#FUTURE THINKING

Segnali di cambiamento: dallo human centered design al planet centered design

Possiamo progettare per il benessere delle persone e del pianeta insieme? Quali i tool, le azioni mirate, il mindset e le metodologie di speculative design e future thinking che possono far evolvere il design delle soluzioni verso l’ottica planet centered?

Silvia Ferrari Boneschi
Architecta

--

Fonte: Rodrigo Kugnharski su Unsplash

Iniziamo con questa settimana una nuova rubrica, dedicata all’esplorazione dei segnali deboli di cambiamento. Abbiamo iniziato questo dialogo all’inizio del mese di marzo con un webinar condotto da Silvia Ferrari e Debora Bottà, dedicato al tema del future thinking, la capacità di osservare il presente per trovare indizi sul futuro prossimo. E usare questa conoscenza nella progettazione di prodotti e servizi e nel nostro lavoro quotidiano.

Nel future thinking gli indizi che cerchiamo si chiamano segnali deboli e si definiscono come manifestazioni di un cambiamento potenzialmente capace di influenzare l’intero ecosistema. Ogni puntata sarà un’esplorazione di questi segnali, guardando al loro significato e al loro impatto sulla progettazione e sulle metodologie utilizzate.

Il fiume

A fine febbraio, il fiume canadese Magpie ha ottenuto legalmente gli stessi diritti di una persona. La risoluzione, per ora a livello locale, riconosce al fiume il diritto di esistere, di scorrere liberamente, di non essere inquinato e di mantenersi integro. Per proteggere questi diritti saranno nominati dei guardiani del fiume, incaricati di sovrintendere al rispetto delle nuove regole.

Fonte Al Jazeera: il fiume canadese Magpie

Non è la prima volta che entità ambientali vengono legalmente equiparate a esseri umani: quella delle environmental personhood è una lenta battaglia che dura da decenni, culminata nel 2017 quando il fiume neozelandese Whanganui è stato riconosciuto come una persona dotata di diritti. Questo tipo di advocacy è portata avanti con un duplice scopo: da una parte proteggere elementi naturali dallo sfruttamento umano e dall’altra riconoscere il legame speciale che lega questi elementi alle comunità indigene, che vivono con loro una forma di simbiosi, di convivenza ecosistemica che necessita di protezione e cura.

Questa notizia racconta dell’evoluzione in corso nel modo che gli umani hanno di rapportarsi con l’ambiente che li circonda: l’idea di una natura fatta a piramide verticale, in cui l’uomo è al vertice, sta lentamente lasciando posto a un’idea orizzontale di ecosistema, più simile a una rete di scambi paritari. Da sola, non basterebbe a costituire un segnale di cambiamento rilevante per la nostra professione di progettisti, ma negli ultimi tempi ho notato un’altra cosa interessante.

Lo shampoo

Mi è capitato di recente di vedere una nuova pubblicità in tv, quella dello shampoo solido Garnier, questa per intenderci.

La nuova pubblicità Garnier Ultra Dolce shampoo solido

“Unisciti alla rivoluzione!” incita la voce fuori campo, sottolineando come il prodotto produca zero rifiuti di plastica. Lo shampoo solido è in effetti da anni considerato la migliore alternativa a quello in bottiglia per chi vuole consumare in modo consapevole, facendo maggiore attenzione alle conseguenze degli acquisti in termini di impatto ambientale. Fino a poco fa però non esistevano alternative “da supermercato” per questo tipo di prodotti, per acquistarlo era necessario fare un po’ di ricerca o almeno conoscere quali brand lo proponessero. Ora invece lo shampoo solido è un prodotto estremamente commerciale e facilmente accessibile.

Il tono della pubblicità, i claim scelti e il prodotto stesso parlano a un target nuovo ma già molto noto, quello della Generazione Z. Nati tra il 1997 e il 2010, i GenZ sono la climate change generation: si interessano del problema, si comportano di conseguenza. Trendwatching, nel 2020, sottolineava a questo proposito che: “Un numero crescente di consumatori sa di essere intrappolato in cicli di consumo insostenibile e abitudini dannose. Nel 2020, si fideranno dei brand che smetteranno di abilitare questi cicli”. Per la Gen Z, la generazione della verità secondo Mc Kinsey, il consumo ha un significato etico: è meglio acquistare prodotti i cui benefici si estendono oltre quello individuale.

Cosa sta cambiando?

C’è un filo conduttore tra queste due storie: la consapevolezza di un orizzonte più vasto a cui guardare, di uno spazio che non ha più l’essere umano al centro. Questa consapevolezza si sta evolvendo in modo significativo: da una parte viene legittimata dalle istituzioni con il riconoscimento della environmental personhood, dall’altra è il nucleo di una strategia di mercato considerata vincente.

