Homo Pollinans

Un relativismo percettivo

Ennio Martignago
Anima e Mente
6 min readJan 31, 2016

--

La nostra vita attraversa periodi differenti. Come in un film, ci sono panoramiche, primi piani, primissimi piani e piani “americani”: ognuno di loro viene usato in funzione della scena descritta. Nello stesso modo abbiamo momenti in cui siamo concentrati su chi siamo, che cosa dobbiamo divenire, se siamo mente, anima, corpo, spirito o altro, se vogliamo vivere o morire…; in altri siamo del tutto protesi all’altro, al nostro ruolo sia esso in una relazione di coppia, nell’esperienza romantica, nel ruolo di genitore e nell’amore per i figli, come pure verso l’azienda, la squadra…; in altri periodi, invece, l’unica ragione è il nostro senso nel mondo, nell’ecosistema, oppure rispetto alle finalità trascendenti, la religione, il divino, il paradiso e l’inferno. Potremmo dire che nessuno di questi piani (o, per dirla con un linguaggio tipico dei programmi di grafica digitale, layers, “livelli”, che per chi li usa rende bene l’idea) ha una ragion d’essere superiore alle altre: sono inquadrature differenti che assumono una loro specifica ragion d’essere in determinati momenti dell’esistenza. Il vero rischio si può verificare quando si usi un piano sbagliato per una situazione che ne richiederebbe un altro. Se, ad esempio, il nostro film sta affrontando un problema intimo, personale, “interiore”, “profondo”… e il cameraman usa una panoramica dall’elicottero percepiremmo che c’è qualcosa che non va. Si tratta di una tecnica che si usa nella meditazione, come pure nell’ipnosi o nella neurolinguistica per desensibilizzare persone che sono troppo “dentro” la loro situazione; tuttavia altre persone, la maggior parte a dir il vero, si sentirebbero incomprese e percepirebbero il proprio problema proiettato in una dimensione esistenziale cosmica finendo più angosciati di prima. In definitiva, a ogni tempo il proprio modo di vedere e sentire.

Homo Pollinans

Che cosa sarebbe il mondo senza esseri viventi? Per quello che ne sappiamo, siamo l’unico pianeta del sistema solare ad avere piante e animali, e quindi movimento e quella che siamo soliti intendere come “vita” animata. Tuttavia questo è possibile solo in quanto esistono esseri che in genere, per usare un eufemismo, sottovalutiamo: gli insetti. Una grande preoccupazione legata alla moria delle api che si sta verificando a seguito di pestilenze varie ed inquinamento, non dipende tanto dal disporre del miele o meno, ma dal ruolo che queste piccole operaie svolgono nell’impollinare il regno vegetale. Senza le api (non so dire quali altri insetti potrebbero vicariarle) probabilmente l’intera flora sarebbe a rischio di non riprodursi e quindi di scomparire e con essa la vita sul pianeta. Siamo soliti ricondurre problemi come questo al destino dell’umanità, ovvero al “mio”, colui che sta vivendo qui e ora. Tuttavia, anche se a parlare di “umanità” ci sembra di essere altruisti, questa è una prospettiva del tutto egoista. Al di fuori del proprio ruolo sulla terra, l’uomo è peggio di un virus in via di disastrosa espansione (se nell’arco di una vita abbiamo raddoppiato la popolazione rispetto a quanto è avvenuto in tutte le vite precedenti!…) che, proprio per la missione che dovrebbe compiere, avrebbe il dovere di debellare egli stesso (e molti di noi hanno il sospetto che involontariamente lo stia facendo). Chi scrive è “spiritualisticamente” convinto che la vera essenza di molti di noi (non solo uomini, ma esseri viventi in genere) stia nell’essere testimone dell’esperienza che sta attraversando, seppur ignorando per quale scopo, anche perché quella di uno “scopo” è una prospettiva causale tipicamente “umana” e quindi molto relativa, se non addirittura irrilevante. All’interno di questa testimonianza possiamo guardare all’umanità proprio come si guarda a quelle api qui sopra citate. Il fine dell’essere umano non consiste nel pensare a se stesso, nel vivere sempre di più, nel “crescete e moltiplicatevi” di una invasione di locuste. La sua forza, la sua intelligenza sono elementi utili ma non determinanti se avulsi da un’attività ben precisa. Nei miti ebraici, quelli ancora non presidiati dalla “legge”, il Signore spiegava all’Angelo indignato di avere scelto l’essere umano fra tutte le creature per gestire il suo mondo in quanto esso era in grado di “dare il nome” alle forme viventi. Dare il nome significa “discernere”. Il discernimento è la prima attività intellettuale che si suppone compia il bambino. Parallelamente al movimento della suzione, le pupille cominciano a “mettere a fuoco”, ovvero a passare da un’immagine generale, totale, indistinta, a degli insiemi, dei raggruppamenti arbitrari, spesso indicati proprio dai genitori, che sono le cose: quelle inanimate e quelle animate. Ad esse si applica un’etichetta, il “nome” e in questo modo il tutto, quello che Jung chiamava “pleroma” si popola di “creature”. È la percezione che genera la varietà! Ed il linguaggio altro non è che l’articolazione di questa varietà in “espressioni”, ovvero in “divenire” dell’esperienza: quella che noi definiamo storia (anche se per storia in genere intendiamo la sua riscrittura a posteriori). Insomma, non tutto il contributo dell’umanità è un disastro egoistico e cinico. Accanto a questo, nel corso della sua supposta evoluzione, si è dimostrato l’essere più creativo che la terra abbia conosciuto. Ha saputo portare il polline di una pianta in un’altra, generare ibridi, creare innesti, incrociare livelli logici differenti, trasformare la materia inserendo in essa pensiero, algoritmi, numeri, parole, e viceversa. Senza l’essere umano, non solo non ci sarebbero opere d’arte, ma nemmeno molte specie viventi, animali e vegetali. E le opere di cui è stato capace, incrociando l’energia con la materia, hanno saputo far attraversare cieli e mari ad animali e piante, costruito ambienti per farle vivere ed evolvere. Diversamente da quello che l’epistemologia monoteista riduzionistica mira a fare leggere, il valore dell’essere umano non sta nel ridurre tutto a Uno, ma nel rendere possibile una varietà sempre maggiore. Purtroppo, nella varietà ci sono molti rischi e sicuramente molti prodotti che, soprattutto se utilizzati male, possono distruggere tutto questo e anche di più. Il grave è che spesso non siamo in grado di immaginare a priori se il frutto della creatività umana si tradurrà in beneficio o danno. Esistono molti casi in cui invenzioni nate per il bene si sono trasformate in veri e propri disastri, ma anche di quelle che nel corso degli anni si è compreso avere generato effetti opposti: pensate per fare male hanno prodotto un adattamento evolutivo.

