Le custodi della Bio-Diversità

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Altromercato
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8 min readFeb 23, 2017

Testo e foto di Beatrice De Blasi

In una società in cui le donne si sposano e partoriscono quando sono ancora bambine, in cui è normale avere tre figli a soli sedici anni, nei gruppi indigeni affiliati a Chankuap, le bambine riescono a proseguire gli studi oltre la scuola primaria e le donne cambiano le loro prospettive attraverso progetti di empowerment femminile.

Jintiach Amado, della comunità Shuar di Tsentsakentsa, Ecuador.

In Amazzonia è appena iniziata la stagione secca e il sudore ricopre i corpi anche quando il sole si nasconde dietro le nuvole.
Da Macas, cittadina nella provincia di Morona Santiago nella regione sudorientale dell’Ecuador, dove ha sede “Fundación Chankuap — Recursos para el Futuro”, ho viaggiato con Gina Procel, giovane ingegnera agronoma della Fondazione, a bordo di un’avioneta a tre posti, unico mezzo di trasporto possibile per raggiungere Shuar e Aschuar, le comunità dei produttori di oli essenziali e di arachidi per Altromercato che vivono nella foresta. Dopo un’ora di volo a 200 nodi in direzione sud-est verso il confine con il Perù, e dopo aver superato l’impervia cordigliera del Kutukù, una distesa di verde compatto si è spalancata sotto i nostri occhi.

La foresta amazzonica è un habitat dalla flora intricatissima e impenetrabile.

Ci sono alberi mastodontici come il caoba dal pregiatissimo legname, insieme alla palma ungurahua usata per fare le canoe, il bambù di caña guadúa usato per la costruzione delle capanne e agli splendidi fiori vermigli dell’helicona. Si incontrano più specie di piante in un ettaro di foresta amazzonica che in tutto il continente europeo. In un unico ettaro si possono infatti trovare oltre 200 specie di alberi e sono state contate oltre 72 specie diverse di formiche su un solo albero.

Nei fiumi nuotano pesci di un numero di specie oltre 30 volte maggiore che in tutti i corsi d’acqua d’Europa. Qui sono di casa la tarantola, il tucano, il giaguaro, la scimmia, il caimano, l’anaconda, il delfino rosa, il piraña ed il pecari o sajino, una specie di cinghiale selvatico.

La prima regola che mi danno all’arrivo è quella di non infilare mai i piedi negli stivali di gomma senza essersi assicurati che non siano “abitati” e non bagnarsi mai nel fiume al calare della notte per via dei lagartos, letteralmente lucertole, ma qui sono i coccodrilli.

Fundación Chankuap, partner di Altromercato in Ecuador, opera all’interno delle provincie di Macuma, Taisha, Tuutinentsa e Huasaga, che ricoprono approssimativamente 696.000 ettari (6.960 km2) di foresta ed includono una popolazione di 13.078 abitanti.

Sono zone che presentano una elevatissima biodiversità, con un 87% di boschi tropicali primari e solamente un 13% attualmente utilizzato per coltivazioni e pastorizia.

Per le sue caratteristiche uniche di riserva biotica questo è l’habitat ideale per mettere alla prova le ipotesi economiche dello sviluppo partecipativo e sostenibile. Uno sviluppo che rende la conservazione e la protezione della diversità biologica e culturale una via attraente per le società che le possiedono, fornendo un ritorno economico.

È proprio questo il lavoro e l’impegno di Fondazione Chankuap che sono venuta a documentare fotograficamente: rendere le etnie Shuar ed Achuar attori diretti e consapevoli della valorizzazione del loro stesso patrimonio biologico e culturale, mettendo al centro la partecipazione delle donne, creando una fonte di reddito senza snaturare o danneggiare l’ambiente.

