriamente dalle amministrazioni pubbliche come strumento di accesso ai servizi digitali pubblici.

SPID può essere utilizzato da operatori privati per fornire un meccanismo di identificazione ai clienti che lo ritenessero conveniente.

Imporre SPID come meccanismo di identificazione anche per i servizi privati è sbagliato per una molteplicità di motivi. In alcuni casi potrebbe essere inutile ed eccessivamente complesso o “pesante”. In altri, possono esistere strumenti alternativi offerti da privati in competizione tra loro che offrono vantaggi ritenuti convenienti dal consumatore che deve essere quindi libero di scegliere. In altri ancora è giusto tutelare l’anonimato a garanzia di libertà personali e quindi prevedere meccanismi molto meno stringenti.

È SPID il problema principale da affrontare?

In realtà, attribuire a SPID proprietà taumaturgiche come è stato fatto in questi anni è profondamente sbagliato. Non sarà SPID a risolvere i problemi di digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche e del paese nel suo complesso.

SPID semplifica e garantisce il processo di accesso ai servizi, ma non li rende automaticamente più sofisticati o più utili.

Il vero tema che dobbiamo affrontare, quanto meno nel pubblico, è mettere in campo quelle azioni che cambino in modo radicale qualità e senso dei servizi offerti ai cittadini.

Spesso noi stiamo “digitalizzando” servizi vecchi che non sono per niente “utili” al cittadino. Perchè devo come cittadino richiedere un certificato ad una ammnistrazione e poi consegnarlo ad un’altra o ad un privato? Perché questi soggetti (magari con mia autorizzazione) non si parlano direttamente? Perché la direttiva Bassanini di venti anni fa è sistematicamente ignorata? Essa prevede che una amministrazione non possa chiedere ad un cittadino una informazione che è già in possesso di altre strutture pubbliche. Ha senso digitalizzare procedimenti che sono intrinsecamente sbagliati e che addirittura eludono leggi stesse dello Stato?

Invochiamo sistematicamente le “collaborazioni pubblico-privato”: perché non hanno luogo? Perché facciamo fatica ad avere servizi integrati e efficienti? Forse perché non siamo in grado di “identificarci”?

No.

I temi da affrontare sono altri (li accenno per sommi capi):

  • Ripensamento delle leggi, delle norme, dei processi e delle strutture organizzative delle amministrazioni.
  • Integrazione e razionalizzazione delle basi di dati delle diverse amministrazioni. Quanti dati replicati e incongruenti abbiamo in giro per il paese!
  • Strumenti per l’interoperabilità, cioè dialogo diretto tra sistemi informatici di strutture pubbliche e private (integrazione dei back-end).
  • Consolidamento degli applicativi e razionalizzazione della spesa che liberi risorse per nuovi servizi utili al cittadino.
  • Ripensamento dei processi di procurement e di interazione del pubblico con il mercato.
  • Investimenti in competenze e nuovi modelli di valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche.
  • Promozione della cultura digitale e di un approccio consapevole al mondo di Internet.

Sono capitoli enormi che meriterebbero di essere affrontati singolarmente in modo estremamente dettagliato. In questa sede mi preme dire che su questi temi non stiamo lavorando o non stiamo lavorando come dovremmo. Ci siamo (quasi) sempre preoccupati di “cose che si vedono”: i portali, SPID, le app, le tessere più o meno digitali (ognuno si fa le sue), i sistemi di pagamento. Abbiamo ignorato i problemi più strutturali e profondi. Per molto tempo abbiamo continuato a pensare che i problemi del paese risiedessero nei “front-end”, cioè nei sistemi e nelle applicazioni (le app!) direttamente utilizzabili dagli utenti. Ci siamo fermati alla superficie, senza andare al cuore dei problemi.

In realtà, i problemi più critici del nostro paese risiedono nella inadeguatezza dei “back-end”, cioè in tutto ciò che citavo in precedenza e che concerne la struttura e organizzazione dei processi e dei sistemi informatici di supporto. È questo snodo che non permette di creare servizi più evoluti o, ancora più importante, eliminare ciò che spesso chiamiamo “servizi” e che sono solo adempimenti che l’amministrazione ribalta sui cittadini. Perché io cittadino devo “portare/spedire” documenti (anche via email) da una amministrazione ad un’altra? A che “mi serve”? Perché chiamiamo queste cose “servizio”? “Servizio” per chi?

Questi temi furono con grande competenza delineati dal Prof. Alessandro Osnaghi (allora direttore del Centro Tecnico) alla fine degli anni ‘90. Nel piano triennale varato da Diego Piacentini, questo tema era stato ripreso, rivisto, rilanciato e discusso con precisione. Era stato definito un modello a più livelli che vedeva nello sviluppo del modello di interoperabilità e degli ecosistemi verticali gli snodi essenziali per imprimere un deciso cambio di passo nel processo di digitalizzazione e innovazione del paese. Ma su questi temi continuiamo ad essere fermi. Perché?

Perché parliamo sempre di SPID e non di altro?

All’ultimo convegno degli osservatori del Politecnico su Agenda Digitale dicevo che nel nostro paese da anni stiamo parlando solo di alcuni progetti che furono identificati e impostati da Francesco Caio nel 2013 e poi rilanciati da Diego Piacentini alcuni anni dopo: SPID (per l’appunto), ANPR, fatturazione elettronica e sistemi di pagamento. Giusti o sbagliati che fossero, parliamo sempre e solo di queste cose.

Perché?

Perché Caio e Piacentini seppero darsi delle priorità e mettere in campo azioni atte ad “eseguire” conseguentemente tutto ciò che era necessario per perseguirle. Oggi troppo spesso non si ha visione strategica, non si sa scegliere, o si sceglie ciò che è più comodo da portare avanti per ignoranza o per quieto vivere. E soprattutto non si sa eseguire (l’execution!).

Dire alle amministrazioni di usare SPID non cambia di molto la loro vita: i sistemi informatici devono essere adeguati, ma nella sostanza quelli rimangono. Al contrario, ripensare la struttura e organizzazione delle basi di dati e dei back-end sconvolge processi, modelli organizzativi e anche catene di fornitura. Non è un caso che ANPR (che consolida 8.000 anagrafi in un unico archivio) abbia richiesto così tanto tempo e sforzi così ingenti per essere condotto in porto (ci siamo quasi …).

Il tema di fondo, quindi, non è affidare a SPID proprietà salvifiche che non ha mai avuto e che mai avrà, quanto avere il coraggio, la lungimiranza, la perseveranza e la capacità di affrontare una volta per tutte i problemi di fondo che bloccano l’innovazione nelle nostre amministrazioni.

Non è un tema di parte. Non è qualcosa che deve caratterizzare la battaglia politica e partitica. Deve essere un impegno pluriennale (decennale) bipartisan che faccia convergere tutte le competenze ed energie del paese per incidere realmente e in profondità sulla macchina dello stato, sulla cultura degli amministratori e dei dipendenti pubblici, sui processi di procurement e di interazione con il mercato, sui fornitori e gli operatori del settore.

È un cambiamento profondo e difficilissimo da attuare. Su questo dobbiamo impegnarci. Su questo si misura la volontà di servire il paese e di promuoverne seriamente e realmente lo sviluppo e la crescita.

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Alfonso Fuggetta
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Insegno Informatica al Politecnico di Milano e lavoro al Cefriel. Condivido su queste pagine idee e opinioni personali.