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Il delicato rapporto tra il giornalismo e la rete

La libertà di manifestazione del pensiero e i suoi limiti

Con l’avvento della rete, il concetto di libertà di manifestazione del pensiero è diventato molto più complesso rispetto a un tempo, poiché la struttura odierna di internet permette potenzialmente la possibilità a chiunque di manifestare il proprio pensiero dappertutto. Questa grande libertà potrebbe portare a varie conseguenze lesive rispetto ad altri diritti fondamentali. Per questo si sta cercando di regolarizzare a livello normativo queste pratiche, ad esempio cercando di contrastare i fenomeni più frequenti in rete tra cui il cyber bullismo e la diffamazione. Il problema è che molti sono gli attori che operano all’interno di questo sistema, per questo diventa poi difficile riuscire a capire quali siano le responsabilità degli uni o degli altri.

In questo contesto si vede inoltre mutata la figura del giornalista che si trova a doversi rapportare con una realtà molto diversa rispetto a quella della carta stampata. (Argomento che verrà approfondito in seguito.)

La definizione di libertà di manifestazione del pensiero è data, in Italia, dall’articolo 21 della costituzione, che sottende inoltre la libertà di stampa:

“La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

Questa libertà, comunque, ha dei limiti, disciplinati dallo stesso articolo tra cui, il buon costume “Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume”.

Il concetto del buon costume è comunque molto ampio e di difficile interpretazione, per questo è stato poi specificato da una sentenza della Corte Costituzionale che aveva inteso il limite del buon costume “come quell’insieme di precetti che impongono un determinato comportamento nella vita sociale di relazione, la inosservanza dei quali comporta in particolare la violazione del pudore sessuale […] della dignità personale che con esso si congiunge e del sentimento morale dei giovani” (Corte Costituzionale, 19 febbraio 1965, n.9).
Infatti, il buon costume nell’ambito civilistico è inteso come la moralità pubblica, la quale è stata efficacemente definita dalla Corte di Cassazione, “come quel complesso dei principi etici costituenti la morale sociale in un determinato tempo e per un determinato luogo” (Cass. Civ. Sez. III, 8 giugno 1993, n. 6381).

Un altro limite importante nei confronti della libertà di manifestazione del pensiero è il diritto alla riservatezza, disciplinato, in Italia, dal d.lgs 196/03 (“codice della privacy”). Gli articoli 136 e 137 fanno esplicito riferimento all’attività giornalistica: il comma 3 dell’articolo 137 recita: “ Possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico.” In Europa, dalla direttiva 95/46/CE, cui fa esplicito riferimento l’articolo 9 (Ora abrogata dal regolamento 679/2016)

I giornalisti dunque, nella stesura di un articolo devono far riferimento ad alcuni precetti basilari. Innanzitutto la notizia deve avere una rilevanza pubblica. Secondo l’articolo 2 della legge professionale 69/1963: “E’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.”

Il diritto di cronaca sotteso in questo articolo è dunque un diritto fondamentale per un giornalista. Questo non può comunque ledere la libertà personale e il diritto alla riservatezza degli individui.

In Italia, per esercitare la professione di giornalista è necessario essere iscritti all’Albo dei giornalisti e quindi rispettare, non solo la normativa vigente ma anche il codice deontologico previsto dall’Ordine.

Nel 1993 infatti, viene pubblicata la Carta dei doveri del giornalista, recepita dal Testo Unico del Giornalista del 2016, che armonizza tutti i documenti deontologici relativi alla professione e prende in considerazione anche l’attività del giornalista online.

Il recente regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, che abroga la precedente direttiva (95/46/CE), oltre a considerare il trattamento dei dati personali online, ha recepito pienamente i principi alla base del diritto all’oblio sulla rete (REGOLAMENTO (UE) 2016/679 art.17).

“Il diritto ad essere dimenticati online consiste nella cancellazione dagli archivi online, anche a distanza di anni, di tutto il materiale che può risultare sconveniente e dannoso per soggetti che sono stati protagonisti in passato di fatti di cronaca.”

