Negli Usa la condivisione di un tweet è giuridicamente perseguibile?

Chi rimette in circolo un commento altrui, gode della protezione del First Amendment?

Francesca Boh
Argomenti di diritto dei media digitali
5 min readJan 19, 2017

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Uno dei temi più dibattuto negli ultimi periodi è quello relativo al reato di diffamazione a mezzo Internet. Infatti lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione pone numerosi problemi, legati individualizzazione dell’autore del reato, nonché alla sanzionabilità di questo.

Il diritto afferma che vi è diffamazione nel momento in cui un soggetto arreca un’offesa all’altrui reputazione in presenza di più persone e in assenza della vittima, altrimenti scatterebbe il reato di ingiuria. L’offesa sussiste nell’esatto momento in cui la frase diffamatoria viene percepita dai destinatari e, per quanto riguarda Internet, ciò si verifica quando gli utenti si collegano e percepiscono l’offesa. La dichiarazione deve comunque essere fattuale e non mero parere dell’imputato.

La disciplina americana prevede che il reato sia regolamentato attraverso la “Single Publication Rule”, contenuta nel “Restatement Second of Torts”, secondo la quale, nei casi di media tradizionali, nel momento in cui l’imputato divulga un milione di copie di un libro con contenuto diffamatorio nei confronti di un attore, la diffamazione riguarda la singola pubblicazione, indipendentemente dal fatto che milioni di persone acquistano e leggono il libro. Con l’avvento dei mezzi di comunicazione telematici, i giudici hanno dovuto affrontare la questione della regolamentazione del reato su Internet, interrogandosi sull’ efficacia o meno della norma di singola pubblicazione su esso. Il principale problema deriva dalla possibilità offerta dai nuovi mezzi di comunicazione di ripubblicare, e quindi divulgare ulteriormente, contenuti (anche diffamatori), rendendo difficile l’individuazione delle responsabilità. A ciò si aggiunge la forte protezione della libertà di parola di cui godono gli internauti, nonché del libero flusso di informazioni su Internet.

Caso particolare di diffamazione è il “Twibel” (dalla fusione di tweeter e libel), diffamazione che avviene attraverso Twitter, piattaforma di microblogging creata nel 2006, che fornisce agli utenti la possibilità di creare una pagina personale attraverso la quale pubblicare contenuti di massimo 140 caratteri. Ad oggi, sono sorti molti casi di Twibel, ma solo uno è arrivato in tribunale negli Stati Uniti, non solo a causa della giurisprudenza ancora confusa in materia, ma anche perché Twitter è immune da responsabilità, godendo della protezione del Communications Decency Act che afferma con forza la tutela della libertà di parola e il libero flusso di informazioni su Internet. Inoltre gli stessi termini di servizio di Twitter, esonerano espressamente qualsiasi responsabilità del provider per i tweet o retweet (condivisione di un tweet da parte di qualsiasi utente in grado di raggiungere con un semplice click un nuovo pubblico) che gli utenti postano e che prevede espressamente che i tweet siano di esclusiva responsabilità della persona che li origina.

In base alla normativa vigente, il responsabile del contenuto diffamatorio è l’autore originale del tweet, ma contemporaneamente i querelanti possono parimenti considerare la possibilità di citare in giudizio coloro che retweettano un tweet, soprattutto quando hanno di fronte la possibilità di avere una causa contro l’autore del tweet originale, di contro la robusta cornice di immunità del Communications Decency Act può benissimo proteggere anche chi retweetta un Tweet come “utente” ai sensi della legge. Lo statuto prevede che nessun utente di un servizio informatico interattivo deve essere trattato come autore di informazioni e il contenuto del loro retweet è semplicemente facilitato dal tasto “share” considerato come una miglioria del servizio, quindi secondo la protezione del Communications Decency Act i querelanti ritengono l’unico possibile imputato l’autore del tweet originale.