Saper ascoltare

Questo per dire che il destino dell’esperienza umana sfugge all’essere umano. Crediamo di conoscere e sapere, ma possiamo solo fare due cose: ascoltare e percepire con attenzione i messaggi che ci arrivano; prendere posizione nella maniera più autentica e meno egoistica possibile. Se pensiamo alle api operaie ci rendiamo conto che ogni ape è un piccolo soldato; perfino l’ape regina lo è. La loro mente è sopra tutti i singoli soggetti: le orienta in funzione del sole; consente loro di ritrovare la strada per l’alveare senza scontrarsi. Si tratta, in definitiva, di una specie di cervello complessivo che invece di trovarsi dentro un cranio si estende nell’aria dove hanno luogo gli scambi fra nuclei e dendriti, velocissimi, efficaci, funzionali. Prova a guardare all’umanità come ad un alveare che porta il cibo per mantenere la regina (che non è un uomo o una donna, un re o un primo ministro, ma un ambiente vitale, un amnios, una coltura esistenziale), il cui vero fine è tuttavia quello di impollinare le piante. Guarda a te stesso come ad una di queste api che sta realizzando un’opera complessiva di arricchimento costante della varietà delle forme sulla terra e forse oltre dove non sei capace di vedere. Il fine di tutto non è in te stesso, ma neppure nella società in cui vivi: se quello che scrivi non ti porta ad essere ascoltato perché solo i raccomandati dagli accademici o coloro che seguono le mode del gregge trovano riscontri alle loro parole, sarebbe folle che ti impedissi di parlare e scrivere per questa ragione. Fallo per te stesso, per “oggettivare” il pensiero che ricevi dalle tue guide, dall’inconscio o dall’ispirazione creativa, che dir si voglia. Fallo per dar vita a una parola, per aumentare la differenza, per moltiplicare i generi, per fecondare la diversità a prescindere da quel che potrebbe accadere. Se avrai ascoltato in modestia e in verità e senza attaccamento egoistico non potrai mai aver sbagliato e soprattutto non avrai alcuna colpa. Impara ad ascoltare, solo questo conta, perché il regista di questo film non sei tu, non il tuo governo e meno che mai le tue università: è fuori di te e fuori di noi e ci orienta al sole come accade alle api, le quali se dovessero ascoltare quello che hanno in testa, ognuna di loro, si perderebbero, non troverebbero né la strada per il fiore né quella per l’alveare; si scontrerebbero fra loro e cadrebbero in un mondo senza nome.

--

--

Ennio Martignago
Anima e Mente

Master of curiosity and soul sharing, “circlesquaring man” and builder of impossible balancing; ph. d. in psychesoterology, freedomosophy and managemanarchy