La fragilità del Reale
Che cosa succede nell’anima di un popolo a mischiare le culture
Antropologicamente parlando, la Cultura di un popolo può essere spiegata in ogni modo e ogni Cultura ha un proprio peculiare modo per spiegare ognuna delle altre. In sé e per sé, il modo più universale per definirla è dire che si tratta di un sistema coerente di Realtà distintive, una Black Box di cui conosciamo gli input e gli output ma non i processi che avvengono al suo interno.
Questo avviene anche fra due persone, ognuna delle quali percepisce un proprio mondo senso-valoriale e usa la cornice della Realtà convenzionalmente condivisa come Stele di Rosetta per negoziare in una lingua comune.
Purtroppo, tra Realtà – ovvero, tra Culture – non esiste alcuna Stele. Almeno che io sappia, non esiste una meta-realtà condivisa, se non la tolleranza che si fonda sulla consapevolezza di queste differenze – virtù tutt’altro che diffusa.
Se l’ideologia dell’uno insegna la distinzione e l’altra l’omogeneizzazione, alla fine perderanno entrambe perché non riconoscono il difetto ideologico.
Questo sta avvenendo nel nostro povero mondo presuntuoso e per taluni anche meschino: gli illuminati cercarono di spiegare che due Culture potevano dialogare quando ognuna delle due poteva avere la garanzia del rispetto della propria autonomia all’interno degli spazi, dei tempi e valori noti; gli ideologi pensarono invece che due Culture potessero fondersi arricchendosi della reciproca varietà genetica, ma non può essere così!
Due Realtà compenetrate l’una nell’altra non possono fare un Realtà nuova: possono solo implodere, annullare la parlabilità, distruggere la convenzione di Realtà lasciando che la più impenetrabile vinca sull’altra estinguendola come un allele dominante sul recessivo (non senza drammatiche conseguenze genetiche come per gli accoppiamenti fra consanguinei); altrimenti ci si troverà in una realtà schizofrenica in cui tutte le realtà sono vere e quella che si usa per porle in rapporto è un’allucinazione, un’idea logica, una falsità formale cui nessuna delle Culture – e i rispettivi appartenenti – dà alcun credito.
Eccoci qui: guardatevi attorno! Non esiste più culturalmente quella «struttura che connette». Ogni malattia ha una sua genesi nella realtà condivisa: è così che sono nati i retrovirus. L’AIDS ha segnato l’inizio di un’epoca priva di mesenchima, di «struttura che connette» [lo preconizzò Rudolf Steiner quando affermò che il prevalere della tecnica e della finanza si sarebbe fatto a scapito della cultura dei popoli con conseguenti indebolimento delle difese e malattie nuove].
Oggi si parla di post-verità come se si trattasse di una malattia strumentale o infantile della politica sociale. Purtroppo se fosse così la situazione non ci sarebbe già sfuggita di mano: ci troveremmo, per fare un paragone con la psicopatologia, in una condizione nevrotica, mentre per i più ottimisti – e io non sono fra quelli – siamo in una dimensione borderline e, per i meno ottimisti, in piena psicosi.
Alla fine, mi viene da riprendere una vecchia definizione di «Verità»: sono convinto che esista una Verità superiore che comprende al suo interno, fra le infinite istanze, tutte le realtà possibili. Poi esistono Le verità, e queste sono varietà di spiegazioni riferite all’esperienza definita dalle regole di ogni specifica realtà culturalmente ancorata. Di fronte ad una collisione promiscua di realtà non ci troviamo di fronte ad una post-verità, ma ad una reazione a catena di verità, quindi ad una svalutazione del potere significativo del concetto stesso di verità della realtà.
Qualcuno «in Danimarca» sta giocando con le bombe atomiche con un breviario in una mano e un vessillo nell’altra, convinto che alla fine il salotto buono nel quartiere perbene rimanga sicuro. Non sarà così!