Uno dei problemi più attuali, dunque, è il rapporto che deriva tra il trattamento dei dati personali e il diritto all’oblio. Le notizie online sono molto più rintracciabili di quelle cartacee anche grazie all’archiviazione digitale da parte delle testate, per questo è molto più difficile che una notizia venga “dimenticata”.

IL caso: ristoratore vs. rivista online

La Corte di Cassazione Italiana, in merito alla tutela della privacy ed al diritto all’oblio si è espressa attraverso la sentenza, Corte di Cassazione, sez. I civile, con la sentenza del 24 giugno 2016, n. 13161, in cui veniva analizzato il caso di un ristoratore, il quale reclamava la permanenza del suo nominativo e di quello del suo ristorante nelle prime posizioni del motore di ricerca “Google”. Digitando il suo nome o quello del ristorante, infatti, tra i primi risultati, venivano immediatamente fuori i fatti di cronaca riportati da una rivista online riguardanti una vicenda giudiziaria a suo carico, nonostante dalla suddetta vicenda fosse trascorso parecchio tempo. Questo, comportava secondo il ristoratore, la lesione della sua immagine personale nonché quella della sua attività. Chiedeva dunque la cancellazione dei dati a lui riferiti non essendovi più motivo per trattenerli. La questione viene portata dunque in tribunale che accoglie la domanda del ristoratore che chiedeva, oltre alla cancellazione dei dati, anche il pagamento di un risarcimento danni. La rivista, asserendo il suo diritto di cronaca impugnava la sentenza portandola di fronte alla cassazione, essendo non ancora conclusa la vicenda dei fatti narrati e dunque, secondo quest’ultima, ancora meritevoli di interesse pubblico.

La cassazione infine si pronunciava in tal modo: “L’illecito protrarsi del trattamento di dati personali giustificava l’accoglimento della pretesa risarcitoria espressamente assoggettata dal D.Lgs n. 196 del 2003, art.15 alla disciplina di cui all’art. 2050 c.c., peraltro alla condizione che dagli interessati fosse stata allegata e dimostrata sia pure in via presuntiva, come nel caso e avvenuto, l’esistenza di pregiudizi di natura non patrimoniale sofferti in sua conseguenza..”

La cassazione dunque decideva infine di risarcire il ristoratore poiché leso dalla rivista.

Il giornalismo e la rete

Il concetto di stampa e di giornalista si sono modificati dunque nel corso del tempo visto il continuo aumento dell’utilizzo dei nuovi media per la diffusione delle notizie.

La rete oggi è una grande fonte di informazioni, tale che sta sormontando quella proveniente dai media tradizionali. Secondo un articolo della “Stampa” infatti, dal 2011 al 2015, la quantità di italiani che si informano attraverso internet o le piattaforme social è esponenzialmente aumentato.

Nel nostro paese, la fonte più importante di informazioni rimane comunque la televisione ma, come possiamo vedere dal grafico, l’informazione attraverso i social sta nettamente crescendo con il passare degli anni.

A livello europeo, una ricerca, Digital news Report 2015, dimostra che anche in Europa, nonostante il mezzo prevalente per informarsi rimanga comunque la televisione, il trend per quanto riguarda l’informazione tramite la rete è in continua evoluzione, tanto che in alcuni paesi come la Repubblica Ceca e il Regno Unito, il dato è equiparabile a quello della tv.

Arianna Ciccone, co- fondatrice e direttrice del festival del giornalismo descrive il mondo dell’informazione, all’ International Journalism Festival del 2016:

Di chi si informa, di chi “consuma” informazione, pensa alle nuove generazioni che molto probabilmente nemmeno sanno come è fatta una edicola. La qualità dell’informazione non dipende dal supporto (carta o digitale). E il supporto di per sé non garantisce la qualità. La qualità dipende dalla visione giornalistica che si ha, dal prodotto editoriale al quale si lavoro, dal team impegnato “sul campo”. D’altra parte, informarsi non può più essere concepita come un’attività passiva, la democratizzazione dell’informazione implica anche la necessità di una cultura digitale. Il lavoro di “gatekeeper” o di “fact checking” che un tempo svolgevano i giornali, oggi è diventata anche una “responsabilità” dei cittadini, che si informano in rete e attraverso i loro spazi social diffondono informazione a loro volta, facendosi in qualche modo “ media” nell’ambiente digitale che frequentano.

