Superbonus o ITS?

Quali strade decidiamo di percorrere e perché

Alfonso Fuggetta
Commenti & Riflessioni
6 min readMar 30, 2024

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Le cronache di questi giorni certificano il disastro che il superbonus ha causato al nostro Paese. Uno spreco di risorse pubbliche che ha dimensioni bibliche e che ha messo in ginocchio i conti del Paese. Potremmo discutere delle responsabilità delle legislature e dei governi, compreso quello dei migliori, che hanno prima introdotto e poi conservato questa misura folle. Tuttavia in questa sede vorrei discutere due altre questioni. La prima è ragionare con voi su come si dovrebbe valutare la bontà di una politica pubblica e, in generale, di una soluzione prospettata per risolvere un problema. La seconda è quella relativa alle priorità di questo Paese.

Quando una soluzione è buona?

Nel mio ultimo lavoro, Alla ricerca del buon management, uno dei capitoli discute della qualità di una soluzione. In particolare, in un passaggio che qui di seguito menziono in alcune sue parti, cerco di illustrare perché e quando una soluzione non funziona.

Quando una soluzione non funziona? Diverse sono le casistiche:

  1. Soluzioni che non funzionano tout court. È il caso in cui una soluzione semplicemente non funziona, non risolve il problema, non produce gli effetti attesi. Specialmente se si fa innovazione, riconoscere che una soluzione non funziona non è segno di sconfitta, ma di maturità: si prende atto che quel tentativo non ha dato i risultati sperati. Come diceva un detto dei nostri vecchi, “sbagliando si impara”. Riconoscere un fallimento deve servire per imparare, andare avanti e cercare nuove soluzioni migliori.
  2. Soluzioni con rapporto costo-prestazioni troppo alto. Capita che una soluzione produca un effetto positivo, ma il rapporto costo-prestazione è troppo alto: si spende troppo rispetto al valore di ciò che si ottiene. Specialmente nel caso delle politiche pubbliche, mi capita spesso di vedere soluzioni (strutture che sono state create, piani di investimento, norme relative all’innovazione…) che a fronte di ingenti investimenti hanno partorito il famoso “topolino”. Troppo spesso non si misura e valuta l’impatto e quando anche in un modo o nell’altro lo si fa, a fronte di esiti deludenti, invece di riconoscere il fallimento o la pochezza del risultato al confronto delle risorse investite, si continua a spendere perché “in Italia tutto si crea e nulla si distrugge” e, soprattutto, perché non si ha il coraggio di riconoscere che una iniziativa ha fallito. Il costo politico e la perdita di consenso conseguenti sono considerati inaccettabili.
  3. Soluzioni nuove che nuove non sono. Per descrivere una soluzione prospettata, mi capita a volte di usare l’espressione “ciò che di questa soluzione funziona non è nuovo e ciò che è nuovo o non funziona o non serve”. È una situazione che fa il paio con quella descritta al punto successivo.
  4. Soluzioni che funzionano peggio di quelle tradizionali o già in uso. Capita non solo che una soluzione non abbia nulla di realmente innovativo, ma che funzioni peggio di quelle tradizionali. Non sono ahimè pochi i casi in cui, per nuovismo, si rincorra l’ultima novità che conquista fantasia e immaginario dei lettori o degli ascoltatori, senza effettuare alcuna analisi critica del reale valore della soluzione proposta rispetto a ciò che già esiste.
  5. Soluzioni in cerca di problemi da risolvere. Non mancano anche queste situazioni, nelle quali una “soluzione” in realtà non pare avere un problema da risolvere. È spesso il caso di innovazioni molto radicali per le quali si fa fatica a identificare le reali potenzialità applicative. Esse devono essere ovviamente esplorate, studiate, sperimentate e migliorate perché in questo modo si progredisce: esplorare il nuovo non è un’attività senza fatica, blocchi, momenti di frustrazione, fallimenti, ripartenze. Ma nel proporre soluzioni al pubblico o alla società civile bisogna riconoscere con onestà intellettuale quando certe “innovazioni” sono ancora solo promesse da esplorare e non ancora realtà da applicare.