Dal punto di vista della progettazione, questi segnali di cambiamento hanno due ricadute che è importante riconoscere:

  • L’obiettivo dell’azione di design si sta allargando. Ci stiamo muovendo dalla ricerca di un risultato di progettazione ottimale per gli umani verso una soluzione che sia ottimale per l’equilibrio ecosistemico.
  • Il bacino di stakeholder da considerare nella progettazione diventa più ampio: non devono essere coinvolte solo le persone, ma l’insieme-pianeta, con i suoi bisogni, pain point e caratteristiche specifiche.

Ci si sta quindi muovendo oltre una prospettiva di design human centered. Come ha recentemente condiviso Space10, il centro di ricerca e radical innovation di IKEA (potremmo considerare anche questo contributo un segnale di questo cambiamento!):

Abbiamo smesso di credere in un modo di fare design che mette al centro le persone e che di conseguenza ha portato a un utilizzo troppo intensivo delle risorse del nostro pianeta. Abbiamo capito che, in definitiva, un modo di fare design che non fa bene al nostro pianeta non fa bene alle persone… Creare oggetti facili da usare può essere l’obiettivo, ma cosa succede quando questo ci fa consumare di più, buttare via di più e consumare di più le risorse limitate del nostro pianeta? Ecco perché crediamo di dover iniziare a muoverci verso il people-planet design, un modo di progettare nel quale gli esseri umani sono parte dell’equazione, ma non a spese del benessere fondamentale del nostro pianeta.

La pratica quotidiana di design people/planet centered

Come possiamo portare questo cambio di prospettiva nel nostro lavoro quotidiano? Non tutti abbiamo la possibilità di lavorare con grandi innovazioni di prodotti, servizi ed esperienze creando soluzioni efficaci e rivoluzionarie al tempo stesso, e non sempre la pratica quotidiana del lavoro di designer e progettisti ci permette di abbracciare la prospettiva planet centered in modo completo.

Possiamo portare avanti un cambio di prospettiva fatto di piccoli step, azioni mirate che, nel corso della progettazione, possono contribuire a evolvere verso l’ottica planet centered il design delle soluzioni. In questo senso possono essere d’ispirazione due toolkit per portare questa nuova prospettiva nel lavoro quotidiano:

  • Il Planet Centric Design toolkit, sviluppato da Vincit, una società di consulenza di trasformazione digitale finlandese. Il toolkit propone una serie di attività di co-design da svolgere lungo tutto il percorso di progetto che aiutano i partecipanti a mettere la prospettiva planet centric al centro dell’attività design.
  • La Circular Design Guide, sviluppata dalla Ellen McArthur Foundation (che si occupa di diffondere il pensiero circolare in ogni aspetto del sistema economico), uno strumento utile per muovere l’attività di progettazione da una prospettiva lineare di consumo a una circolare di rigenerazione delle risorse e riutilizzo delle stesse fino al loro esaurimento.

In termini di mindset invece, è utile esercitare il pensiero a lungo termine, immaginando le conseguenze future delle scelte che facciamo oggi nella progettazione. Un esempio efficace in questo senso è quello di Superflux che nel 2017, all’interno di un progetto sul futuro energetico commissionato dagli Emirati Arabi Uniti, ha creato in laboratorio un campione di aria che si respirerà in futuro se non dovessero cambiare le policy ambientali:

Abbiamo creato una serie di campioni di aria dagli anni 2020, 2028 e 2034 contenenti la combinazione più probabile di PM10, PM2.5, monossido di carbonio, anidride solforosa, biossido di azoto e ozono, sulla base delle proiezioni sulle emissioni di combustibili fossili e sul clima. L’aria prodotta era nociva, impossibile da inalare anche in piccole quantità; questa prova esperienziale ci ha fatto capire questo aspetto, non evidenziabile con previsioni e dati.

Fonte Superflux: Campioni d’aria dal futuro

Le metodologie di speculative design e future thinking, che ci permettono di immaginare futuri possibili partendo dalla conoscenza contemporanea, aiutano in questo esercizio. Tra le ultime a disposizione del pubblico, c’è Untagling Alternatives, un toolkit interamente digitale (quindi adatto al lavoro da remoto) sviluppato da Tangity che accompagna le persone in un percorso di creazione di scenari futuri, partendo dalle sfide del presente.

Con questa esplorazione dei segnali di cambiamento nell’ambito dello human centered design, abbiamo guardato al presente per capire come influenzare il futuro in termini di impatto sulla progettazione e sulle metodologie usate. Alla prossima puntata.

Grazie per aver letto il nostro articolo. Ti è stato d’ispirazione?
Lasciaci un clap o condividilo con chi può trovarlo utile.

--

--

Silvia Ferrari Boneschi
Architecta

Design researcher, detective of the present. Here is where I put some of my writings — from the Master in Design for Emergent Futures on