Informarsi e studiare non sono la stessa cosa

E le opinioni sono diverse dalle valutazioni scientifiche

Alfonso Fuggetta
Commenti & Riflessioni
3 min readApr 14, 2024

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Non passa giorno senza che politici, opinionisti, rapper o utenti di un qualche social network non contestino il lavoro della scienza, oppure sviliscano il senso dello studiare, mettendo sullo stesso piano un’opinione con il risultato di una attività scientifica e di studio.

Molti dicono che bisogna avere la mente “aperta ad altri punti di vista” e accettare “opinioni diverse da quelle mainstream”. Tanti dicono che sanno di che parlano perché si “sono informati”, magari guardando un video su YouTube o leggendo un post scritto da qualche influencer di turno. Queste sono posizioni ovviamente sbagliate e disastrosamente dannose e hanno almeno due origini. In primo luogo ci sono persone che utilizzano questi argomenti a fini di propaganda, sia per politica interna o internazionale, sia per scopi commerciali o di promozione personale. Ma ci sono anche tante persone che cadono in queste trappole comunicative perché confondono alcuni concetti chiave: informazione e studio, opinione e valutazione scientifica.

Studiare è diverso dall’informarsi. Informarsi vuol dire acquisire una qualche informazione (per l’appunto) di carattere generico su un fatto o un fenomeno. Studiare (e fare ricerca) è un processo molto diverso. Richiede la capacità di approfondire le tematiche, validare la qualità di una scoperta o invenzione, trovare le contraddizioni ed analogie tra diversi principi e nozioni, capirne le cause e le possibili implicazioni. Vuol dire anche saper collocare un fenomeno o fatto nel contesto storico, all’interno del processo di scoperta scientifica, e saper cogliere i trade-off tra vantaggi e svantaggi, pro e contro, di una certa proposizione. Studiare (e fare ricerca) vuol dire andare alla radice dei problemi e non fermarsi alla pura enunciazione di un’opinione o al commento di un fatto quotidiano.

Per questo opinioni e valutazioni scientifiche sono molto differenti e non possono essere poste sullo stesso piano. Così come non ha senso confutare osservazioni scientifiche con singoli episodi o con esperienze personali. Emblematico è il caso del cambiamento climatico per il quale basta che un giorno piova o faccia freddo per far dire all’opinionista di turno che alla fine non sta succedendo niente di strano e che madre Natura ha i suoi cicli e le sue stagionalità. Così diviene drammaticamente inutile o comunque faticosissimo provare a spiegare che clima è diverso da meteo e che osservazioni fatte nell’arco di decenni e secoli ci stanno dicendo che effettivamente qualcosa sta accadendo.

Si dirà: “anche gli studiosi e la scienza sbagliano”. Certamente, è indubbio. Non è vero che chi studia e fa ricerca non sbagli mai ed è possibile che prima o poi possa accadere un qualche fatto che falsifichi o vanifichi il lavoro di anni di lavoro, studio e ricerca. Ma il punto è quale sia la probabilità di errore: è più facile che sbagli chi si informa guardando il video di un influencer su YouTube (o facendo cut & paste di una frase di un articolo di cui ha capito poco niente) oppure chi approfondisce una tematica e la mette al vaglio della comunità scientifica secondo processi certamente più rigorosi e seri di quelli usati in un talk-show? Possibile che ormai sia divenuto malcostume quotidiano deridere e insultare chi fa affermazioni che non ci piacciono dicendo che è servo di Big Pharma o degli interessi dei turbo-capitalisti di turno?

Questo è uno dei principali temi che dobbiamo affrontare. È alla radice di molti problemi che viviamo tutti i giorni e che stanno inquinando il dibattito politico e sociale del Paese (e della società occidentale in generale). O lo affrontiamo di petto oppure ne verremo schiacciati.

In questo senso, la responsabilità degli operatori del mondo dell’informazione è centrale. Cari amici giornalisti, rifuggete dalla spiegazione ad effetto, dal sensazionalismo o dall’opinione che genera superficiale curiosità e seguito puramente emotivo ed impulsivo. Certo è vitale divulgare e declinare nozioni e concetti complessi a vantaggio di chi non ha tutti gli strumenti per comprenderne i dettagli e questo implica certamente e necessariamente semplificare. Tuttavia, questa semplificazione si può attuare in modi diversi. Scegliamo quello serio, che costa ed è difficile da portare avanti, ma che è l’unico che serve al nostro Paese e a tutti noi cittadini.

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