I social media ed i delicati problemi di pluralismo informativo

Alexandru Marin
Argomenti di diritto dei media digitali
6 min readDec 18, 2016

I social network sono degli strumenti che hanno rivoluzionato totalmente il nostro vivere quotidiano. Ormai li usiamo senza accorgercene, li controlliamo decine di volte al giorno, pensiamo di conoscerli nei minimi dettagli. Chiunque abbia un profilo sui social, non negherebbe mai che essi rappresentino un modo facile e veloce come nessun’altro per esprimersi. Questa libertà di esprimersi è essenzialmente composta da due parti: la libertà di informare e la libertà di essere informati. In un’epoca di abbondanza di informazioni, nella quale le fonti coincidono potenzialmente con tutti gli individui connessi alla rete, abbiamo la possibilità di informarci su tutto ciò che vogliamo.

L’EVOLUZIONE DIGITALE DELLA SPECIE, Undicesimo Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione in Italia

Sorge però un problema: le fonti sono innumerevoli, ma il tempo a nostra disposizione è limitato. I ritmi della vita del nuovo millennio ci costringono infatti a fruire dell’informazione in modo saltuario e disattento, in piccoli momenti di pausa durante la giornata, senza approfondire più di tanto. Ed è qui che entrano in gioco i social media come Twitter e Facebook: sono strumenti che intercettano perfettamente queste esigenze. Lo studio Censis afferma che già nel 2013, il 37% degli italiani usava Facebook per informarsi, e la percentuale non fa che salire.

L’EVOLUZIONE DIGITALE DELLA SPECIE, Undicesimo Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione in Italia

Usare Facebook come strumento per informarsi comporta però una serie di rischi, dei quali tutti gli utenti dovrebbero essere al corrente. Bisogna innanzitutto considerare che i social media permettono a chiunque di fare attività di informazione, di fatto disintermediando tra produttori e fruitori di notizie. La più che ampia disponibilità di contenuti generati e diffusi dagli utenti rende facile l’aggregazione di persone intorno a interessi, opinioni e visioni del mondo comuni, ma allo stesso tempo è un ambiente florido per la diffusione di dicerie, notizie infondate e teorie del complotto di ogni genere. Una serie di ricerche capeggiate da Walter Quattrociocchi, capo del CSSLab dell’IMT di Lucca, che si occupa di scienze sociali computazionali, hanno scoperto delle tendenze preoccupanti nel comportamento degli utenti sui social network: essi tendono a rinchiudersi in comunità sempre più isolate, sulla base delle loro opinioni e dei loro interessi, e ad ignorare completamente voci che non confermano queste loro prese di posizione. Si formano così le cosiddette echo chambers, delle “camere virtuali” nelle quali le opinioni dei membri di una community risuonano come un eco, rinforzando i loro sistemi di credenze comuni, risultando quindi altamente polarizzate. Ma quali sono i motivi per i quali si formano queste immaginarie camere a tenuta stagna?

Innanzitutto un processo cognitivo per il quale l’utente tende a cercare sempre informazioni conformi alle proprie credenze, tendendo ad ignorare i pareri discordanti. Si tratta di un meccanismo inconscio, per il quale il nostro cervello tende a focalizzare l’attenzione su informazioni che confermano le nostre conoscenze pregresse, il cosiddetto “pregiudizio di conferma”.

Il secondo motivo è che Facebook attualmente utilizza una serie di algoritmi che fanno sì che nella nostra newsfeed e nei suggerimenti che riceviamo ci siano contenuti che rispecchiano i nostri interessi e le nostre opinioni, creando le cosiddette filter bubbles. Ciò porta ad un ulteriore isolamento dell’utente da informazioni che sono in contrasto con i suoi punti di vista.

L’azione congiunta di questi due fattori alla lunga potrebbe portare, a mio avviso, ad una degradazione del potenziale dei social network a essere una buona fonte di informazione e potenzialmente a trasformarli da luoghi di discussione e mediazione di interessi, funzionali allo sviluppo dell’opinione pubblica, in luoghi nei quali la polarizzazione dei punti di vista potrebbe creare gruppi per niente propensi a confrontarsi in maniera costruttiva.

Ma andiamo più a fondo nell’analisi fatta da Quattrociocchi: la ricerca ha preso in esame le dinamiche comportamentali di un campione utenti di Facebook in Italia e negli USA riguardo a due tipi di narrazione distinti: le teorie della cospirazione e le informazioni scientifiche. I risultati sono interessanti:

Innanzitutto si è scoperto che i modelli di fruizione dei due tipi di informazione sono sostanzialmente identici, ed in particolare, le informazioni si diffondono attraverso utenti che appartengono alla stessa echo chamber, quindi per la maggior parte delle volte l’informazione è presa e diffusa da un amico che ha la sua stessa visione del mondo.

Se i modelli di fruizione sono sostanzialmente identici, non lo sono i modelli di diffusione delle notizie. Mentre le notizie scientifiche si diffondono sui social raggiungendo un picco massimo di diffusione in un tempo breve, che poi tende a rimanere costante o a diminuire, le notizie basate su teorie del complotto si diffondono diversamente: esse vengono assimilate più lentamente, ma sono sensibili alla variabile tempo, maggiore è infatti la vita della notizia sul social network, maggiore sarà la sua visibilità perché verrà sempre più diffusa dagli utenti.

FONTE: The spreading of misinformation online, PNAS, 2015

Si è inoltre scoperto che gli utenti, quando vengono esposti a notizie di smentita e di smontaggio delle considerazioni complottistiche (debunking), al posto di riconsiderare le loro opinioni, fanno l’opposto: il debunking viene ignorato o addirittura esso fa sì che si rafforzi la convinzione nelle stesse teorie.

Un altro atteggiamento differente tra i due gruppi lo si è notato quando gli esperti hanno deciso di creare dei post intenzionalmente falsi riguardanti argomenti di scienza e argomenti di complotto. Si è notato che i fruitori delle teorie del complotto sono più propensi a credere a notizie anche palesemente false, irrealistiche e satiriche, come ad esempio la notizia che hanno confezionato gli studiosi secondo la quale nelle scie chimiche sarebbe contenuto il principio attivo del Viagra. Questo denota una loro propensione a saltare più facilmente la barriera della credulità, basta semplicemente che una notizia sia confezionata con gli schemi della teoria del complotto, per essere quasi automaticamente accettata dai membri di questa echo chamber.

In conclusione, si evince che la questione è estremamente complessa. I provvedimenti che andrebbero presi da parte dei gestori dei social network, sono argomento di aspri dibattiti. Come ovviare alla massiccia diffusione di teorie del complotto e notizie infondate? La questione è delicata perché un intervento da parte dei gestori che andasse a scapito della diffusione di questo tipo di notizie potrebbe andare a ledere il diritto fondamentale di manifestazione del pensiero. La linea logica che a mio avviso si dovrà seguire, sarà il cercare di dare agli utenti gli strumenti per poter distinguere tra ciò che è notizia accertata, e ciò che non è verificato.

Sitografia

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Alexandru Marin
Argomenti di diritto dei media digitali

Laureato in Scienze della comunicazione, attualmente studente in Comunicazione Digitale Pubblica e d’Impresa