In una settimana, spostandoci in canoa e a piedi su terreni montagnosi e fangosi ho seguito, o forse meglio dire ho arrancato faticosamente appresso a Gina, l’ingegnera agronoma di Chankuap,

Ernesto, il tecnico agronomo che ci fa anche da interprete e due giovani guide Shuar, per le visite e incontri di formazione nei due centri Achuar di Saum e Kaiptach e in quello Shuar di Tsentsakentsa.

Alfredo Timias, coordinatore e maestro della comunità Achuar di Kaiptach, comunica via radio.

Le comunità sembrano luoghi senza tempo, abitate da poco meno di un centinaio di persone ciascuna. Nonostante l’aspetto tradizionale con le capanne di canna e i tetti di fibra intrecciata, tracce di modernità sono arrivate in avioneta fin qui: un generatore, pannelli solari per ogni capanna, una preziosissima piccola infermeria ed una postazione radio, unico e vitale ponte di comunicazioni tra le comunità sparse nella foresta e il mondo esterno. Le notizie viaggiano solo via radio, niente televisione e niente telefonini.
La mattina veniamo svegliati prima dell’alba da un coro di galli. Il fumo delle cucine sale dalle capanne. Mentre ci dirigiamo verso la capanna di Alfredo Timias, il maestro del villaggio, per una colazione a base di tisana di hierba Luisa e platano, le donne ridono divertite dai miei tentativi di saluto “Tsa-waá-ju-mek!”

Comunità Achuar di Kaiptach. Ogni abitazione ha il suo piccolo pannello solare.

L’economia delle comunità indigene Shuar e Achuar, anticamente temutissimi guerrieri, oggi si basa principalmente su attività di caccia e pesca e su un tipo di agricoltura non stanziale e di sussistenza con colture di platano, yucca, mais destinati all’autoconsumo e di arachidi destinate al commercio equo e solidale. La maggioranza degli abitanti non possiede un reddito fisso ed i salari dei maestri (gli unici ad averli) sono molto bassi.

Una mamma a caccia nella foresta con i figli.
Nina Vjukam

Nina Vjukam ha 21 anni, è la coordinatrice delle produttrici di arachidi della comunità Shuar che ci ha accolto a Tsentsakentsa, scherza, sorride sempre e fa progetti per il futuro.

Nina ci racconta che il fulcro della cultura tradizionale Shuar e Achuar è la famiglia estesa: un uomo, le sue mogli e i suoi figli, cui possono aggiungersi i genitori dei coniugi, i mariti delle figlie e i bambini orfani.
Fino a pochi anni fa si praticava la poligamia sororale. La divisione del lavoro è ancora oggi determinata dal sesso: le donne coltivano, preparano gli alimenti, accudiscono i figli e producono ceramiche e collanine in fibra e semi destinate al circuito del commercio equo e solidale; gli uomini cacciano e pescano, possono avere il ruolo di sciamani, producono oggetti di legno e cesti, tessono e costruiscono le case.
I rapporti economici si fondano sullo scambio reciproco; i prodotti delle attività orticole, proprie delle donne, costituiscono il principale mezzo di sussistenza.

In Ecuador il codice civile permetteva il matrimonio a un’età di dodici anni per le bambine e di quattordici per i bambini. Solo nel 2015 una riforma del codice ha finalmente dichiarato l’illegalità del matrimonio infantile e ha innalzato l’età minima a diciotto anni per entrambi i sessi.

A cena siamo ospiti di Clemencia Sandu, 41 anni e 9 figli, il più grande di 25 anni, avuti da due mariti diversi. Clemencia mescola il riso e il platano, che stanno cuocendo sul fuoco acceso sul pavimento di terra della sua capanna dal tetto di foglie, tende l’orecchio per sentire se il marito è di ritorno dalla caccia nella foresta e lavora disinvolta con una bimba attaccata al seno e un maschietto di 4 anni che le tira la gonna.

In Amazzonia i più piccoli sono sempre accanto alle madri. Le donne cucinano, lavorano nella loro chakra, lavano i panni, vanno a caccia e fanno festa con i bambini addosso, come se la fascia che li assicura ai loro corpi fosse un cordone ombelicale esterno.