E’ in atto una disintermediazione tra l’utente e la notizia che prima era mediata dai giornali, dalla televisione quindi dai mezzi di comunicazione tradizionali. Un cambiamento non di poco conto che dà un’autonomia potenziale all’utente.

Sembrerebbe dunque che il diritto di informare e di essere informati si possa diffondere potenzialmente in maniera illimitata, d’altra parte altri diritti fondamentali potrebbero venire lesi visto il profondo vuoto normativo presente nella nostra legislazione riguardante l’informazione sul web.

Nel nostro ordinamento la stampa è definita dalla legge 47/48 in tal modo:

“Sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione.”

Questa definizione ovviamente non include dunque le testate online poiché realizzate su un tipo di supporto differente, quello informatico. Nella legge n.62/2001 (art. 1 com. 1) si tenta dunque di definire un prodotto editoriale in maniera differente: “Per «prodotto editoriale», ai fini della presente legge, si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici.”

Il comma 3 inoltre stabilisce che “.. il prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall’art. 5 della medesima legge n. 47 del 1948” (ovvero l’obbligo di registrazione).

Un caso interessante, riguardante questo tema, avvenuto nel nostro paese è il “caso Ruta”: uno storico e blogger siciliano, condannato prima dal Tribunale e in seguito dalla Corte d’appello (accusato del reato di stampa clandestina), per aver pubblicato il suo blog senza prima chiedere ed ottenere la registrazione della testata in Tribunale, presso il registro della Stampa. In seguito viene assolto dalla Cassazione per la non sussistenza dei fatti.

Le motivazioni della sentenza:

“La normativa di cui alla L. 07 marzo 2001 n. 62 (inerente alla disciplina sull’editoria e sui prodotti editoriali) ha introdotto la registrazione dei giornali on line soltanto per ragioni amministrative ed esclusivamente ai fini della possibilità di usufruire delle provvidenze economiche previste per l’editoria.”

Un blog dunque non può essere considerato una testata online, soprattutto se non vi è scopo di lucro e non si accede a finanziamenti pubblici.

Diviene quindi anche impossibile paragonare un giornale stampato ad una testata online poiché gli strumenti, la loro diffusione e la visualizzazione dei contenuti sono ampiamente diversificati, considerando che la diffusione delle notizie online è sicuramente maggiore rispetto alla carta stampata.

La corte di cassazione a riguardo, si pronuncia così: “L’art. 21 Cost., dopo l’affermazione di carattere generale (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di comunicazione”), riserva la disposizione sul sequestro alla sola manifestazione del pensiero che avvenga attraverso la stampa. Conseguentemente — si sostiene nella pronunzia di questa corte appena citata — i messaggi che appaiono sui forum di discussione sono equiparabili a quelli che possono esser lasciati in una bacheca, pubblica o privata. Come questi ultimi, anche i primi sono strumenti di comunicazione del pensiero, ovvero di informazioni, ma non entrano (solo in quanto tali) nel concetto di stampa, sia pure in senso ampio, e quindi ad essi non si applicano le limitazioni in tema di sequestro previste dall’art. 21 Cost..”

Viene dunque esplicitata l’impossibilità di un assimilazione tra testata online e carta stampata, considerando inoltre la potenziale “eternità mediatica” di una notizia. Diventa dunque necessario chiarire queste divergenze a livello normativo.

A questo proposito era stato redatto un disegno di legge, in cui all’art. 7 si tentava di regolare l’Attività editoriale su internet, proponendo l’obbligo di registrazione per le testate online e cedendo le responsabilità delle pubblicazioni a chi avesse il compito di autorizzarle.

Il disegno però, è diventato legge(198/16) escludendo completamente questo articolo e limitandosi a modificare alcune parti della legge 47/48, tenendo sì in considerazione le testate online ma solo per quanto riguarda i costi ed effettivamente non dando alcuna risposta ai dubbi preposti.

Bibliografia:
M. Mensi — P. Falletta (2015) “Il diritto del web. Casi e materiali”, Trento: CEDAM

Sitografia:

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