Molte politiche pubbliche (e iniziative private …) ricadono in una di queste casistiche. Si mettono in campo anche se non funzionano o hanno un rapporto costo-prestazioni inaccettabile oppure sono solo immagine, comunicazione, acquisizione di facile consenso. Il superbonus è un misto di queste casistiche. C’è chi dice che ha spinto un settore dell’economia. Vero, ma a quale prezzo! Il rapporto costo-prestazioni è accettabile? Questo enorme investimento ha prodotto un effetto rapportabile alla quantità spropositata di risorse messe in campo? È stato un investimento equo e ha aiutato soprattutto le fasce più deboli? Ha promosso uno sviluppo strutturale del Paese?

NO.

E a chi dice che ha contribuito alla ripresa economica dopo la pandemia andrebbe fatto osservare che sarebbe stato il colmo se una spesa di oltre 100 miliardi non avesse avuto un qualche effetto positivo! Ma è stato quello il modo migliore di spendere quelle risorse e indebitare il Paese e i nostri figli?

Assolutamente NO.

Quali strade decidiamo di percorrere?

Il tema è quindi dove investiamo le risorse private e soprattutto pubbliche? Risorse così ingenti, per di più una tantum, dovrebbero essere spese per investimenti strutturali che producano effetti di medio-lungo periodo. O anche, per dare una spinta a quelle dimensioni del Paese che più hanno bisogno di un rilancio. Faccio alcuni esempi:

  1. Si poteva certamente spendere in edilizia, ma avrei considerato innanzi tutto l’edilizia scolastica e la manutenzione e recupero del patrimonio culturale e storico del Paese. Si sarebbe potuto anche intervenire per recuperare e ristrutturare le abitazioni delle fasce più deboli, con un intervento mirato per aiutare chi non ha le risorse per ammodernare e riqualificare la propria abitazione. Non è quello che si è fatto, come noto.
  2. Si poteva investire in infrastrutture come i sistemi ferroviari e autostradali. In parte lo si sta facendo, ma il confronto tra quanto costa il superbonus e quanto si spende per questi investimenti è imbarazzante.
  3. Se potevano usare le risorse (più risorse!) per dare una spinta efficace agli investimenti in ricerca e innovazione. Lo si sta facendo, ma con modelli e strumenti che non funzionano e che rischiano di lasciare solo nuovi problemi da risolvere (come spiegavo qui su Medium tempo fa).
  4. Si poteva investire (molto di più) per l’ambiente, il rischio idrogeologico, la riconversione energetica.
  5. Si poteva investire (molto di più) per le strutture sanitarie e assistenziali.

Potrei andare avanti, ma ci tengo a sottolineare un tema che ho discusso qualche giorno fa in un convegno e che mi riguarda più da vicino in quanto docente: gli ITS.

Gli ITS definiscono un percorso formativo a valle delle scuole medie superiori e “parallelo” (ancorché più breve) a quello universitario. Mirano a formare tecnici specializzati che sono molto richiesti dalle imprese. Mi diceva la preside di un ITS lombardo che fanno fatica a trattenere gli studenti fino alla fine del percorso (tipicamente biennale) ed evitare che vadano subito a lavorare senza completare i loro studi e conseguire il relativo titolo.

In Germania, gli studenti di questo tipo di percorsi sono quasi un milione contro le poche decine di migliaia del nostro Paese. Ci lamentiamo della mancanza di lavoro e del lavoro povero e non abbiamo trovato il coraggio o la lucidità di investire qualche miliardo (forse meno e, comunque, una frazione piccola rispetto al superbonus!) per creare e potenziare questi percorsi. Proclamiamo che la sfida del futuro sarà nello sviluppo delle competenze e di nuove tipologie di lavori e invece di investire su questi temi abbiamo sprecato enormi risorse per far ristrutturare la villetta in modo indiscriminato anche a chi i soldi per fare quei lavori li avrebbe avuti.

È sulla qualità di queste decisioni che un paese fallisce o si sviluppa, su queste scelte o non scelte. Ed è su queste tematiche che un cittadino dovrebbe votare, a destra come a sinistra, indipendentemente dalle proprie convinzioni ed idee politiche. Fino a quando i cittadini non riscopriranno il potere enorme del voto democratico e la sua capacità di decidere quel che la Politica farà o non farà, fino a quando non smetteremo di pensare solo ai piccoli interessi personali e non torneremo ad occuparci del Futuro, questo Paese non ripartirà e, anzi, continuerà il suo percorso di lento e ineluttabile declino.

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