Susan ed Emma: distopie del mondo del lavoro

Una ricerca molto condivisa e discussa dalla stampa delinea un ritratto di una lavoratrice dopo 25 anni di lavoro da remoto. Ma non sembra basata su una metodologia solida.

Redazione Anticurriculum
Anticurriculum
5 min readJul 20, 2020

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Vari siti d’informazione italiani (Corriere, il Fatto Quotidiano, Tgcom24,Giornalettismo, Mashable) stanno riprendendo una ricerca di DirectlyApply che analizzerebbe l’impatto a lungo termine del lavoro da remoto sulla nostra salute.

Il risultato di questa ricerca è Susan, la simulazione di una lavoratrice da remoto tra 25 anni, che ha perso i capelli, ha occhi gonfi e arrossati, la schiena ingobbita e soffre di obesità e depressione.

DirectApply, piattaforma online per trovare lavoro, presenta la ricerca come il frutto del lavoro “di un team di psicologi e di esperti del fitness per determinare gli effetti che il lavoro da remoto ha sul nostro fisico e sulla nostra salute mentale.”

Eppure la piattaforma non fornisce informazioni specifiche su come sia stata sviluppata questa simulazione. Sul suo sito inserisce una sezione chiamata Metodologia che riporta vari link generici: da ricerche sul lavoro flessibile dell’International Workplace Group — che rappresenta imprese immobiliari che investono nell'acquisto e nell'affitto di co-working — fino agli articoli di una catena di centri medici americani che parlano genericamente delle cause delle rughe. C’è una sola fonte che tratta in maniera più specifica di rischi del lavorare da casa, ma è del sito Remote.co, che promuove il lavoro a distanza e suggerisce alcune soluzioni per ridurne i pericoli.

Eppure DirectlyApply considera questi dati sufficienti per immaginare il nostro aspetto dopo 25 anni di lavoro da casa.

Che ti è successo, Susan?

Dei 10 rischi del lavoro da remoto sulla salute, la metà riguarda problematiche legate all'utilizzo prolungato di schermi di computer e cellulari e alla pessima postura: infiammazioni agli occhi, lesioni a polsi e dita, occhiaie, rughe, deformazioni alla schiena e cervicale. Queste uniscono la sindrome da PC e i disturbi muscoloscheletrici (qui un’indagine INAIL su cause e prevenzioni) già ben conosciuti e tradizionalmente collegati al lavoro sedentario tipico soprattutto negli uffici.

Altro pericolo che viene identificato è la scarsa esposizione alla luce solare che può provocare perdita di capelli e problemi dermatologici come pallore e pelle disidratata a causa della riduzione di Vitamina D e B-12.
Vivere in abitazioni poco soleggiate o areate è decisamente un problema che stanno affrontando in molti da quando sono passati al lavoro da remoto, ma le stesse condizioni, se non peggiori, si trovano in tanti luoghi di lavoro tradizionali. Chi non ha presente uffici, laboratori, magazzini che assomigliano a veri e propri bunker? Il problema è quindi l’ambiente in cui si lavora, a prescindere che sia un ufficio o il proprio appartamento: varie ricerche riprese in questo articolo della CNN analizzano quanto la salute dei lavoratori cambi drasticamente in base alla vicinanza della scrivania a una finestra.

Gli altri due effetti del lavoro da remoto inclusi in questa simulazione sono l’aumento dello stress a causa dei limitati contatti umani e il maggior rischio di obesità. Il primo sicuramente è un problema che in molti hanno accusato dovendo sostituire le interazioni dal vivo in ufficio con chiamate e ancora più email del solito. Vari psicologi e ricercatori stanno invitando i datori di lavoro a considerare seriamente questo pericolo e già nel 2015 l’Organizzazione internazionale del lavoro segnalava come il 41% dei lavoratori da remoto affermava di subire elevati livelli di stress, contro il 25% dei lavoratori in ufficio.

Per il rischio obesità non viene citato alcun dato specifico, ma viene dato per certo che chi rimane a casa mangerà di più, avendo accesso al frigo tutto il giorno, e smetterà di fare esercizio fisico. Se effettivamente non sono ancora disponibili studi su come lo stare a casa stia avendo un impatto sulla nostra dieta, post e storie online, come sottolinea la BBC, mostrano le situazioni più diverse: chi, cucinando a casa, sta facendo attenzione a cosa mangia e chi per lo stress ingurgita cibo spazzatura. Chi ha abbandonato ogni attività sportiva e chi sta consumando video YouTube di fitness e per la prima volta fa esercizio in casa per tenersi in forma e ridurre lo stress.

Senza contare che, nell'esasperare la rappresentazione dell’aspetto fisico di Susan, la “ricerca” rispecchia i peggiori stereotipi sulle persone grasse e propone ancora una volta il terrorismo psicologico del body shaming: cosa c’è di peggio, per una donna per di più, che diventare sciatta, “brutta” e grassa?

Emma, la sorella dimenticata

Insomma, è chiaro che il problema per Susan non sia lo stare a casa ma il lavoro che fa.

Infatti, solo qualche mese fa, prima che uno dopo l’altro tutti i Paesi imponessero la chiusura di uffici e luoghi di lavoro non essenziali, stava circolando sulla stampa italiana un altro inquietante studio sull'aspetto futuro dei lavoratori. Dietro commissione dell’azienda di articoli di ufficio Fellowes, il futurologo William Higham, insieme a un gruppo di esperti in ergonomia, salute e benessere sul lavoro, aveva definito come potrebbe cambiare il nostro aspetto tra 20 anni se continueremo a lavorare negli uffici che abbiamo oggi e mantenendo le stesse abitudini.

Emma, il risultato di questo esercizio, è incredibilmente simile alla nostra Susan: schiena curva, eczema, in sovrappeso, occhi rossi e affaticati.

Il report — che, sia chiaro, nasce come parte di una strategia di marketing per promuovere i prodotti ergonomici che Fellowes produce — sottolinea un gran numero di problemi legati alla struttura degli uffici, come la scarsa illuminazione e la cattiva qualità dell’aria. Ma soprattutto il problema della sedentarietà di moltissimi lavori contemporanei, al quale si aggiungono abitudini scorrette.

In sostanza il problema non è il lavoro da remoto di per sé, ma piuttosto il lavoro in generale (lavorare esclusivamente al computer), le condizioni di lavoro (lunghi turni e troppo tempo seduti) e gli spazi in cui lavoriamo (troppo piccoli, poca esposizione alla luce solare).

Lo smart working presenta specifici rischi e opportunità che analizzeremo nel dettaglio in prossimi approfondimenti: perciò, se lavorare da casa sarà la normalità per molto tempo, dobbiamo parlarne senza pregiudizi, valutandone tutti gli aspetti e concentrandoci su come tutelare i diritti e la salute di tutti i lavoratori.

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