La prima cosa che le donne mi portano a vedere nelle varie comunità è la scuola, costituita da un’ampia aula in legno con grandi finestre e circondata da una veranda su cui montiamo le nostre tende. Qui tutti, bambini e bambine, frequentano la scuola dai 6 ai 14 anni.

A scuola nella comunità Achuar.

Fino alla passata generazione le bambine non avevano accesso all’istruzione. A studiare erano solo i figli maschi e sussisteva un problema di violenza sulle bambine, che rischiavano di essere violentate mentre attraversano la foresta per raggiungere la scuola.

Dopo i 14 anni gli studi si possono poi proseguire a Macas, grazie a borse di studio di fondazione Chankuap. Clemencia dice con orgoglio: “Un tempo solo pochi maschi lasciavano la foresta per andare a studiare in città. Ora ci sono anche tante ragazze che decidono di non sposarsi e di continuare a studiare.”

Sono le donne ad aver innescato questo cambiamento.

Nei 21 anni di lavoro in Amazzonia, Fondazione Chankuap, dopo i primi difficili tentativi di fare formazione sui diritti delle donne che venivano boicottati dal consiglio degli anziani, ha preferito agire con prudenza in campo antropologico, con processi lenti di formazione e coscientizzazione che ora stanno producendo dei risultati concreti. Ha insegnato alle madri non solo a coltivare, ma anche ad imparare a contare, a gestire piccoli progetti di microcredito e a tenere un piccolo bilancio familiare.

La cultura indigena della regione è ancora piuttosto machista, ma finalmente le donne detengono il controllo del denaro guadagnato con la vendita nel circuito del commercio equo delle arachidi e degli oli essenziali, ottenuti da specie autoctone come l’Ocotea quixos, una sorta di “cannella amazzonica” e da specie introdotte molti secoli fa, ma ormai presenti nella tradizione etnobotanica delle popolazioni Shuar e Achuar, tra cui l’olio di zenzero, curcuma, hierba Luisa ed agrumi.

Il denaro guadagnato è stato reinvestito negli studi dei figli, bambine comprese.

Tutte le madri che ho incontrato hanno un unico sogno: che le figlie possano studiare e cambiare la loro vita come loro non hanno potuto fare. Le donne inoltre hanno aumentato la loro autostima, anche perché si sentono investite di un ruolo importantissimo: hanno un reddito, la possibilità di risparmiare e mandare i figli a scuola e sono “custodi della biodiversità”.

Wainiámi!”, ci gridano i bambini l’ultimo giorno quando stiamo per salire sull’avioneta. È una delle poche parole in Shuar che ho imparato. “Wainiámi!” rispondiamo io e Gina.

Mentre l’avioneta prende quota continuiamo a salutarci fino a quando li perdiamo di vista. Resta il ricordo della bellezza dei sogni delle donne che ho incontrato e di una natura incontaminata.

Poi al ritorno a Macas una radio diffonde una canzone nell’aria:

Mi hija debe tener una voz
Más fuerte y clara que la mía
Debe ser capaz de moverse
Con pasos certeros,
Acompañada de sus sueños.
El presente que le he dado
No es suficiente.
Sus brazos son diferentes,
Alcanzarán el cielo,
Allá donde la libertad vive

Mia figlia deve avere una voce
Più forte e chiara della mia
Deve essere in grado di muoversi
Con passi sicuri,
Accompagnata dai suoi sogni.
Il presente che le ho dato
Non è sufficiente.
Le sue braccia sono diverse,
Raggiungeranno il cielo
Dove vive la libertà.

Questo è un’estratto del dossier “Storie di donne per #unaltrovivere” frutto della collaborazione tra Altromercato e Amnesty International per la campagna “Insieme creiamo un altro vivere”.
Per saperne di più >

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