Le questioni che i giudici si trovano ad affrontare nei casi di Twibel e di diffamazione a mezzo Internet sono molteplici, dovute soprattutto alle caratteristiche intrinseche della rete. Innanzitutto i giudici hanno affrontato la questione della ripubblicazione per chiarire quali siano i soggetti su cui ricadano le responsabilità. Infatti i social network offrono la possibilità di condividere materiale attraverso funzioni di share. Lo share è stato considerato come mera valorizzazione tecnica fornita agli internauti. Nel momento in cui terzi decidono di usufruire di questo miglioramento non sarà ritenuto responsabile per tale ripubblicazione. Come lo share, anche i collegamenti ipertestuali, possono richiamare l’attenzione a contenuti diffamatori, ma non presentano il carattere del materiale diffamatorio. Infine, vi è la preoccupazione che se ogni collegamento ipertestuale è da considerarsi una ripubblicazione, i termini di prescrizione sarebbero riattivati senza fine. Secondo le corti statunitensi, forniscono solo un facile accesso ad un contenuto già pubblicato, non paragonabile ad un livello di ripubblicazione. Inoltre la normativa prevede che se la condivisione di contenuti diffamatori da parte di terzi sia ragionevolmente prevedibile, ovvero nel momento in cui l’autore del contenuto diffamatorio solleciti attivamente il RT, in questo caso le responsabilità ricadono anche sul retweeter, anche se i giudici non hanno ancora chiarito i parametri di tale prevedibilità nel mondo online. Nonostante queste considerazioni, restano comunque dei dubbi data la natura delle piattaforme che, attraverso queste potenzialità, permette di raggiungere un pubblico sempre più esteso e diversificato in un arco temporale ad infinitum e quindi vede inefficace l’applicazione della norma della singola pubblicazione nei casi di retweeting.

Altra problematica che devono affrontare le corti americane è la regolamentazione dell’inizio del tempo della prescrizione che decorre dal primo giorno in cui il materiale diffamatorio è pubblicato, quindi quando un contenuto diffamatorio si posiziona su un sito web e ci rimane per gli anni a venire la prescrizione non viene riavviata ogni giorno che questo rimane sul sito.

Ancora una volta, il legislatore viaggia con anni e anni di ritardo rispetto alla tecnologia e i giudici sono costretti ad avvalersi di norme pensate per quando Internet non esisteva. Dato lo stato delle normative applicate ad oggi su Internet, la regola di singola pubblicazione probabilmente si applicherà in casi di retweet attivamente sollecitati, che negherebbe quindi ai querelanti di esercitare il proprio diritto sui RT diffamatori non sollecitati attivamente. Tuttavia, è giunto il momento per i tribunali di ripensare ai confini della regola di singola pubblicazione, soprattutto alla luce di strumenti, già confezionati, volti alla diffusione di materiale come la pratica del RT.

Le norme sulla diffamazione adoperate per il mondo cibernetico, godono già di una maggiore protezione rispetto al suo omologo in media tradizionali, i commentatori hanno notato che, se i casi di diffamazione per mezzo dei media tradizionali sono difficili da vincere, i casi di twibel sono ancora più complicati. Una ragione per questo è dovuto all’ampia immunità in regime, offerta dal Communications Decency Act, che protegge non solo i fornitori di servizi internet come Twitter, ma anche, molto probabilmente, gli utenti come precedentemente discusso.

In relazione ai casi di twibel, dobbiamo sottolineare che è cosa meno grave osservare passivamente la condivisione del proprio tweet che sollecitarlo attivamente, altrimenti potrebbe dar vita ad una “ripubblicazione ragionevolmente prevedibile” che a sua volta, nel common law, darebbe luogo ad una causa di azione separata e riavvierebbe il tempo sui termini di prescrizione.

Bibliografia:

Allen A., Twibel retweeted: twitter libel and the single publication rule, 2016

Mensi M. — Falletta P., Il diritto nel web. Casi e materiali, Trento, Cedam, 2015

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