Gli investimenti esteri servono, eccome
A proposito di Intel, Microsoft, Google e il Bel Paese
Qualche settimana fa è stato confermato che Intel ha rinunciato ad un investimento miliardario per creare una sua fabbrica in Italia. Per molti mesi si era sperato che questo progetto si concretizzasse, ma alla fine la multinazionale ha abbandonato l’idea e ha preferito investire in altri paesi europei.
Ogni qual volta che se ne è parlato, sia a livello politico che di opinione pubblica, alle poche voci che ritenevano quell’investimento importante se ne contrapponevano altre che, con argomenti grezzi, superficiali e realmente stupidi, si scagliavano contro l’investimento dei “capitalisti”, per di più associati a quelle tecnologie che “distruggono il lavoro” o ci avvelenano la vita (l’automazione, i social network, “l’intelligenza artificiale”,…). Oppure, novelli esperti di semiconduttori da cortile di cascina spiegavano che alla fine quell’impianto non era così importante perché copriva solo una fase del processo di produzione (il packaging) ritenuto da questi Gordon Moore de’ noialtri non sufficientemente all’altezza dei loro fini palati. Ancora peggio, a questo chiacchiericcio da ignoranti retrogradi si è sovrapposto un assordante silenzio di chi avrebbe dovuto per primo spingere affinché quell’investimento venisse fatto e che invece si è perso nelle dispute di campanile (“qui da me!, no qui da me!, …”) e nell’incapacità di gestire un serio tavolo negoziale. Morale, l’abbiamo perso e pochi se ne sono doluti mentre altri han fin esultato per la sconfitta del “temerario invasor turboliberista”.
Ieri leggevo un piccolo trafiletto de Il Sole 24 Ore che annunciava due investimenti miliardari: Microsoft in Germania e Google a Parigi. E mi sono cadute le braccia: si parla sempre delle aziende che delocalizzano verso paesi a basso costo del lavoro, si denuncia il turboliberismo e la globalizzazione che ci “rubano le aziende e il lavoro”, ma si fa finta di non vedere che i problemi sono altri e che quelle sono solo scuse pietose che confermano alla grande uno dei detti dei nostri vecchi: “il medico pietoso fa la piaga verminosa” o anche “la madre pietosa fa i gattini morti”.
Provo a spiegare perché.
Perché questi investimenti sono importanti? Perché il fatto che l’Italia non venga scelta è una sconfitta gravissima per il Paese, non solo e non tanto per quelle migliaia di posti di lavoro mancati, ma per il significato complessivo di queste scelte (o non scelte)?
- Sono posti di lavoro ad altissima professionalità. In un paese che si lamenta per la disoccupazione dei giovani e dei bassi salari sarebbero stati un segnale forte in controtendenza.
- La non scelta certifica la scarsa attrattività del nostro Paese e dice ad altri che volessero pensare di investire “lasciate perdere, tempo perso”.
- Insediamenti così innovativi creano un indotto di servizi e commercio che alimenta i territori.
- Ma soprattutto, creano un tessuto di competenze e professionalità che fa crescere il Paese e non solo quella specifica impresa.
Vorrei soffermarmi su questo ultimo punto ricordando Olivetti.
Parlando dell’Olivetti tipicamente ricordiamo il fondatore e la sua straordinaria visione industriale e sociale; oppure ricordiamo alcuni prodotti iconici come le macchine da scrivere, la Divisumma 14, l’Elea 9003 e la Programma 101 o l’M24 (che emozione quando lo usai per la prima volta!). Ma pochi si soffermano su un altro punto essenziale: Olivetti fu una scuola e fucina di management e manager.
Quando una azienda si occupa di materie così avanzate in un mercato internazionale, le sue persone devono necessariamente crescere e affrontare sfide particolarmente complesse e critiche. Nel corso degli anni, si sviluppa una cultura dell’innovazione che permea l’impresa e tutte le persone che vi lavorano. Queste prima o poi lasciano l’azienda ed entrano in altre realtà o fondano proprie imprese. In questo modo, quella cultura e quelle conoscenze si diffondono nel tessuto imprenditoriale e sociale di un territorio, lo fertilizzano, lo rendono più competitivo, lo fanno crescere. È uno spillover di know-how e professionalità.
È così per tutte queste grandi aziende: non sono solo posti di lavoro in sé o indotto di servizi, ma anche e soprattutto realtà che attraggono e sviluppano conoscenze, professionalità, managerialità. Non riuscire ad attrarre Intel o Microsoft o Google (così come perdere Olivetti) è una colossale occasione perduta per fecondare il nostro tessuto economico con quel lievito e quei semi che possono fiorire e creare nuova ricchezza e occasioni di sviluppo. Chi gioisce o rimane indifferente di fronte a queste notizie o è un ignorante patentato oppure è un irresponsabile. Di certo non è un “patriota” o uno che ha veramente a cuore lo sviluppo del nostro Paese.