Il basket italiano è retrocesso, ma non fallito. Torniamo in Serie A!

Antonio Mariani
Antonio Mariani
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5 min readApr 19, 2017

Il disprezzo quotidiano dei media che avvolge la pallacanestro italiana diventa sempre più una notizia spazzatura, inutile per un miglioramento del sistema e noiosa per gli appassionati che vengono risucchiati dal vortice dei luoghi comuni (soprattutto di contestazioni). Le critiche aumentano esponenzialmente se guardiamo la pallacanestro delle altre nazioni: Spagna, Germania, Russia o Turchia. Lì le squadre giocano in arene di ultima generazione, davanti a molto pubblico e con sistemi tecnologici in grado di vendere l’evento e lo sport stesso a prescindere da ciò che accade in campo; probabilmente ad aiutare il movimento c’è anche il successo in Eurolega, la competizione più bella d’Europa. Tutto è lo specchio della situazione politico-economica dei paesi e sarebbe opportuno guardare la propria dimensione, analizzarla, accettarla e iniziare a lavorare per migliorarla. Non sono un economista o politologo, perciò mi voglio solamente soffermare sul basket. E’ comprensibile un’arrabbiatura per la situazione del nostro basket, soprattutto da parte di coloro che hanno vissuto gli anni gloriosi della nazionale, di Cantù, Varese, Milano, della Virtus Bologna, della Mens Sana e di tante altre realtà che oggi sono scomparse. Purtroppo siamo davvero arrivati ad avere una Serie A non molto dignitosa che ha allontanato il pubblico dalle squadre, un pubblico deluso anche per l’impiego eccessivo di stranieri mercenari all'interno del roster. Ci siamo fermati, proprio mentre gli altri avanzavano: siamo retrocessi.

Siamo finiti in Serie A2. Giochiamo con due stranieri e soli italiani, molti provenienti dal settore giovanile della società; il livello atletico è buono, ma non eccellente, eppure il pubblico si diverte, si affeziona alla squadra.

Leonardo Candi, bolognese che gioca nella sua Fortitudo squadra dove è cresciuto (foto: getty)

La realtà italiana è costituita dalle province e dalle squadre che gli appartengono. Le persone della provincia si conoscono, amano ritrovarsi la domenica prima in Chiesa, poi allo stadio e infine al palazzo dello sport, insieme a sostenere la squadra della propria città. A maggior ragione c’è la volontà di andare a seguire la pallacanestro, se a giocare ci sono ragazzi cresciuti con quella stessa maglia, con quegli stessi colori, in quella stessa città: il frutto di un buon lavoro del settore giovanile. Cambiando prospettiva, vedendola quindi dalla parte di chi è in campo, è totalmente diverso scendere in campo la domenica e sentire l’adrenalina della partita, voler fare bene per non deludere persone che ti sostengono, ti vogliono bene e hanno a cuore l’esito della gara piuttosto che giocare nello stesso modo in cui un impiegato timbrerebbe il cartellino.
Sono fortemente convinto che lo sport europeo sia un’evoluzione dell’epica e il grande fascino che li accomuna risiede nella capacità di coinvolgere, di far sentire lo spettatore protagonista dell’evento, attraverso un processo di immedesimazione che soltanto la gloria può generare. Ettore combatteva per la gloria e la salvezza della sua Troia, come Antonello Riva per la gloria della sua Cantù, la squadra che lo ha fatto crescere, alla quale appartiene. Lo spettatore, a prescindere dalle sue competenze, capisce con che cognizione un giocatore è nel campo e può o meno sentire quell'attrazione che lo porta inconsciamente a tifare.

PalaVerde, Treviso

Tutto ciò accade proprio in Serie A2, dove i palazzi dello sport registrano spesso il tutto esaurito e fanno medie spettatori che sarebbero nella media-alta classifica di Serie A.

Esempi lampanti sono Treviso e le bolognesi, ma anche Biella o Verona. Scendendo verso realtà più piccole che hanno creato una sinergia tra società e tifosi, prescindendo dalla vittoria o dalla sconfitta della squadra, troviamo Legnano e Agropoli, ma anche Forlì e Trieste.

Derby bolognese tra Virtus e Fortitudo

Sta rinascendo dalle sue ceneri la pallacanestro romana, con le stesse proprietà di una fenice e di un’idra: la Virtus Roma sta riportando tifosi nel palazzetto, mentre si sta affermando un’altra società di nome Eurobasket, cosicché le due realtà si stimolino a migliorare attraverso una rivalità sana, tipica di chi vuole l’egemonia della città.

Il successo delle realtà che ho citato, relativo alle loro possibilità, è bilaterale in quanto sia società che giocatori “vincono”. Il giocatore è motivato a fare bene dalla società nella quale si trova perché se ne sente parte e la società porta tifosi al palazzetto perché i giocatori attraggono gli spettatori, lottando per un fine comune spesso individuato nella condivisione del successo.

C’è, però, un altro aspetto importante che va considerato nel 2017, imprescindibile per un movimento che vuole rinascere: la comunicazione.
La comunicazione è un aspetto che spesso manca per ignoranza o mentalità, preferendo spesso investire in settori che portano risultati tanto immediati quanto effimeri. La comunicazione di una società è la capacità che essa stessa ha di attrarre, più delle vittorie sul campo. Raccontare bene storie, trasmetterle e catturare: momenti che non si allontanano molto dalle capacità che doveva avere un oratore per catturare la simpatia del popolo.
Tutto ciò è uno strumento efficace per avvicinare persone al mondo della pallacanestro, far girare più soldi e tornare a creare un movimento attraente che vinca a prescindere dai risultati.

Sono fiducioso nelle idee della Legabasket che ha lanciato il motto #tuttounaltrosport insieme al nuovo logo con il quale vuole ridare fascino a uno sport ibrido, tra l’obsoleto e il moderno. Non a caso sta ripartendo proprio dalla visibilità e dalla comunicazione, cercando di attrarre quanti più tifosi possibili agli eventi che organizza, anche portando nuove tecnologie nei palazzi dello sport.
Il progetto è quello di far tornare il pubblico a godere di una bella pallacanestro dal 2020, quando la Serie A avrà 18 squadre e, magari, il lavoro fatto nei prossimi tre campionati avvicinerà molti più imprenditori alla Lega e alle squadre che ne fanno parte. Ora, con pazienza, possiamo aspettare e vedere crescere questo prodotto sperando di raccogliere dei bei frutti.

Tutti vogliono la prima classe, pochi possono averla: alcuni la ereditano, altri la guadagnano e altri ancora la bramano. Attualmente la pallacanestro italiana è la figlia della prima classe che non ha ereditato il suo posto e si trova a bramarlo avidamente, come chi perde il lusso nel quale è cresciuto.
Il basket italiano sarà in salute quando il dottore non busserà quotidianamente alla porta per visitarlo, ma gli permetterà una serena convalescenza.

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Antonio Mariani
Antonio Mariani

Un sognatore che non smette mai di sognare. Social Media manager @IQUII Co-fondatore di lebistrò.it e appassionato di sport, basket soprattutto.