Una storia di reciproca accoglienza

Chino di Apicoop, produttore di miele in Cile

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Altromercato
4 min readJun 17, 2016

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«In più occasioni ci siamo trovati, come nazione, ad accogliere gente che proveniva da luoghi e situazioni diverse, ma non solo: noi stessi siamo stati i beneficiari della generosità di altre nazioni che ci hanno accolto nei momenti difficili.

Chino (Juan Eduardo Henriquez) di Apicoop Valdivia. Foto I.Favè

Nel 1850 assistemmo a un’ondata d’immigrazione di Tedeschi, invitati dal governo cileno a colonizzare il sud del Cile, la Selva Valdiviana, un territorio non dei più facili. La colonia di tedeschi riuscì ad affermarsi e a costituire una porzione di popolazione importante per il sud del Cile. Questo è solo un esempio, ma è utile per capire come il Cile si sia dimostrato aperto ad accogliere gli immigrati fin dal 1850 e in avanti. In seguito, si sono verificate altre ondate di immigrazione: oggi il Cile, per esempio, ospita la comunità palestinese più grande del mondo. Il fenomeno dell’immigrazione si è accentuato soprattutto negli ultimi dieci anni. Se si considera la situazione economica generale dell’America Latina, il Cile appare come la nazione più avvantaggiata, di conseguenza attrae un numero sempre maggiore di cittadini sudamericani — peruviani, colombiani, ecuadoregni — che vengono in Cile perché le condizioni economiche, politiche e sociali sono migliori di quelle dei nostri paesi fratelli.

La nostra tendenza e apertura ad accogliere chi ha bisogno è un impegno che ha radici storiche ben salde; ma si può anche considerare come una specie di risarcimento per tutti quelli che, dal 1973 in avanti, con la fine della democrazia e l’instaurazione della dittatura, furono costretti all’esilio. L’esilio è il peggior castigo che ci sia, perché comporta un livello di sradicamento molto alto. Alla fine, non riesci mai ad adattarti del tutto nel tuo nuovo paese, ti manca la tua terra, e i tuoi figli sono di un’altra nazionalità: ti disconnetti completamente.

I cileni che se ne sono dovuti andare sono stati ben accolti in Europa: la Svezia ha la colonia di cileni più grande nel mondo, e l’Australia ne ha una grande quantità. Noi partecipiamo in prima persona a questa dinamica di accogliere ed essere accolti: viviamo le migrazioni sia in una direzione sia nell’altra, andata e ritorno.

In Cile possiamo osservare inoltre un significativo fenomeno di migrazione interna, dalla campagna alla città. Gli abitanti della campagna si rendono conto che nelle zone rurali la viabilità è difficile e quello che guadagnano con i loro prodotti non basta sempre per sopravvivere. Io credo che, in maniera sbagliata, o troppo avventata, questo abbia portato a un ingigantimento dei quartieri poveri delle grandi città. Si pensi anche solo a Santiago, dove vivono otto milioni di abitanti dei sedici milioni totali del Cile. Io temo che questo abbia generato un invecchiamento della campagna cilena: i giovani oggi hanno altre ambizioni, non vogliono saperne di coltivare la terra, vengono attirati dalle luci della città.

Per quanto riguarda il ruolo del Commercio Equo e Solidale in questa dinamica di migrazione interna, il risultato del nostro lavoro con i piccoli produttori nel commercio del miele si traduce nel capitale investito nell’istruzione dei nostri figli. Oggi, questo è il nostro orgoglio più grande, tra tutti i nostri soci ci sono circa mille figli impegnati in ogni livello di istruzione. Alcuni sono diventati avvocati, altri studiano medicina, alcuni fanno i dentisti, altri i tecnici agricoli; uno dei nostri soci, per esempio, ha due gemelli ed entrambi studiano agronomia e sono compagni di corso di mia figlia. Stiamo crescendo una generazione di giovani professionisti, alcuni torneranno alla campagna, altri intraprenderanno un’altra carriera, tutti hanno nel loro bagaglio degli strumenti migliori di quelli che avevano i loro genitori, mantenendo però delle radici rurali molto salde.

Chino (Juan Eduardo Henriquez) di Apicoop Valdivia. Foto I.Favè

Ci stiamo impegnando per educare una generazione che avrà uno sguardo di insieme molto più ampio e, soprattutto, un’opportunità di scegliere, cosa che i loro genitori non hanno avuto. È un processo lungo, ma siamo sicuri che i nostri figli un giorno saranno in grado di lavorare il campo meglio dei loro genitori, perché hanno ricevuto l’istruzione e gli strumenti per migliorare.

Il nostro contributo allo sviluppo non sarebbe possibile se non avessimo soci come Altromercato e altre imprese di Commercio Equo e Solidale che capiscono e sostengono questo processo di ampio respiro. Lo stesso discorso vale anche per Altromercato e per le migliaia di volontari e di consumatori in tutto il mondo. Questo è un lavoro di educazione e come tale ci vogliono degli anni perché si ottengano dei risultati: armiamoci di pazienza e continuiamo a lavorare insieme, perché tutti insieme, come le api, ci possiamo salvare e aiutare

Dal dossier “Popolazioni in movimento per #UNALTROVIVERE” — Altromercato 2016

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